Identità e violenzaSono trascorsi dodici anni da quando – era, credo, il 2006 – Amartya Sen ci ha regalato questo suo libro. Dopo le Torri Gemelle, Il problema dell’altro-nemico era, credevamo, al suo massimo. Ne avevo proposto la lettura – era il maggio 2015 – a distanza di nove anni; e a distanza di un anno dall’apertura di questo spazio, senza poter dare a questo libro una almeno minima visibilità.

Il libro è sempre in circolazione. Le edizioni sono state multiple; ed è purtroppo un libro sempre molto attuale. Che contiene, in chiusura, una speranza – razionale, limitata – che Amartya Sen esprime con il suo linguaggio caldo, semplice, chiaro, che aiuta chi lo condivide a trovare le parole giuste, e pacate, per dirlo: cosa non sempre facile.

Ve lo ripropongo: in questi giorni che non riesco a descrivere se non come paurosi.

 

Amartya Sen, “Identità e violenza”, Laterza 2006 (4a edizione 2011)

L’Islam”, “i musulmani”, “i cristiani”, “lo scontro tra civiltà”, “loro”, “noi“. Sen affronta il tema dell’identità e del come questa diventi, necessariamente, una “identità violenta” quando, ponendosi come il tutto che definisce una persona, cancella la molteplicità delle appartenenze che ci caratterizzano. E questo avviene, in particolare, quando un’identità, resa cosignificante del tutto di un essere umano, è quella etnica (qualsiasi cosa ciò significhi, mi permetto di aggiungere) e religiosa.

Wolfram Eilenberger, “Il tempo degli stregoni. 1919 – 1929. Le vite straordinarie di quattro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero”, Feltrinelli 2018

Traduzione dal tedesco di Flavio Cuniberto[i]

 

È stata una lettura lenta, godibile e goduta. È stata pure una lettura che mi ha suscitato un qualche disagio, una qualche riserva mal chiarita, anche mentre mai avrei lasciato la pagina che, lungo tutto il libro, mi teneva avvinta.

È stata una lettura che ha provocato in me una vera e propria urgenza di altri libri da leggere; che ha provocato la riemersione di testi abbandonati da tempo e di testi mai letti, da recuperare.

È stata dunque una lettura fruttuosa. Segnata tuttavia da una riserva, unita al timore di scoprirmi ingenerosa, di scoprirmi a volere la luna. Capita, quando un libro suscita speranze eccessive, per qualche motivo indecifrabile, anche solo per un buon incipit, come questo:

E. M. Cioran, La caduta nel tempo, Adelphi 1995

Pubblicazione e Traduzione sotto la direzione di Mario Andrea Rigoni

Devo confessare una fascinazione che mi prende, sempre, quando leggo Cioran. Mi prende lo stupore per la densità e la precisione delle sue parole, che non di rado incontrano, regalando un senso di vertigine, l’impossibilità di accogliere ciò che scrive, ne verrebbe a rischio ogni serenità mentale; sento la tranquillità con cui infine sarà non solo possibile ma addirittura facile, direi risolutivo per la propria pace interiore, accoglierle, aderendovi nel sentimento profondo della meta raggiunta, in cui il pensiero può finalmente riposare:

Raffaele Simone, “La mente al punto. Dialogo sul tempo e il pensiero”, Editori Laterza 2002

 

“Lasciamo perdere, per favore.

Almeno mi lasci spiegare un po’ meglio…

 Cosa c’è da spiegare? Lei mi ha chiesto di parlare dell’invecchiare, anzi del modo in cui <IO> sto invecchiando, e di far questo io non ho nessuna voglia.

 (…)

platone-tutti-gli-scritti-a-cura-di-giovanni-reale-rusconi-editoreRepubblica, Libro I (Da: Platone, Tutti gli scritti, A cura di Giovanni Reale, Rusconi editore 1992

 

Queste righe non sono nate come proposta di lettura. Pure, possono esserlo, certo. Dopotutto, le opere di Platone vengono pubblicate senza interruzioni da…In realtà non lo so, diciamo da sempre, da che esiste la stampa?

