Avviso ai naviganti n° 7

È probabile, quasi certo, che la libraia virtuale si prenderà un periodo di ferie, fino alla conclusione dell’anno. Magari non del tutto, ma per lo più. Salvo fatti, o letture, eccezionali, di cui non possa trattenersi dal dar conto immediato.

La libreria, ovviamente, rimane sempre aperta ai visitatori, sempre graditissimi: è il grande vantaggio del virtuale. Rimarrà naturalmente sempre attiva anche l’attenzione alle novità che gli altri blog amici proporranno, e il colloquio, il confronto. Solamente, non troverete, per il momento, nuove proposte di lettura, che cercherò, nel caso, di accumulare per un buon avvio del nuovo anno.

Nel corso del mese, tuttavia, potrebbero esservi delle “Offerte Speciali“: vale a dire, il suggerimento di qualche libro già proposto nei cinque anni trascorsi, che potrebbe essere sfuggito alla vostra attenzione, il cui interesse si coniughi con il momento attuale; qualcosa così, tanto per far sbrilluccicare un po’ la vetrina di Natale recuperando buoni libri.

Il mese di dicembre è, a tutti gli effetti, un mese speciale; in particolare, quest’anno, lo è per me.

Al Natale scorso, i miei due nipotini erano diventati tre; ora sono quattro e, confesso, la mia attenzione, in questi giorni, è già molto concentrata su favole, da leggere, magari da scrivere e da prepararsi a raccontare; e su liste per Babbo Natale.

Ancora: questo spazio compie cinque anni. Non è un grande tempo. È stato un tempo per me importante, nel corso del quale ho incontrato, in modo nuovo, libri e, soprattutto, lettori, e scritture, che mi hanno arricchito di contenuti e di relazioni carichi di significato. Sento dunque un certo qual bisogno di festeggiare, con me; mentre l’anniversario, chiamiamolo così, è qualcosa che somiglia un po’ a quando, a scuola, si iniziava un nuovo quaderno: uno di quelli belli, neri, seri, con il bordo pagina rosso.

Questi sono gli aspetti positivi del mio prevedere che non ci saranno nuovi arrivi in libreria fino al nuovo anno.

C’è tuttavia, e soprattutto, qualcos’altro. Sto leggendo – l’ho già detto – “La montagna incantata” di Thomas Mann; e non posso scendere a valle, non ci riesco.

Neppure posso leggerlo tutto d’un fiato. Pure se è proprio così, tutto d’un fiato, che ne ricordo la ormai lontana prima lettura – di un libro di cui mi sono innamorata, che mi ha fatto compagnia a lungo nel ricordo ma che, diversamente dalle mie abitudini, non avevo mai riletto, a distanza.

Mi aveva riempito. Era dentro di me. Non ce n’era bisogno. Non so. A quel tempo, lontano decenni, è accaduto qualcosa del genere.

Un romanzo di formazione. Certo che sì. Così viene qualificato dalla critica.

La storia, di massima, è nota. Il giovane Hans Carstop, in procinto di iniziare il suo primo lavoro come ingegnere navale, si reca nel Berghof di Davos, un sanatorio in alta montagna dove è ricoverato il cugino Joachim Ziemmsen, ammalato di tubercolosi, per una visita-vacanza di tre settimane.

Nel corso degli anni, dentro altre età, mi sono riproposta molte volte di rileggere questo libro, senza passare all’atto. Ora, questo si è rivelato il momento giusto per affrontarlo. La spinta: un momento interno, credo, sostenuto da un momento esterno che, forse, usa male questo capolavoro, ma tant’è.

Lo usa, e questo va bene, per stare dentro al tempo che stiamo vivendo, un tempo devastato; e dolorosamente pensare a un altro tempo, ancora provvisoriamente illuso; un tempo, ancora per poco, dagli occhi chiusi. La vicenda si svolge tra il 1907 e il 1914.

