La magia di uno sguardo sul mondo

Halldór Laxness, “Sette maghi”, Iperborea 2016. Traduzione e postfazione di Alessandro Storti

Un piccolo gioiello questo “Sette maghi”, un libro di piccole dimensioni, e tuttavia di grande spessore.

Sette racconti, molto diversi tra loro, dai quali si ricava un senso di unità difficile da giustificare, se non, forse, proprio per il loro rapporto con una particolare forma di magia che serpeggia nello sguardo con cui l’autore, raccontando storie, inventando storie spaziando nel tempo, girovagando tra cronaca e leggenda, legge fatti umani, personaggi, consistenze di vite diverse e di modi della relazione.

La magia sarà dunque quella che si coniuga con lo stupore di fronte all’uomo, al suo rapporto con le terre in cui vive, con il suo tempo e con quello degli altri uomini, nella costruzione di significati, dove ci stanno vita e morte alla pari con la vastità delle terre, le piccole patrie e gli smisurati confini al di là.

È sicuramente magia uno sguardo capace di accogliere, escludendo il giudizio, che diviene via d’accesso al godimento di storie la cui scrittura restituisce un fortissimo sapore di oralità; di storie che ci chiedono di sospendere l’incredulità, che non fa parte dell’ascolto di un racconto, avendo questo solo in sé la propria giustificazione.

C’è una sorridente, buona ironia, che si trasforma in una particolare forma di solo giudizio legittimo, senza alcun bisogno di renderlo espresso, e che dunque raggiungerà un effetto sferzante incomparabile.

Un autore, Halldór Laxness, che non conoscevo – islandese, Reykjavík 1902/1998, premio Nobel per la letteratura 1955 (il solo assegnato ad un autore islandese) –  figlio di una terra poco conosciuta e che tuttavia, nel nostro immaginario, si lega al mondo delle saghe (avevo già accennato alla lenta lettura in corso della “Edda” di Snorri Sturluson (qui), e ad una  magia del vivere che ha certo a che fare con le condizioni di vita estreme nella terra dei ghiacci  – per bellezza e per fatica, per il necessario patto con la natura e le sue forze in cui vive un popolo di antica storia, da sempre piccolo e forte (332.529 abitanti al 1 gennaio 2016) dove, se non tutti si conoscono, è come se, e che dunque può regalare una realtà di rapporti da cui è escluso l’anonimato; e un forte sentimento di comunanza per fronteggiare la domanda di una terra difficile, e dunque amata e bellissima.

Un viaggiatore, Halldór Laxness, che nella sua vita ha conosciuto e saputo guardare e accogliere la vita americana così come il mondo siciliano non diversamente dal visitare le terre e il tempo di Gengis Khan, o non invece recarsi a scoprire le meraviglie dell’antica India in conseguenza di un sogno fatto dal Figlio del Cielo imperatore della Cina: e Zhang Qian, figura storica, emissario dell’impero cinese nel II sec. a.C., diplomatico esploratore per conto del suo imperatore, diverrà un personaggio la cui magia si realizzerà nella capacità di andare oltre, accogliere l’altro, vivere le vite che il viaggio regala e saper alla fine tornare – così come sembra fare per noi il nostro autore – per assolvere al compito assegnato e restituire i tesori di conoscenza saggezza e bellezza accumulati.

Mi ripeto: un autore per me nuovo – e mai ringrazierò abbastanza la casa editrice Iperborea – tutto ancora da scoprire, certa di aver trovato una miniera che esplorerò, consapevole tuttavia del fatto che questa sola silloge è in grado di rappresentare una summa di un’opera imperdibile.

Ora non so scegliere. Non posso far altro dal riportare gli incipit dei racconti, certa che, per ognuno, sarà difficile resistere al voler conoscere il seguito.

 

Zhang Qian parte dall’imperatore Han Wudi per la spedizione in Asia centrale dal 138 a.C. al 126 a.C., murale delle grotte di Mogao, 618 – 712 Wikipedia

 La scoperta dell’India

“Una notte il Figlio del Cielo, imperatore della Cina, sognò che nel lontano Occidente c’erano terre vaste e belle, ricche di oro, di gemme e di avorio, molto più belle e ricche delle altre terre, e abitate da uomini saggi. Convocò dunque i suoi cortigiani, si sedette sul trono, si portò la mano alla fronte e disse: «Ho fatto un sogno.»

Fu così che Zhang Qian “prese congedo dal figlio del cielo e partì per l’Occidente, tutto solo.

 

Napoleone Bonaparte

“Kothagi, sul Prymsfjörður – dove la costa scende scoscesa verso l’imboccatura del fiordo. Nella fattoria a picco sul mare sono appesi i ritratti di due capi di Stato: la Regina Vittoria, nata per governare il più bello dei regni, nel suo abito sontuoso, e Napoleone Bonaparte, in panciotto bianco, spettinato, con una profonda ruga sulla fronte, nato da povera gente del sud e arrivato a conquistare mezzo mondo con le sue sole forze, finché i nemici non lo catturarono e non lo spedirono in esilio”

“In questa fattoria solitaria viveva un povera vedova con i suoi tre figli.”

