Le fiabe che non sappiamo

poema-a-fumetti-buzzatiCapita che io mi chieda, che tutti ci si chieda, credo, particolarmente in certi periodi, quale linea – di pensiero? di bisogno? di interesse? – lega tra loro i libri che scegliamo, che leggiamo, l’uno via l’altro; cosa li collega, necessariamente, in modo che l’uno chiami l’altro. E se talvolta, spesso, il legame è evidente, talaltra, di primo acchito, non lo è affatto.

Mi trovo a riguardare le mie letture dell’ultimo periodo. Ho riletto, e proposto qui, Italo Calvino, «Se un notte d’inverno un viaggiatore», e nel frattempo, per la sera, mi ero riletta le sue «Fiabe Italiane»: sempre bellissime! E durante il giorno prendevo riponevo riprendevo un suo libro via l’altro. Ma nel frattempo qualcosa diceva no, non ancora, più in là.

Poi c’è stato «Ya», di Roberto Recchioni, attraversando riflessioni diverse per, infine, affidarmi a Dino Buzzati, al suo «Poema a fumetti»: al fascino della favola di Orfeo e Euridice, moderna versione di un mito che ogni epoca può far suo. Ed è stata una lettura di incanto e dolore, i disegni bellissimi, angoscianti, i testi brevi densi; e mi sono ritrovata a chiedere anch’io, come il Diavolo Custode, che mi venissero raccontati i cari misteri:

buzzati-poema-a-fumetti
Gli ultimi re delle favole si incamminavano all’esilio

I cari misteri  ti chiedo soltanto di raccontare  I posti le ore i palpiti segreti / la paura il temuto tonfo i batticuori / nell’anticamera del celebre,/ il promettente fruscio / del vento lungo il vecchio / cimitero.”

Una storia d’amore, infine, che il montanaro Buzzati non poteva chiudere se non con un’immagine di contrasto al mondo degli inferi, l’immagine di una cima di grande bellezza, del Gruppo delle Odle che, inevitabile, non può che contenere l’impervietà.

In quel preciso momento sulle cresta della Gran Fermeda / Turbinava la tormenta con le sue solite anime in pena”.

Per chiudere:

“Gli ultimi re delle favole si incamminavano all’esilio. / E sul deserto di Kalahari le turrite / nubi dell’eternità passavano lentamente.”

Quante cose contengono le favole. Luoghi dove anche la tristezza diventa bellezza, diventa un sapere, di sé e del mondo.

Mi è parso di aver individuato la strada; dovevo recuperarne una mappa, o trovare una guida.

Un salto ad «Albero e foglia», J.R.R.Tolkien, e al suo saggio «Sulle fiabe». Vale la pena di leggerne insieme un brano, non sarebbe possibile dire meglio. Eccolo.

Tra coloro che hanno ancora abbastanza buon senso da non ritenere le fiabe perniciose, l’opinione più diffusa sarebbe quella secondo cui esiste un rapporto naturale tra esse e la mente dei bambini, un rapporto dello stesso tipo che lega il loro organismo e il latte. Ritengo che si tratti di un errore, nella migliore delle ipotesi dovuto a un sentimento malriposto e quindi commesso soprattutto da chi (…) tende a considerare i bambini quali esseri di specie a se stante, quasi una razza diversa, anziché quali membri normali, ancorché immaturi, di una famiglia particolare e della famiglia umana in generale.

In effetti, la connessione istituita tra bambini e fiabe non è che un accidente della nostra storia. Le fiabe, nel moderno mondo alfabetizzato, sono state relegate nella stanza dei bambini, così come mobili sciupati o fuori moda vengono relegati nella stanza dei giochi, soprattutto perché gli adulti non vogliono più vederseli d’attorno e non si preoccupano se vengono maltrattati. A decidere in merito non è la capacità di scelta dei bambini. Questi, intesi come categoria – ma non lo sono affatto, se non per la comune mancanza di esperienza -, non amano le fiabe più degli adulti né le capiscono meglio di questi; e del pari non gradiscono molte altre cose. Sono giovani. Stanno crescendo, di solito hanno robusti appetiti, per cui di regola i racconti fiabeschi vengono digeriti senza difficoltà. In effetti, però, solo alcuni bambini e qualche adulto hanno una particolare predilezione per le fiabe; e quando accade, non si tratta di una predilezione esclusiva e necessariamente dominante. (…); comunque, è certo che essa, se innata, non diminuisce ma anzi aumenta con l’età.

