
Avevo accennato, nei miei progetti per il prossimo anno, alla possibilità di dedicare una specifica attenzione alla cosiddetta “narrativa per ragazzi”. Alla “narrativa per l’infanzia”. Mi piacerebbe davvero metterla a tema, anche solo per sciogliere il nodo di cosa sia, come si possa concettualizzare questa speciale area di lettura. “Se”, dopotutto, sia possibile, o utile, il farlo.
Per ora, ho solo il desiderio di lasciar vagare il pensiero su questa cosa, sperando anche in un dialogo, sognando un brain storming sul tema, lasciando che per il momento qualche riflessione se ne vada a zonzo in questo spazio, senza obiettivi, senza alcun punto di sintesi da raggiungere.
Trovo difficoltà a comprendere questa sorta di separazione, venendomi più facile circoscrivere, penso ora, una narrativa riservata unicamente ai vecchi – a lettori “Grandi Adulti”, come mi è avvenuto di definire quella fetta della popolazione che, in una società come la nostra, tristemente carente di giovani e bambini, ingloba, senza esaurirla, la trascorsa categoria “Anziani”, divenuta a sua volta indeterminata, un insieme confuso dai contorni vaghi.

Può essere che io desideri recuperare, a mio favore, la quota di infanzia, di giovinezza, di giovane adultità che costituiscono parte integrante della mia come di ogni storia di vita? Senza di che, oltre a perdermi, per un equivoco, molti bei libri e molto benessere, opererei una mutilazione grave del mio oggi, costretto a reggersi su fondamenta dimenticate, vittime di incuria, lasciate marcire.
In questo spazio ho anche proposto alla lettura adulta alcuni libri che vengono di regola assegnati al contenitore “narrativa per ragazzi” e l’ho fatto assumendo che il loro valore non appartenga al target in modo esclusivo; che anzi, si tratti di libri che parlano al lettore di ogni età, anche nei casi in cui siano stati volutamente scritti come libri per l’infanzia.
Penso dunque, tra gli altri, allo Stevenson dell’”Isola del Tesoro” (qui), alla mappa disegnata per un bambino che ha fornito all’autore l’alibi per dar vita a quel grande, complesso e bellissimo personaggio che è Long John Silver, per fantasticare e abitare un mondo e una storia, insieme a tutti i lettori che lo avessero voluto. Si è trattato della fantasia e del piacere di narrare di un adulto: perché mai dovremmo pensare che non vi corrisponda, anche, il piacere di leggere e di sognare di un altro adulto?

È vero anche l’inverso. Volendo fare una panoramica sui “classici” per l’infanzia, Harriet Beecher Stowe ha scritto “La capanna dello zio Tom” – pubblicato a puntate, con grande successo, su un quotidiano di Washington – a sostegno della battaglia per l’abrogazione della schiavitù; il successo, nel mondo adulto, è stato tale da far dire al Presidente Lincoln, che la incontrò a guerra civile iniziata: “Allora questa è la piccola signora che ha scatenato questa grande guerra”.
Ancora: Jonathan Swift ha scritto “I viaggi di Gulliver”, nella forma del racconto fantastico di viaggio, utilizzando la figura retorica dell’allegoria, in un’opera a carattere satirico, di denuncia della realtà politica e sociale del suo tempo. Si tratta di un libro che brilla per pessimismo sulle sorti della società. Interessante, dunque, e di fondamentale importanza nella lettura di quest’opera, osservare come la forza della sua denuncia sia stata depotenziata proprio dal successo del libro nella veste impensata di racconto per l’infanzia.
Oggi, troviamo l’opera di Swift, liberamente e “topescamente” adattata, pubblicata a firma Geronimo Stilton[i], unitamente a tutti i maggiori classici della letteratura per l’infanzia, buona parte dei quali non sono nati come tali – solo ad esempio, per restare ai classici del ‘700 che ancora oggi si leggono, c’è il “Robinson Crusoe” di Daniel Defoe, libro certamente non indirizzato all’infanzia e che ebbe un enorme successo; c’è “Il richiamo della foresta” di Jack London, e “Sandokan – i pirati della Malesia” di Emilio Salgari. Una particolare menzione deve andare, e torniamo al ‘900, a “Il libro della giungla” di Rudyard Kiplling per il quale il suo autore ottenne, nel 1907, il Nobel per la letteratura, e che oggi vede un Mowgli tramutato in topo nel mondo di Geronimo Stilton (deduco dalla copertina: non l’ho mai sfogliato).