Lo usa, tuttavia, anche (al momento, per ora, dentro le pagine in lettura) e forse soprattutto, per illusoriamente fuggire il tempo presente; per rimanere là, se fosse possibile, anno dopo anno, nel Berghof di Davos, sulle montagne svizzere dove la storia del giovane Hans Carstop si snoda, nel tempo in cui la tubercolosi imperava e uccideva rapidamente i poveri.

il Berghof era un luogo per ricchi, che potevano acquistare per sé una vita più lunga, con la speranza di sconfiggere la malattia; in un luogo che ti catturava e ti tratteneva in sè.

Anche il lettore vorrà (non vorrà, si ribellerà, accoglierà) rimanere illusoriamente là; fuggendo la malattia del vivere? Per tutti, la morte è a portata di mano, ma nel frattempo: una sedia a sdraio, il buon freddo asciutto di montagna, avvolti da buone calde coperte; la scelta di conversare, ma anche no; con regole certe da seguire: non molte. Semplici.

Libro di una certa mole, senza eccessi (circa settecento pagine), che – ora – non può essere letto d’un fiato. Forse da giovani. Non so. Oggi, il libro mi chiede la sosta ad ogni pagina, che pure scorre facile, discorsiva, piacevole; ad ogni frase, che si rivela un’intera summa di qualcosa.

Il momento interno – per la verità, niente di particolare, se non, forse, l’età. La mia, attuale. Bildungsroman? Non credo. Proprio no.

Ho ancora poco meno di metà libro di fronte a me; non posso dire, ora, come credevo, di ricordarlo. Non davvero. La persona che lo sta leggendo è un’altra; e incontra un nuovo libro.

Quando Mann pubblicò «La montagna incantata» aveva cinquant’anni – era il 1924 e, in Germania, tutto ciò che sarebbe avvenuto, nella sua impensabilità, stava avviandosi ad accadere.

La vita interiore dolorosa, complessa, del suo autore; molte cose, di quel dolore, privato, erano già accadute; molte erano in via di accadere. Molte cose, sentiva, sarebbero accadute, chissà quali, nella sua Germania. Sei anni dopo, Thomas Mann, nel 1933, lascerà la sua patria per sempre

Non devo farmi trascinare, ora, a parlare (della mia emozione, mutevole, nella lettura) di questo libro: lo farò, credo; non certo per farne, come si dice, “una recensione”. Per parlare unicamente di una lettura, la mia, di questi giorni.

Il momento esterno, che contiene, forse, un cattivo uso di questa lettura, trova la sua origine nei giorni che stiamo vivendo. Una fuga – sempre, qui e là, ancora una volta – illusoria.

Meglio non parlarne. Ma un problema si pone. La lettura e la vita. La lettura e i nostri giorni. Tutte le cose (direbbe Zerocalcare – ma guarda cosa mi viene in mente).

Sto intervallando la lettura di Mann con altre letture – non è possibile leggere Mann in ogni momento; non a letto, in via di addormentarsi; non è possibile leggerlo troppo a lungo – lo sguardo lascia la pagina e resta il pensiero, che permane, si agita e chiede attenzione. Finché non ci si scuote. Per fare altro. Il tempo per questo libro, per oggi, ogni giorno, deve chiudersi.

Sto riposando su vecchie cose – tipo Louis Bromfield, ve lo ricordate? “La signora Parkinson”, il mito americano, si fa per dire. Poi però no, “La grande pioggia” direi di no. Sarebbe troppo. Ma sarebbe possibile, meglio, recuperare W. S. Maugham, “Il filo del rasoio“, ci potrebbe stare.

Un nuovo libro, Ayse Kulin, “Le quattro donne di Istanbul”. Perché mi coglie il pensiero che, mutatis mutandis, è il “La signora Parkinson” di oggi? Nulla accomuna le due storie, eppure.

Ora vado a dormire, è tardi, con “Divorzio all’islamica a viale Marconi”, di Amara Lakhous; appena iniziato. Un giallo. Mi piace.

 

Per ora, lascio il mio arrivederci – restate con noi, come dice la pubblicità. La libreria è sempre aperta, ed è sempre bello ricevere visite, cogliere l’occasione per qualche chiacchierata. Ci saranno le “Offerte speciali”.

Con gli Auguri, al tempo loro giusto.