Best seller o Long seller?

Anita Loos
Anita Loos

Desiderando spezzare una lancia a favore dei long seller (qui), dei libri che il tempo non intacca, e che non sono solo i grandi classici, la prossima recensione sarà un libro che, riletto dopo un numero di anni che preferisco non ricordare, mi ha regalato qualche ora di vero piacere: Anita Loos, «Gli uomini preferiscono le bionde», Garzanti 1966. Un libro che, con la sua seconda parte «ma Gli uomini sposano le brune», è il solo libro, credo, pubblicato in Italia di questa elegante scrittrice, commediografa e sceneggiatrice americana; un libro che non sente il tempo e regala allegria (nonché, ancor oggi, qualche leggera riflessione e persino un divertente richiamo alla nostra attualità). Per non dire che, in queste pagine, un po’ di leggerezza farà bene.

E passo al discorso serio (magari noioso? Su cui, tuttavia, mi piacerebbe molto  dialogare, se qualcuno ne ha voglia).

Diciamolo: chi legge, chi acquista libri, legge e acquista long seller, non best seller. Questi ultimi, per quanti possano essere i colpacci di fortuna in cui spera un editore, non faranno vendere a sufficienza, neppure se il best seller si comporterà, per un certo tempo, come un long seller. Oggi infatti, nel momento in cui un libro, dopo aver venduto alla grande per un certo numero di mesi, cade nelle classifiche, ha una buona probabilità di sparire per sempre.

Quasi ovvio: si pubblica troppo e gli scaffali non contengono l’infinito. E pubblicando troppo si pubblica a spese della qualità. Mentre il bello (si fa per dire) sta nel fatto che più cala la qualità di ciò che si stampa, più proprio i lettori deboli lasciano la lettura.

Lo dice l’ISTAT[i], non io: (…) il calo della lettura rispetto all’anno precedente sembra da attribuire soprattutto all’ulteriore diminuzione della categoria dei lettori deboli (-6,8% rispetto al 2013), i quali già avevano un rapporto molto fragile ed estemporaneo con i libri, mentre chi aveva una maggiore familiarità con la lettura ha dimostrato una sostanziale “tenuta” nelle proprie abitudini.

Ma se il lettore forte resta tale, mentre si pubblica molto di scarsa qualità, ciò significa che il lettore forte fa ricorso al grande universo dei libri che, validati dal tempo (breve o lungo), costituiscono una risorsa infinita. A patto che vengano pubblicati. Rieditati.

E come trasformare il lettore debole in lettore forte? Beh non so, ma so per certo che il lancio pubblicitario di certi titoli, di cui si potrebbe fare a meno, è intensivo e utilizza tecniche ben note ai professionisti del settore. Vien da pensare che oggi sia possibile vendere tutto ciò che si vuole.

E dunque perché non nuove edizioni di long seller? Forse perché non è ciò che i lettori (deboli?) chiedono?

A onor del vero, non credo che l’industria editoriale dia ai lettori deboli ciò che chiedono, credo che i lettori deboli si ciuccino ciò che l‘industria editoriale sforna per loro. Che, in risposta, smettono del tutto di leggere perché saranno pure lettori deboli ma, proprio perché non amano leggere, per richiamarli occorre dar loro buoni libri, che li trattengano.

Perché dunque non si punta a rimanere sul mercato attraverso i long seller, mantenendosi giustamente selettivi verso le novità? Scegliendo la qualità?

Vignetta pioggia di libriIl calo della lettura in Italia non è fenomeno recente; ha caratteristiche strutturali. Certo, con alti e bassi, un anno pare esserci un lieve miglioramento in un settore, poi qualcosa si muove in un altro (ad esempio si sentono, qua e là, notizie positive sull’editoria per l’infanzia) ma, sul medio-lungo termine, tutto sembra andare sempre peggio.