Pure, difficile che qualcuno cui si chieda cosa sta leggendo, risponda “I dialoghi socratici”; o “Repubblica di Platone. Salvo obbligo scolastico, e correlati. Mentre è reale che costituiscono una lettura interessante, e piacevole, quando non addirittura divertente (I dialoghi, dico; la Repubblica no, è solo interessante).

 roberta-de-monticelli-al-di-qua-del-bene-e-del-maleRoberta De Monticelli, “Al di qua del bene e del male”, Einaudi 2015

 

Ma se dei pezzenti avidi di trar profitto personale si avventano sul bene pubblico, con tutte le intenzioni di doverne strappare  il proprio tornaconto,  non ti sarà possibile avere una Città ben governata,  in quanto, essendo il potere oggetto di discordia, una guerra fratricida e intestina prima o poi  manderà in rovina i contendenti e con loro tutto il resto della Stato”

Platone, Repubblica, Libro VII

Carlo Rovelli, «Sette brevi lezioni di fisica», Adelphi

Sette brevi lezioni di fisica«Noi, esseri umani, siamo prima di tutto il soggetto che osserva questo mondo, (…). Siamo nodi di una rete di scambi, di cui questo libro è un tassello, nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazione e conoscenza. Ma del mondo che vediamo siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall’interno. Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie»

Sul mio tavolo ci sono un pacchetto di libri, che ho acquistato, che ho scelto. Che desidero leggere, che mi corrispondono, almeno credo. Pure, forse un articolo particolare letto, forse il bisogno di riposare la mente su qualcosa che permetta al quotidiano di prendere un’altra dimensione, ed ecco che nelle mani ho un altro libro, di altra area. Mi incuriosiva da tempo, per la verità.

La filosofia o l'arte di chiudere il becco alle donneFrédéric Pagès, “La filosofia, o l’arte di chiudere il becco alle donne“, il melangolo 2010

Terminato il racconto del mito di Pandora, lasciamo le donne, necessarie compagne dell’uomo, la cui bellezza nasconde “l’indole di una cagna e il temperamento di un ladro” e ci spostiamo, nel tempo, ad una modernità nella quale, pur se il mito sopravvive, la posizione della donna nella società occidentale si vuole sia, almeno sul piano del diritto, risolta nel migliore dei modi.

Se volessimo prescindere dall’effettivo godimento, nelle loro vite concrete, dei diritti di cui le donne sono titolari al pari degli uomini, sarebbe difficile comprendere come il mito oggi sopravviva e trovi ancora ascolto; persino <dalla parte delle donne> che sentono, credo, in questa sopravvivenza del mito, una qualche conferma del disagio esistenziale che vivono, acuito da una strana difficoltà nel poterlo dimostrare, finanche ai loro stessi occhi.

Pandora, la prima donnaJean-Pierre Vernant, “Pandora, la prima donna”, Einaudi 2008

Un libriccino, cinquanta pagine, arricchite da bei disegni, che si leggono tuttavia in un tempo meno breve di quanto la dimensione potrebbe far pensare; pagine scorrevoli, una lettura piacevole, che porta a fermarsi, a sorridere, a distrarsi nel pensiero delle conseguenze, a sogghignare e, perché no, tirare dei bei sospiri mentre si affastellano alla mente i molti significati e le infinite implicazioni, non banali, di una storiella amena, o che tale potrebbe sembrare ma non è. Non per nulla, da quasi tremila anni viene ripresa, e ripensata, e conserva un senso, e anche qualcosa, anzi molto, di più.

Elogio del politeismoMaurizio Bettini, “Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare oggi dalle religioni antiche”, Il Mulino 2014

Questo libro parte da un interrogativo di grande interesse che tuttavia, di primo acchito, lascia stupiti e incerti. Provo a formularlo: “Quale ruolo svolge, oggi, nel nostro mondo, la religione degli antichi?

Strana domanda, non c’è dubbio. Eppure, si rivelerà non solo legittima ma anche capace di svelare aspetti importanti del nostro oggi. Bettini pone il tema compiendo un’operazione con la quale ci precipita dentro la domanda, avendone presentato l’origine in modo lineare, chiaro, tale da non potervi opporre alcuna resistenza.

L'odio è antiquatoGünther Anders, “L’odio è antiquato”, Bollati Boringhieri 200″

Lei non odia niente?”
“Certo – rispose Zenone. – Qualcosa sì”
“E cosa?”
“L’odiare”
“E nient’altro?”
“Qualcos’altro.”
“E cosa?”
“L’essere, comunque, costretto ad odiare.”