Per “Alice nel paese delle meraviglie”, più che per qualunque altro un libro scritto non solo per bambini ma addirittura per una precisa bambina, Alice LIddell, è parso necessario fare scempio, attraverso le riduzioni più devastanti, per farne la storia sterilizzata che tutti conosciamo, e farla tacere, nascondendo, con il libro, anche Lewis Carroll, il suo autore. E a ben guardare, è interessante il fatto che tutti i bambini, nonostante tutto, in quella storia sappiano entrare benissimo e la amino, nonostante le distorsioni che vi vengono apportate, mentre pochi adulti la leggono, essendo evidente che, se pur scritta come favola per una bambina, l’autore vi ha inserito molto altro.
Arriviamo ad oggi: la Saga di Harry Potter è stata scritta per lettori adolescenti: e tuttavia! Alla fine, sono la tipologia delle illustrazioni di copertina e i disegnini all’interno di ogni volume ciò che rende quei sette libri, o meglio le loro prime edizioni, date alla stampa nell’arco di sette anni, indirizzati sicuramente ai ragazzi. Senza tener conto del fatto che, libro dopo libro, al crescere dell’età del protagonista, la storia evolve e sicuramente l’ultimo libro della saga – “Harry Potter e i doni della morte” – non è adatto ai lettori del primo volume, “Harry Potter e la pietra filosofale” (qui), mentre tutta la saga sarà godibilissima e di grande interesse per il lettore adulto che, come tale, possiede tutte le età che la sua vita ha attraversato: si è “ragazzi” (e molto diversi l’uno dall’altro) per pochi anni della nostra vita, e adulti per tutto il nostro restante tempo, lungo anni che non saranno uguali, che presenteranno bisogni e interessi molto diversi.
In quale categoria di lettori collocheremo dunque il “ragazzo”, minimo sedicenne, che leggerà l’ultimo volume della saga? Sicuramente tra i lettori adulti, pur tenendo in debito conto i bisogni, gli interessi, la specificità emozionale e affettiva delle diverse età della vita. Così, se a pochi giovani lettori potrà esser utile leggere da adolescenti “La montagna incantata” di Thomas Mann altrettanti pochi lettori di età matura sceglieranno di rileggere “Siddharta” di Hermann Hesse, o il bellissimo “Ehrengard” di Karen Blixen.

La verità è che, andando a toccare, a far risuonare, corde non più pizzicate dei nostri giovani anni, e parlo naturalmente per coloro che li hanno alle proprie spalle, rischiamo di mettere in moto, di risvegliare, emozioni, energie, sogni, che scopriremo forse perduti, che proveremo timore nel risvegliare, o nello scoprire che non ci sono più accessibili; potremmo persino provarne dolore.
C’è, credo, qualcosa del genere, che ci porta a collocare la “narrativa per ragazzi” in una categoria protetta, assolutamente curata ma da tener lontana, in un territorio confinato perché, forse, pericolosa per la nostra necessità di non sognare più come allora, di non soffrire, di non dover fare i conti con quanto di noi è rimasto sul percorso.
Esiste dunque, sotto la scorza razionale della categorizzazione per età delle storie, una corazza che dovrebbe difenderci? Se così fosse, spero non funzioni, spero si inceppi, almeno un po’.
D’improvviso, una voce scandisce nella mia testa dei versi, di una poesia che subito non riconosco. La voce dice “Fermati là / Là dove sei / Là dove sei stato altre volte / Fermati / Non muoverti / Non andartene”. Parla di qualcosa da non perdere, da trattenere, di qualcosa di prezioso che sfugge dalle mani della vita.
Recupero il ricordo. Si tratta di “Questo amore”, di Jacque Prévert; e credo abbia a che fare, oggi, ora, con – la nostalgia? – del vivere sapendosi innamorati di tutto (di lui, di lei, di un’idea, della stagione e del giorno), in un tempo in cui l’essere innamorati era il modo stesso di esistere, quando neppure si pensava a fuggire le emozioni, aria che si respirava per vivere, acqua da bere a grandi sorsi. Ed ecco il vecchio poeta, in un’altra età, dire a quel nostro tempo, a tutto quell’amore, non importa per chi, per cosa, neppure per quanto, “non andartene”.
Temo che, per riagganciare almeno un po’ di quella cosa non basterà tornare alla narrativa per ragazzi. Forse serviranno anche le fiabe. Tutta roba per adulti, a ben vedere. I ragazzi, i bambini, ne hanno meno bisogno: ci vivono dentro. A patto che glielo si consenta, naturalmente. Che non ci faccia paura il loro mondo e il frequentarlo con loro per mano.
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[i] Personaggio, in forma di cartoon, nelle vesti di un topo che vive in una città di topi, creato da Elisabetta Dami. Oggi un “impero” di pubblicazioni per l‘infanzia, compreso, appunto, l’adattamento dei grandi classici della letteratura di area