 

Porður il vecchio zoppo

“L’abbiamo conosciuto tutti, il vecchio zoppo Porður, quando lavorava all’essicazione del pesce o alla manutenzione delle strade, abita qui in città da tanto tempo, e alle riunioni del Sindacato Dagsbrún si siede dove non dà nell’occhio, spesso con la tabacchiera in mano, la barba di un mese o giù di lì. (…) e da come sta seduto si vede benissimo che non è molto abituato a sedersi. No, non c’è proprio abituato.”

«Sono i bolscevichi a rovinarci la piazza», ripeteva, «A forza di insolenze e pagliacciate aizzano i maledetti capitalisti contro di noi, lasciandoci con un pugno di mosche; invece di fare le cose come si deve. L’unico modo per ottenere qualcosa è fare come si deve»

 

La sconfitta dell’aviazione italiana a Reykjavík nel 1933

“L’Islanda è l’unica nazione al mondo a non avere un esercito, ecco perché questi poveri isolani non hanno mai conosciuto lo splendore glorioso che emana dalle divise, come dai titoli e dai gradi che questi strani capi d’abbigliamento rappresentano.”

“Tuttavia, le divise non sono del tutto sconosciute in Islanda.”

Ci sono infatti i militanti dell’esercito della Salvezza, c’è la polizia; ci sono i postini “che hanno adottato l’uniforme dei rivoluzionari cubani. “Da ultimo, quando sono arrivati qui gli albergatori che avevano studiato è stata introdotta in Islanda la carica di garzone d’albergo, che da noi ha un nome italiano, «piccolo»” e contempla l’uso di una splendida divisa, senza però godere di un prestigio maggiore di altri titoli quassù, presso questo popolo di natura fredda (…)”

Succederanno cose interessanti quando la divisa di un gerarca fascista in visita (di nome Pittigrilli!) incontrerà la divisa del “piccolo” dell’albergo.

 

La Völuspá[i] in ebraico

“Ricevo oggi dal sign. Karl Einfer un assegno per l’importo di trentasette corone danesi per la versione ebraica della Völuspá: la presente vale come quietanza.”

“Strano tipo, Karl Einfer. Quando lo conobbi, estrasse dal taschino del panciotto un occhio di vetro verde, prelevato da una specie di testa di bambola, se lo mise a mo’ di monocolo e mi fissò.”

«A che serve quello?» gli chiesi.

«A spaventare i bambini», rispose. Parole testuali.”

 

Un’apparizione nell’abisso

“È seduta fuori sul balcone, in silenzio, davanti alla porta a vetri, la testa ciondoloni come un tralcio di vite. Si guarda in grembo e il profumo del sogno le sale in viso. (…). Nella calura di mezzogiorno tutto tace tranne la cicala, invece la sera c’è la banda che suona giù in piazza.”

(…) “Quando viene sera mi siedo alla finestra a leggere un libro, ma in realtà non lo leggo: penso all’Etna, al di là dell’abitato. Spesso mi cade lo sguardo dall’altra parte della strada, ma mai verso le porte a vetri dirimpetto. Bensì verso la montagna (…)

“E la mia ragazza se ne sta seduta davanti a quella porta, in trasognata attesa (…)”

 

Temucin[ii] torna a casa

“Quando il nomade Temucin ebbe conquistato con il ferro e con il fuoco più di metà del mondo (…) cominciò a meditare sul modo migliore di percorrere la via per l’Himalaya e il Tibet e assoggettare il popolo del Buddha, ma poi un giorno accadde che, davanti alle sentinelle che il Gran Khan aveva piazzato sui monti, dalla foresta balzò fuori un animale che assomigliava a un cervo grandissimo, di color verde, con la coda come quella di un cavallo e un corno solo; si fermò su un dosso di fronte a loro, li guardò con occhi scuri e placidi, e cominciò a parlare:

«Dire al vostro signore che è ora di tornare a casa.»

Era il momento di fermarsi e “tornare nelle sterpaglie del nord, dove l’acqua dei fiumi è fredda e limpida e ha un mormorio allegro come le campanelle.

Temucin meditò a lungo (…) e pensò agli anni dell’uomo, che sfrecciano via con la rapidità del fulmine”.

«Han-lo», disse. «Sono stanco dei buffoni. Da noi non ci sono dei maghi veri, che conoscano l‘arte di preparare insolite pozioni che diano oblio, saggezza o lunga vita?»

Buona lettura!

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[i] La Profezia della veggente, storia della creazione del mondo e della sua fine, primo racconto dell’Edda poetica.

[ii] Gengis Khan