È innegabile che in tempi recenti di solito si siano scritte o “adattate” fiabe per bambini. Ma lo stesso potrebbe accadere con la musica, la poesia, la storia, i manuali scientifici. Si tratta di un procedimento pericoloso, anche ammettendone la necessità, e a garantirlo dal disastro è unicamente il fatto che le arti e le scienze non sono, nel complesso, relegate nella stanza dei bambini (…). Una qualsiasi di queste materie, se lasciata in esclusiva nella stanza dei bambini, si deteriora gravemente. Allo stesso modo, un bel tavolo, un buon quadro, un congegno utile (ad esempio un microscopio) lasciati a lungo incustoditi in un’aula scolastica, verrebbero guastati o rotti.

Le fiabe, in tal modo bandite, tagliate fuori da un’arte pienamente adulta, finirebbero per guastarsi; e in effetti, nella misura in cui bandite sono state, si sono anche guastate.»[i]

Tolkien ha scritto queste parole nel 1964. L’edizione italiana risale al 1976.  Oggi siamo a interi settori nelle librerie carichi di molti brutti libri “per bambini”, poveri testi, malscritti, che soffocano libri moltofiabe-italiane-calvino belli e il lavoro pregevole di grandi disegnatori; mentre orridi rifacimenti di bellissime fiabe fanno sì che nessuno ne legga più le trascrizioni d’autore. Conoscete molti che, la sera, per il bambino, propongano una storia tratta da «Fiabe italiane» trascritte da Calvino? O «Il Gatto con gli stivali» nella trascrizione di Grimm, di Perrault, in luogo di Peppa Pig? E conoscete molti adulti che leggano queste fiabe, e non assumano un tono vagamente ironico se vengono loro suggerite?

Pure, quanti dei “nostri” libri, intendo dei libri che consideriamo “per adulti”, sono fiabe, nascoste, celate, dall’autore, magari anche a se stesso, chissà. Fuori dai testi sacri, e dal dibattito professorale, non è ben chiaro cosa sia fiaba; se non una qualità del narrare, senza relazione necessaria al contenuto.

Sto ancora cincischiando questo Buzzati che, dopo averlo letto, non si fa lasciare: si guarda e si riguarda, continuando a cercare, dentro il disegno, tra i dettagli. È un libro che dura; un libro di cui mi piacerebbe parlare ma non so, difficile, ognuno vi leggerà, vi vedrà, cose diverse.

Ora la strada è stata individuata. È un “verdesentiero[ii] difficile da percorrere perché mal segnato, nascosto dall’abbandono, che si snoda in rivoli diversi, tra storie e miti e bisogni e ricerca e ricordi – non dell’infanzia: cosa dire ad esempio dei ricordi adulti di passate attese del futuro?

Temo di essermi riletta, per l’ennesima volta, pezzi de «Il Signore degli Anelli». Troppo forte il richiamo a trovare una via, necessaria, da percorrere.  Scoprendo, in effetti che, da lì – dai Porti Grigi e dalla partenza degli Elfi, che abbandonano per sempre la Terra di Mezzo – avrei recuperato una traccia.

Ora ho tra le mani «Silmarillion» e i racconti di «Albero e foglia» (ma va detto, tanto per incuriosire, che almeno uno di quei racconti, «Foglia, di Niggle» è un grande racconto che nessuno si aspetterebbe da Tolkien e pare scritto per far star male chi lo legge).

Poi, c’è anche, sul tavolo, un nuovo acquisto, «L’inconfondibile tristezza della torta al limone», di Aimée Bender, Minimum Fax 2011, che da molto tempo volevo leggere. È un romanzo, d’accordo, ma credo che, dentro, ci sia una favola.

Dovrò far chiarezza, su questo tema. Anche se non mi disturba il dubbio e, sul mio tavolino da notte, solitamente, giace una vecchia edizione di «Le mille e una notte». Sempre là, per quando “non ho niente da leggere” al momento di andare a letto o nel caso di un risveglio notturno a libro finito e nessuna voglia di dovermi alzare per cercarne un altro.

________________________________________

[i] Sottolineature mie

[ii] Da: “Il Signore degli Anelli”, un percorso tra i monti che, abbandonato da tempo, è difficile da seguire senza una guida.