Stefano Merenda, “Il tempio della piccola foresta“, Algra editore 2016
Da tempo desideravo proporre questo libro; un romanzo di formazione che si legge con piacere e interesse, merito anche di una scrittura scorrevole e pulita che consente al lettore di immergersi in una storia e empatizzare con il protagonista, seguendone la vita e le peripezie, senza far caso al narratore.
In questo libro la scrittura di Stefano Merenda si rivela efficace, capace di trattenere chi legge – meglio: chi ascolta – bilanciando lo svolgimento di un intreccio, la caratterizzazione dei personaggi – centrale, con Shui, l’amico/antagonista Chen – con il racconto del percorso di formazione del protagonista, avviato dalla famiglia ad apprendere le arti marziali nel Monastero buddista Shaolin, nella relazione con il suo Shifu (padre, maestro), il monaco Shi De Zeng.
La storia racconta dunque, in prima persona, la vita di Shui, ragazzino cinese, figlio unico, così come la legge imponeva, di poveri contadini, dal momento in cui, all’età di otto anni, lascierà il proprio villaggio per essere accolto a Shaolin e istruito dai monaci nei principi della filosofia Zen e nelle arti marziali, a quando, ormai uomo, divenuto ufficiale dell’esercito, per assolvere a una richiesta della famiglia, avrà compiuto scelte fondamentali per il proprio futuro, dentro le vicende che hanno segnato la storia della Cina dell’epoca maoista, incrociando la rivolta che seguì all’invasione del Tibet e alla fuga in India, nel 1959, di Tenzin Gyatsa, attuale XIV Dalai Lama.
Tale incontro con gli avvenimenti del suo tempo avverrà, tuttavia, senza che la narrazione, centrata sulla storia di vita di Shui, su di un’esperienza di crescita individuale, ci fornisca informazioni, se non indirette, sui fatti (storici, per tempo e luoghi) nei quali il protagonista si troverà immerso.
Il tempo, l’epoca, in cui il racconto si colloca, sono precisi e si possono desumere dagli avvenimenti narrati – la rivoluzione maoista è compiuta, la Cina è già transitata attraverso la devastazione del “Grande balzo in avanti” che, con il passaggio da un’economia agricola a un’economia industriale, dal 1958 al 1961, causò una grave carestia e decine di milioni di morti; sono attivi i gruppi ribelli dei “Figli di Lhasa”, che si battono per l’indipendenza del Tibet. E tuttavia questo brandello di storia, questi fatti, questo tempo, che conterranno le esperienze di vita di Shui adulto, dovrà coniugarsi con il tempo di Shaolin, un tempo che, nella sua sostanza, resta immune dal mondo, e dunque non richiede una collocazione temporale.
Il romanzo porta così ad incontrare due mondi, ambedue segnati da esperienze dure, da grandi prove da chiedere a se stessi, tuttavia di segno diverso.
Per Shui, in ambedue, ci sarà la relazione con Chen, l’amico dell’infanzia, il figlio di una famiglia ricca e importante che, come Shui, sceglierà la carriera militare. In questo nuovo mondo i due si ritroveranno, in un contesto che, ora, marca le differenze sociali.
Shui si troverà a dover fronteggiare Chen, il personaggio che, quasi un suo negativo fotografico, ne determinerà la vita; e si troverà ad essere testimone, e partecipe attivo, di fatti che lo obbligheranno alla consapevolezza, e ad operare scelte.
Protagonista e antagonista si muoveranno in opposizione: uno prendendo posizione, il secondo, costruendo casualmente e senza consapevolezza, la propria sorte.
Sullo sfondo, il mondo della famiglia di Shui, quel mondo rurale che, nel corso della storia, verrà travolto: dalla natura, da un terremoto; quasi il concretarsi di un cambiamento che non avrebbe consentito a quella realtà povera e tradizionale di continuare a vivere.
