In un bel sabato mattina di sole, dà piacere il gironzolare per le strade del centro e fermarsi a librerie, senza fretta o quasi. Indipendentemente dal bottino che, nell’occasione, è stato contenuto, senza grandi sorprese, se non per un piccolo libro fresco di stampa.
“Favole fuorilegge”, di Nicolai Lilin, Einaudi 2017. Titolo accattivante, una copertina con un disegno bello e curioso (sembrerebbe una Madonna, agghindata in modo orientaleggiante. Eppure: braccia incrociate, con due pistole in mano? È davvero così! Fashion design!).
L’autore, suo anche il disegno di copertina, mi incuriosisce da tempo, fin dalla pubblicazione di “Educazione siberiana”, di cui ho sempre rinviato la lettura: in quel suo primo romanzo c’è stato, finora, qualcosa che mi ha respinta, o trattenuta, lasciandomi tuttavia quel tipo di curiosità che si impossessa di noi quando stiamo proprio lì, in bilico – mi trattengo non mi trattengo? – dal fare qualcosa.
Per ora, dunque, non prendo ancora in considerazione “Educazione siberiana”. Ma questo libricino di favole mi ha subito attratto. Una scorsa al libro e sì, si tratta di vere favole.
“Questa storia è accaduta in un lontano villaggio siberiano, nel cuore della taiga, dove regna Amba, che ha le sembianze di una vecchia tigre”.
Niente di spettacolare nel linguaggio, una voce che racconta, fatti che, per il mondo in cui si svolgono, date le premesse, non risulteranno strani o inattesi; ci si trova immersi in un luogo e in un tempo che chiedono la sospensione dell’incredulità. Si ascolta, in preda all’attesa, l’ansia stemperata dalla certezza delle regole che sovrintendono alla favola. Un posto dove si sta bene; dove l’autore sembra star bene. La Siberia, la sua terra d’origine. Fonte, mi pare, di tutto il suo immaginario.
Il libro è corredato, inoltre, di disegni, sempre dell’autore, sempre genere fashion design, che punteggiano ogni favola.
(Più tardi, a casa, curiosando online, ho trovato la locandina del film “Educazione siberiana”. Non la ricordavo, se mai l’avevo vista: proprio come la Madonna di copertina del libro di favole! Variante significativa: un maschio, sempre a braccia incrociate sul petto, una pistola per mano!)
Confesso e confermo, non mi scatta ancora il desiderio di leggere questi suoi romanzi. Ci penso, lascio perdere. Sarà per un’altra volta. Ma questo “Favole fuorilegge” sì. Subito!
Esco dalla libreria. Sosta al bar, caffè e croissant (all’aperto, ci sta anche la sigaretta!) ed è mio, almeno un tranquillo lungo assaggio.
Più tardi, a casa, ho proseguito a gustarmelo, favola dopo favola, ritornando alla favola già letta, riprendendo dall’ultima letta. Tornando all’inizio. A rischio (evitato) di lasciare in sospeso il libro che sto leggendo, con la scusa che le favole richiedono un tempo limitato di lettura mentre il libro è di lungo percorso.
Ho resistito. Non ho interrotto la lettura del mio libro, di cui dirò. Solo appena un po’, per leggermi, a salti, in piccoli tempi rubati, una favola alla volta. Poi, in un secondo momento, rileggerò meglio. Poi, forse, ne racconterò.
Riprendendo la mia strada, altra libreria, e due acquisti.
Una riedizione, di Gaetano Savatteri, “La congiura dei loquaci”, Sellerio 2017. Me ne rallegro, pregusto una buona lettura, confidando in Sellerio, sempre contenta di aggiungere un nuovo mattoncino blu alla mia collezione – tristissima doppia fila prima-o-poi-troverò-il-modo-d’altra-parte-sono-libri-piccoli-la-scaffalatura-è-profonda-non-si-può-sprecare-spazio-e-stanno-bene-così-fanno-un-bel-colpo-d’occhio.
Lo lascio in attesa ma, avendone letto, oltre alla quarta di copertina, alcune pagine.
Terzo ed ultimo acquisto (l’ho detto, mi sono saputa contenere): José Saramago, “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, un economico Feltrinelli, che mi chiedo se poi leggerò davvero.
C’è qualcosa di strano nella mia (non) relazione con Saramago. So, credo di sapere, di aver letto qualcosa di quest’uomo e di non averlo trovato giusto per me, quantomeno non in quel momento; come dire, credo di sapere che si tratta di un autore che non amo e tuttavia, in casa, non ci sono suoi libri e dunque, forse, non l’ho mai letto, e dunque a quale titolo non lo amo? Magari un prestito, un libro iniziato e lasciato, chissà. Scorro i suoi titoli e la memoria non mi riporta nulla. Mistero.