Forse si tratta di un lungo momento di passaggio. Oggi le cose si muovono velocemente e l’obsolescenza colpisce uomini e cose senza che ci sia il tempo di assimilare il cambiamento, di integrare lo strumento culturale all’evoluzione delle tecniche. Dovremo forse ripensare l’utilizzo della parola scritta; ogni tanto si sente qualcuno, catastrofista, discettare sulla “Fine della Galassia Gutenberg” e cose simili.

Come sempre, c’è del vero e c’è del falso: c’è che la bassa consuetudine alla lettura in Italia è cosa diversa e viene da lontano, dopo un breve periodo di speranza degli anni 60-70. Che poi oggi ciò avvenga in un momento in cui si affrontano cambiamenti culturali profondi, costituisce l‘aggravante fatale – non si tratta, infatti, oggi, di “un” cambiamento, trascorso il quale si avrà il tempo di assestare il tutto, ma “del” cambiamento come nuovo assetto culturale, che inizia a richiedere un nuovo tipo di essere umano, che produrrà nuovi criteri di selezione del più forte, che ci sta già chiedendo, senza che alcuno ascolti, nuovi modi di protezione del più debole.

Ora, questo cambiamento sta colpendo, in Italia, una popolazione che appare già depauperata sul piano culturale, vale a dire sul piano della formazione e dell’informazione, sul piano dell’esperienza.

Leggere, infatti – e primariamente la narrativa – è un grande mezzo a nostra disposizione per conoscere e approfondire il nostro sapere di noi stessi, del nostro prossimo, del mondo che ci circonda. Attraverso le storie che leggiamo viviamo altre vite, ne raccogliamo l’esperienza, i percorsi possibili, le risorse; poiché a nessuno basta una sola vita per imparare a stare al mondo.

Dagli errori si impara, purché ci sia una seconda opzione – che molto spesso non c’è. Non basta la scuola, che può solo darci gli strumenti di base per iniziare a fare da soli; come potrebbe, qualunque scuola, prepararci a tutto ciò che ad ognuno di noi accadrà, alle diverse strade che le nostre singole vite affronteranno, alla molteplicità di relazioni in cui ci dovremo impegnare; al diventare adulti, al costruire una famiglia, a crescere dei figli in un mondo che non riconosceremo più. Ci possono aiutare solo le storie, i racconti, l’esperienza di tante vite.

Ci informano i dati ISTAT[ii] che “quasi una famiglia su dieci (il 9,8%, pari a circa 2,5 milioni di famiglie) dichiara di non avere alcun libro in casa. Anche nei casi in cui è presente una libreria domestica, il numero di libri disponibili è molto contenuto: il 28,9% delle famiglie possiede non più di 25 libri e il 63,5% ha una libreria con al massimo 100 titoli (…)”

Ora, il cambiamento ha investito anche il mercato editoriale, le strategie di produzione del libro e le strategie di marketing. Pure, non pare che tale cambiamento stia veramente avvenendo sulla linea di sviluppo delle tecnologie e della cultura in fieri delle nuove generazioni. Pare un cambiamento che tende, ignorando o al massimo subendo il mondo che cambia (vedi gli e-book), a far resistere i vecchi modelli: della produzione del libro, della distribuzione, del sistema delle librerie.

“Che fare”? Non lo so, non lo so proprio, se non cominciare a rifletterci: ad esempio sulla distribuzione – per quanti pochi libri si acquistino, il mercato dell’e-book aumenta e le librerie non riusciranno a funzionare ancora sulla base di un modello antico, appropriato al tempo in cui operavano in condizione di monopolio.

E la fondamentale funzione del libraio di mediazione tra il libro e chi lo fruisce, come si dovrà ridisegnare?

Sola certezza tranquillizzante: il libro non morirà. Pure: non è impossibile che ritorni ad essere strumento per pochi, relegato agli anni di scuola. E questo è tragedia.

 

 

[i] ISTAT 2013: Nel 2013, i circa 1.600 editori attivi censiti hanno pubblicato 61.966 titoli ed hanno stampato oltre 181 milioni di copie: circa tre per ogni cittadino italiano. In media, sono state stampate poco meno di 3 mila copie per ciascun titolo pubblicato.

 

[ii] Dati ISTAT 2013