Anita Loos, «Gli uomini preferiscono le bionde ma Gli uomini sposano le brune», Garzanti 1966
Sicuramente un long seller questo romanzo che è stato in auge dal suo apparire, nel 1925, quantomeno fino a tutti gli anni ’70. In seguito, una edizione del 1976 e un’ultima (se non sbaglio) edizione, Sellerio 1992. Oggi ancora reperibile in remainder e al mercato dell’usato, ha avuto una vita lunga un secolo, sostenuto (o diminuito?) anche da una grande versione cinematografica della sua prima parte (la seconda, «ma Gli uomini sposano le brune» in effetti è di minor interesse).
Se la riduzione cinematografica aiuti o meno la durata di un libro è tema quantomeno controverso; il film «Gli uomini preferiscono le bionde», uscito nelle sale nel 1953, per la regia del grande Howard Hawks, e l’interpretazione di Marilyn Monroe (Lorelei) con Jane Russell (Dorothy), recupera dunque il romanzo a quasi trent’anni dalla sua uscita, anche se Anita Loos, scrittrice e sceneggiatrice, ne aveva già prodotto la sceneggiatura per il teatro nel 1926 e la sceneggiatura per una prima versione cinematografica nel 1928.
La storia. Narrata in prima persona dalla protagonista Lorelei Lee, una giovane bionda molto bella, di professione attrice ma non troppo, racconta, in forma di diario, il viaggio in Europa che Lorelei compirà, avendo con sé la sua amica Dorothy Show quale inusuale chaperon.
Lorelei e Dorothy sono amiche e alleate nella ricerca dell’uomo per la vita, che Lorelei esamina con ottica manageriale, privilegiando i diamanti in regalo, e sapendo soprassedere, temporaneamente, sul fatto che il tale del momento che regala diamanti possa non essere colui che diverrà il suo sposo: il matrimonio è una scelta su cui riflettere bene e, nel frattempo, i diamanti possono supplire.
Dorothy, diversamente da Lorelei e pur sposando le scelte di vita dell’amica, si fa comunque attrarre principalmente dai bei ragazzi, privi di possibilità economiche e, con grande preoccupazione di Lorelei, tende a innamorarsi.
Detta così, l’immagine di Lorelei potrebbe uscirne male mentre il libro ci presenta una personcina che, a un’indubbia intelligenza e a un’altrettanto indubbia serena e originaria ignoranza, coniuga un carattere segnato da una onesta e brutale ingenuità che attira, senza scampo, la simpatia di qualsiasi uomo circoli nei suoi dintorni.
Tutto si svolge nel corso di una viaggio in Europa – Parigi, Vienna, Londra – offertole dal suo – come chiamarlo? Risultando impossibile relegare Lorelei nel ruolo di una qualsiasi cocotte, dovremo chiamare quel signore unicamente con il suo nome e le sue attribuzioni: Mr. Gus Eisman, commerciante, il Re dei bottoni che si diletta nel coltivare l’educazione di Lorelei e godere della sua compagnia.
Lorelei disapprova profondamente il fatto che Dorothy parli di Mr. Eisman chiamandolo semplicemente Gus e afferma che l’amica «pare non comprendere che quando si è importanti come Mr. Eisman e si spendono ingenti somme per educare una giovane, non è di grande reverenza chiamarlo con il suo nome. Voglio dire che io neppure concepisco di chiamare Mr. Eisman con il suo nome e caso mai se voglio chiamarlo in qualche modo gli dico “Papi”, e neppure lo chiamo Papi se ci troviamo in un luogo che si definisce pubblico».
Vedi un po’, spregiamo alcune cose della vita, alcuni comportamenti che consideriamo decisamente fuori luogo, per poi scoprire che sono dei classici! Occorrerà far ammenda.
Lorelei riflette molto sulla necessità, per una giovane, di pensare seriamente a costruirsi un futuro (i diamanti sono, a suo parere, l’investimento migliore), e aspira a un matrimonio che coniughi i diamanti con uno status sociale del prescelto improntato alla massima rispettabilità; è infatti sinceramente tesa a migliorare la propria educazione, la propria cultura, a curare la propria mente. A modo suo.