Illusione. Fiaba. Non proprio. Piuttosto un tempo delle spirito – Shaolin, ma anche il mondo rurale della famiglia – e un tempo della realtà, del contingente – la nuova Cina che si compie: due mondi che si compenetrano, nella coscienza di Shui, mostrando la necessità di salvare un tempo dell’uomo; un tempo che, al di là e al di fuori del contingente, e tuttavia da questo richiamato, obbliga a prender parte.
Il contingente, dunque, per il narratore, pur costituendo la trama del racconto, non necessita di venir narrato, giustificato; sarà sufficiente porlo. Una scelta, coerente con la struttura della narrazione, paradigmatica di un pensiero sull’uomo, sul suo posto nella vita e nelle relazioni con tutto ciò che vive.
Attraverso questa scelta il libro assume le caratteristiche di una parabola, di un racconto che non richiede l’esplicazione di un pensiero, limitandosi a mostrarlo, ad esibirlo, nelle condotte, nelle regole che mostrano la relazione profonda tra i viventi.
L’immersione nella Storia conduce dunque a passare da una “freccia del tempo”, per cui il mondo degli uomini ha quale suo scopo il tendere, in avanti, a un obiettivo, alla realizzazizone di una società nuova, alle leopardiane “magnifiche sorti e progressive“, a una concezione del tempo circolare, dove i cambiamenti, come il ritorno delle stagioni, mostrano la loro sostanziale illusorietà.
Shui vive con i genitori in una campagna cinese; è figlio unico, secondo i dettami della legge; la famiglia, povera, pensa al suo, e al proprio futuro, perché, se il figlio riuscirà ad avere un posto nella società, i genitori vedranno assicurata non solo la sua vita ma anche la propria, secondo i dettami che legano profondamente il dovere di un figlio alla cura dei genitori anziani; Shui compie i suoi studi, diventa ufficiale dell’esercito, si immerge nei compiti e nella vita che il suo ruolo gli pongono dinnanzi, nella nuova realtà della Cina.

La vita di Shui a Shaolin appartiene invece all’altro tempo, che mantiene la propria assolutezza e la propria verità al di fuori di una illusoria storicità; al di fuori degli accadimenti che punteggiano i giorni del mondo.
“Mi voltai un’ultima volta e cercai di fissare nella testa il ricordo delle mie risaie, l’immagine di quella gola verde fatta di terrazze d’acqua, che per molti anni non avrei più rivisto.”
“La Cina poteva contare su ingegneri preparati, mezzi all’avanguardia e su medici esperti che si sarebbero occupati della selezione e del monitoraggio degli operai. Così, dopo progetti e collaudi durati quindici anni, la ferrovia fu finalmente pronta. Ma la battaglia sulla natura non era affatto vinta, come aveva esortato il capotreno.”
“Non so cosa abbia spinto la tua famiglia a farti seguire questa via ma ricorda che se un giorno dovessi lasciare la vita monastica e rinuncerai ai voti, dentro di te rimarrai sempre un monaco.”
Il passaggio, che il narratore conduce con il respiro di una notazione musicale, da un “piano” a un “fortissimo”, ritma il racconto che – la conseguenza è attesa e dovuta – dovrà chiudersi rispettandone la struttura, con un ritorno al “piano”.
Ne risulta un libro che regala qualche buona ora di lettura; il piacere di ascoltare una storia, in effetti; e regala, sottesa, una filosofia di vita che non prevede il bisogno di essere espressa (credo che una tale filosofia non potrebbe consentirlo) né, tantomeno, proposta, ma che riesce nel compito di richiamare la freccia del tempo a una circolarità dentro la quale la vita può riconoscersi e rinnovarsi.Visualizza articolo
Ci sono, in effetti, dei libri che, se accade che li si chiuda soddisfatti del tempo che si è loro dedicato, talvolta senza che abbiano avuto in noi una immediata, particolare risonanza, in seguito continuano a operare un richiamo, una riflessione, altre riflessioni. Indice sicuro di valore. Questo, è uno di quei libri.
Buon lettura, dunque, spero, di un autore (ancora) poco conosciuto, pubblicato da una casa editrice a sua volta non molto conosciuta.