Fare cose con le parole

Harry Potter e la pietra filosofaleJ. K. Rowling, “Harry Potter e la pietra filosofale”, Salani Editore 2013

E così, mentre sto leggendo la biografia di J. M. Keynes di Robert Skidelsky, e mentre siamo prossimi al Natale, eccomi a rileggere i romanzi della serie di Harry Potter.

Sette romanzi, che narrano sette anni scolastici di Harry Potter, un ragazzino che appartiene al popolo magico, la comunità parallela con la quale conviviamo senza saperlo; un popolo che ha le sue città, i suoi legislatori, il suo governo (il cui primo compito è non far scoprire alla società dei non-maghi, a noi “Babbani”, la propria esistenza).

In questo mondo, nascosto e intrecciato con il nostro – abitiamo gli stessi spazi, lo stesso tempo, ci frequentiamo senza saperlo – in Inghilterra opera la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, istituzione millenaria presso la quale si formano, nel corso di sette anni di studio, i maghi e le streghe. Hogwarts costituirà l’ambiente nel quale si svolgeranno le avventure del giovane Harry Potter, eroe designato per combattere e sconfiggere Voldemort, un grande Mago del Male che, avendo ucciso i genitori di Harry quando questi aveva un anno, non era riuscito a uccidere lui, destinandolo a vivere con la famiglia degli zii, i signori Dursley, fino al compimento degli undici anni, quando scopre di appartenere al popolo magico.

I signori Dursley, che hanno un figlio, Dudley, viziatissimo grasso e pigro, sono terribilmente benpensanti e ligi alle regole sociali. L’incipit del primo libro in proposito è una meraviglia:

Mr e Mrs Dursley, di Privet Drive numero 4, erano orgogliosi di poter affermare che erano perfettamente normali, e grazie tante.” Dopodiché, tutto segue.

Sette romanzi, dunque, per sette anni a Hogwarts, nel corso dei quali si svilupperà la lotta tra Voldemort e il giovanissimo Harry Potter: il ragazzo riuscirà ogni volta a vincere la sua battaglia, mai definitiva, fino al grande duello finale e al ritorno della pace, nel mondo magico e, per estensione, nel nostro mondo.

Ogni romanzo è una lettura avvincente che basterebbe da sola a giustificare l’opera sul piano dell’intrattenimento, ma c’è molto di più.

C’è una storia che, quando si siano definite la struttura e le regole di vita di questo mondo parallelo, mostra la vita, la crescita, lo sviluppo dei rapporti di amicizia e di ostilità, il nascere dei problemi di un ragazzo, e dei suoi amici, e viene tessuta una storia di formazione di grande livello, proprio in quanto sostenuta – mascherata? – dalla narrazione avvincente, dalla fantasia attraverso la quale gli aspetti, se vogliamo chiamarli così, formativi, vengono assimilati, introiettati, attraverso un processo che aiuta l‘arricchimento personale, l’educazione al sentimento e alle sue difficoltà.

Ci si dimentica che Hogwarts è un luogo della fantasia, ci diventa familiare, ci si muove al suo interno abitandolo, possedendone le regole, i luoghi, si vive nel grande castello con le sue centinaia di scale, che cambiano di posizione e direzione a loro piacere, le sue stanze segrete, dove convivono studenti, professori, elfi domestici, fantasmi, quadri parlanti, e un mondo ricco di forme di vita diverse, benevole e non. Nulla appare strano, o stupefacente; Hogwarts diventa la nostra casa, per noi come per Harry.

Ci sono i ragazzi e le ragazze, giovani maghi e streghe che diventano nostri amici; ci sono le difficoltà della crescita, e della vita, gli innamoramenti, che sono i nostri; ci sono gli insegnanti, e tutti noi abbiamo avuto una “professoressa McGranitt”, grande figura di riferimento che era bene “non contrariare”. E un malevolo e irascibile professor Piton, che tormentandoci ci ha insegnato, involontariamente, ad usare il controllo delle nostre reazioni. Su tutti e su tutto troneggia la figura carismatica del preside, il professor Albus Silente, che risulterà profondamente umana e fragile nella sua grande forza di mago buono e potente, il più grande mago che sia mai esistito, dicono di lui.

E ci sono le magie, gli incantesimi, che via via gli studenti apprendono, le parole che devono essere pronunciate bene ma che, per essere efficaci, richiedono “un grande potere magico”, vale a dire la forza interiore e la fantasia che trasformano le parole in azioni, che consentono di “fare cose con le parole” e inevitabilmente il ricordo va al grande filosofo e linguista John L. Austin, e al suo libro “Come fare cose con le parole”, nel quale mostra come non sia possibile opporre il dire al fare e come le parole siano capaci di far esistere e dare forma a nuove realtà.

E il dubbio diventa certezza, Hogwarts è ovunque noi possiamo chiamare un luogo “casa”, e non vi è, come voleva il malvagio Voldemort, discontinuità tra maghi e babbani non-maghi, ma una continuità che passa attraverso la forza, chiamiamola pure il potere magico, che sostiene e rende efficaci le parole con le quali, e chiamiamoli pure incantesimi, tutti diamo forma alla nostra realtà.

E non c’è discontinuità neppure tra il vivere e il morire, che del vivere fa parte. E come la parola, magica in sé, è azione, il nostro pensiero costruisce la realtà in cui viviamo, costruisce la qualità della nostra vita e della nostra morte, che del vivere fa parte, senza soluzione di continuità (e i richiami filosofici e non solo echeggiano a lungo in noi, dopo che abbiamo riposto il libro).

Così, il vecchio preside di Hogwarts Albus Silente, morto nella lotta, si materializzerà per Harry che, colpito da Voldemort, non sa se non sia egli stesso morto, e lo indurrà a riaccettare la vita; e quando Harry gli chiederà, sbalordito per quell’incontro in un luogo irreale, non sapendo di sé, “Ma tutto questo, è vero? o sta succedendo solo nella mia testa?” Silente risponderà sorridendo “Certo che sta succedendo dentro la tua testa Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?”