Apprezza ricevere libri in regalo, ed ama circondarsi di “gentiluomini letterati” che, quando invitati ad una festicciola di compleanno, provvederanno a portare i proibiti liquori, assicurando la riuscita della festa. «Così naturalmente la casa era uno sfacelo e Lulù e io abbiamo lavorato come i cani proverbiali per riportarvi l’ordine, ma sa il cielo quanto tempo ci vorrà per far sistemare il lampadario»
Non mancheranno dunque, quantomeno come aspirazione, le letture – a parte creative tecniche di lettura veloce (tipo chiedere alla cameriera di leggere il libro e fornirne il riassunto) e a parte il libro sull’Etichetta, fornitole da Mr. Eisman in vista del suo viaggio a Londra, che Lorelei confesserà di aver lasciato in disparte «in quanto impiega un’infinità di tempo a spiegare in che modo ci si rivolge a un Lord mentre tutti i Lords che ho conosciuto mi hanno detto loro come chiamarli e di solito si tratta di piccoli soprannomi aggraziati come Coco (…)»
Eppure. Mentre l’attenzione del lettore è rivolta ai casi della vita di Lorelei, che sicuramente non inducono né alla noia né alla distrazione, lo stesso lettore avrà modo di conoscere, quasi per caso, l’altra faccia della buona società. Il lettore incontrerà, oggetto dei commenti benevoli di Lorelei, scrittori, sceneggiatori, uomini d’affari, Lord e Ladies; e conoscerà, infine, Mr. Henry Spoffard – «quel signore che presenta sempre la sua fotografia su tutti i giornali perché censura di continuo tutti gli spettacoli che non giovano alla morale della gente».
Lulù, la sua cameriera, le consiglierà di sposarlo in quanto «è sicurissima che tutte le volte che provassi la vaghezza di allontanarmi da lui, sarebbe sufficiente che lo deponessi a terra, semplicemente, dandogli un pacco di fotografie francesi risché da censurare e poi potrei starmene lontana per tutto il tempo che mi aggrada.»
Ora, volendo sorvolare sulla fantasia goduriosa di un approccio al matrimonio che includa la possibilità di deporre a terra il marito, a piacere (posalo là un momento, in quell’angolo, per favore), neppure occorre far parola del fatto che, per giungere a consigliare i diamanti quale migliore investimento finanziario, c’è gente, solitamente di sesso maschile, che ha accumulato lauree su lauree in area economica e, per questo, si trova collocata (non deposta) molto in alto sulla scala del riconoscimento sociale; e senza parlare del fatto che generazioni e generazioni di fanciulle sono state educate da serie e benpensanti madri di famiglia (per non dire dei padri) a riflettere profondamente sulla necessità di assicurare il proprio futuro mediante accalappiamento di un buon partito.
Poi, ogni fanciulla provvederà a realizzare questi saggi principi utilizzando le risorse di cui il destino l’ha fornita, che possono prevedere o meno l’educazione ricevuta da una famiglia ammodo e socialmente inserita, ma tra le quali, sicuramente, il cervello farà sempre la parte del leone.
E, in quanto a risorse, la nostra Lorelei avrà anche la fortuna, nel corso del suo soggiorno a Vienna, di accedere a una seduta psicanalitica con Sigmund Freud e potrà annoverare, tra le sue credenziali, il viatico del padre della psicanalisi.
«(…) il dr. Froid era molto sorpreso di una giovane che non sogna mai nulla. (…) Allora mi ha chiesto se proprio non desideravo mai fare qualcosa che fosse veramente violento, ad esempio se non avevo mai desiderato sparare a qualcuno, come dire. Allora gli ho spiegato che lo avevo fatto ma che la pallottola si era limitata a entrare nel polmone di Mr. Jennings e poi era uscita di nuovo. (…) Per cui alla fine il dr. Froid ha detto che mi occorreva solo coltivare qualche inibizione e dormire un po’.»
Cosa si può chiedere di più. Certo non una scrittura rispettosa di regole sintattiche che, nel caso, ridurrebbero anziché consentire l’adeguata espressione di un pensiero che, dopo aver conquistato la grande simpatia del lettore, lo costringere a rivedere molti preconcetti falsamente imperanti su “le cattive signorine”.
A distanza di quasi un secolo, e che secolo, un romanzo più che gradevole. Una scrittura perfetta, Irridente con saggezza, serenità e un – assolutamente giusto – lieto fine.