Un libriccino. Ottanta pagine totali, per un pensiero che, liscio liscio, non lascia scampo.

Oggi è il 25 aprile, e mi vien da pensare che onorare la Resistenza richiede anche l’impegno in un forte pensiero sull’oggi, su ciò che ancora ci trasciniamo da allora e su ciò che, in un mondo diverso, è il volto attuale del pericolo, pena l’ipocrisia magari involontaria del non aver voglia di capire (ancora una volta).

Antonio Gramsci, 1891 - 1937Franco lo Piparo, “Il professor Gramsci e Wittgenstein. Il linguaggio e il potere”, Donzelli Editore 2014: (segue)

 L’avevo detto, nel mio post del 4 novembre “Il compagno professor Gramsci: tra dialogo filosofico e lealtà multiple” (In: Filosofia e dintorni) che si sarebbe trattato unicamente di una “Introduzione”. Ora, si tratta di riprendere dalla domanda: quale era l’oggetto di una conversazione così pregnante da far sì che quegli uomini proseguissero il loro indiretto colloquio ignorando il mondo che si preparava ad andare in frantumi?

Il professor Gramsci e Wittgenstein. Il linguaggio e il potereFranco Lo Piparo, “Il professor Gramsci e Wittgenstein. Il linguaggio e il potere”, Donzelli Editore 2014

Franco Lo Piparo, “I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista”, Donzelli Editore 2012

Questa sarà una “recensione” un po’ anomala, e cercherò di chiarirne i motivi. Innanzitutto perché si trovano, consigliati insieme, due libri di Franco Lo Piparo che, nel tracciare, in Il professor Gramsci e Wittgenstein. Il linguaggio e il potere”, gli scambi avvenuti tra Ludwig Wittgenstein e Piero Sraffa, ambedue impegnati a Cambridge, e tra Antonio Gramsci[i] e Piero Sraffa[ii], amici e ambedue impegnati sia negli studi sia nella vita politica italiana e nell’opposizione al fascismo, fa riferimento, inevitabilmente, alla storia di vita dei personaggi implicati.

Remo Bodei, “Generazioni. Età della vita, età delle cose”, Editori Laterza 2014

Ciascuno di noi, vale la pena ricordarlo, è il risultato di una
Ininterrotta sequenza di viventi

 

COPERTINA BAUMAN DEFINITIVOIn un dialogo, tenuto da Remo Bodei nell’ambito di ‘Repubblica delle Idee’, nel settembre 2013, dal titolo Noi, poveri post umani, schiavi delle nuove libertà, il filosofo, parlando della difficoltà di vivere in un mondo che ha perduto la sua capacità di stare dentro una identità e un tempo condivisi e accettati – tra il nascere e il morire – osservava che è proprio dell’uomo, è un suo specifico, essere preda della “mala contentezza” che gli impedisce di accettare il limite.[i]

E questo mi fa pensare a Gehlen[ii], alla sua definizione dell’uomo comeanimale carente”. Egli diceva che l’uomo è il solo animale a nascere prematuro, non in possesso di strumenti adatti a fronteggiare un ambiente che gli sia proprio (la pelliccia, per un animale che nasce in ambienti freddi, la capacità di fuga, per un animale della savana, gli artigli, etc.). Egli deve costruire da sé il proprio ambiente e questo gli consente, paradossalmente, di potersi adattare agli habitat più diversi. L’uomo, privo di istinti naturali, opera attraverso lo strumento culturale, che è la sua ‘natura’.

Ora, Bodei parte con la sua analisi dalla tradizionale divisione della vita in tre fasi – gioventù, maturità, vecchiaia – che, “deriva dalla ripetuta esperienza quotidiana del corso del sole: ascesa, zenit, declino” anche se, aggiunge, “a dare ascolto a Oscar Wilde ‘essere immaturi significa essere perfetti’, non rinunciare mai a ulteriori cambiamenti”. Ritorna il tema: l’uomo è il solo, tra gli animali, a trarre da questa immaturità la propria forza, ricavandone innanzitutto la propria sopravvivenza.