Quando a questo libro, certo, ne conosco la fama. Conosco le discussioni che ha provocato, da cui non vengo, tuttavia, personalmente toccata, credo. Pure, mi pare, avendolo acquistato, di aver compiuto un atto in deroga ai miei orizzonti di lettura; obbligata da qualcosa che me ne ha imposto l’acquisto, come fossi tenuta a leggerlo.
In questo caso, trovo una giustificazione razionale, individuo quel <qualcosa>, pur non essendone del tutto convinta. C’è un antefatto a giustificazione dell’acquisto.
È accaduto che, per quelle evenienze che portano a rileggere, un po’ al volo, un vecchio libro scordato, privo di qualsiasi attinenza con gli interessi del momento, ho da poco terminato “Il Vangelo secondo il Figlio”, di Norman Mailer – in effetti un libro che non ha lasciato, oggi, una grande traccia su di me, come non l’aveva lasciata al tempo in cui l’ho letto la prima volta, pur essendo un bel libro. Dunque perché l’ho riletto?
Risposta: effetti secondari di un riordino, ci si trova tra le mani un vecchio libro più o meno scordato, distrattamente ci si siede, lo si apre, ed è fatta. È andata così, è chiaro: e ora libro chiama libro. Stesso tema, altro punto di vista. Vedremo.
Mi scopro inaspettatamente curiosa di leggere questo grande autore, pure se questa sua opera non è forse la scelta giusta per iniziarne la conoscenza. Ma va bene lo stesso, le strade sono tante e quasi sempre, alla fine, convergono in un punto.
Una bella e proficua mattinata; un buon pomeriggio che si è completato, la sera, con un acquisto online, il cui arrivo è atteso per domani.
L’incontro fortuito con una autrice interessante. Lettura pomeridiana di Internazionale, un articolo di Mary Beard, riportato dalla London Rewiew of Books, che nell’occhiello riassume: “Dai tempi dell’antica Grecia, nella cultura occidentale, le donne sono tenute ai margini. È arrivato il momento di ripensare l’idea stessa di potere, …”

Nelle prime righe, viene citato un libro, “Terra di lei”, edito da Donzelli, data non indicata, di Charlotte Perkins Gilman, scrittrice, confesso, a me totalmente sconosciuta. Dico “confesso” perché scopro trattarsi di un’importante scrittrice e studiosa, che dunque mi avrebbe dovuto esser nota; “femminista utopista” statunitense, morta nel 1935. E scopro un certo numero di sue opere tradotte in italiano da piccole case editrici, in tempi molto recenti.
Un piccolo elenco di editori italiani che hanno pubblicato Charlotte Perkins Gilman: La Tartaruga (1997 e 1980); La Vita felice (2011), Kurumuny (2011), Quattrosoli (2008), Astoria (2010), Donzelli, ovviamente (2011)
Cerco, trovo, ordino “Terra di lei”. Per iniziare. E rifletto sul fatto che un certo numero di suoi libri siano stati editati in tempi recenti – certo, sono scaduti i diritti, ma non basta, è una scelta e, direi, non delle più commerciali.
Mi trattengo dal dire “senza che se ne sia saputo niente” perché non è ovviamente così. Ritengo tuttavia di poter dire che non sono arrivati ad un pubblico vasto. Felice se mi sbaglio. Felicissima di essere stata l’unica distratta.
Il tema delle piccole case editrici e della loro scarsa visibilità mi intriga sempre più. Certo, magari ho incontrato un’autrice che lettrici/lettori migliori di me conoscono molto bene; disponibilissima a far ammenda. Disponibilissima anche a scoprire che non ne valeva la pena (ma non credo, non credo proprio).
Per chiudere. Sto leggendo un libro molto interessante, di cui non so se sarò in grado di raccontare. Nelle intenzioni, mi prenderò il tempo necessario ad assorbirlo e cercherò di provarci.
Alberto Negri, “Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente”, Rosenberg & Sellier 2017.
Grata se qualcuno vorrà fare altrettanto. Va detto, da subito, che si tratta di un libro che espone un tema difficile, una storia intricata, ma lo fa con chiarezza, ed è piacevole da leggere; è un libro che (come evidente da quanto fin qui raccontato) non si fa lasciare. E, oltre al piacere, non da poco, di capire un po’ meglio l’attuale situazione mediorientale, può portare anche a sospendere qualche giudizio (su questo, tuttavia, parlo per me sola.)