Rilassarsi fa bene, con una buona serie gialla

Avevo scritto quasi cinque anni fa, qui, ed è tuttora vero (qui):

(…) di fronte a un bel libro di autore esordiente, o non ancora molto conosciuto, mi trovo a dover far aggio su di un giudizio che deve forzare un pregiudizio, quantomeno riconoscendo che, se quel libro portasse la copertina di Einaudi (o di …) il libro potrebbe non piacermi, questione di gusti, ma riconoscerei più facilmente la qualità, non profonderei lo stesso impegno a cercar difetti, mettiamola così.”

Oggi come allora vado ancora alla ricerca di qualche libro, da diporto, diciamo, ma non solo, di autrice/autore (a me) sconosciuto; e pubblicato da una casa editrice mai sentita; o auto pubblicato: Amazon, youcanprint, da quelle parti.

È chiaro: la funzione della CE è primariamente quella di assicurare la diffusione e la reperibilità di un prodotto-libro ma, soprattutto, di certificarne la qualità. La CE che si sia conquistata sul mercato (e nei Premi, nella critica) un nome, non gioca, non dovrebbe giocare, la propria reputazione su di un autore “impubblicabile”. In conseguenza, garantisce il libro nei confronti del lettore.

In assenza di questa garanzia, possiamo dire che, quantomeno, per chi sceglie di acquistare un libro, non vi è certezza – non che tale libro piacerà (gusti personali, opinioni, momento sbagliato per una certa lettura) ma quantomeno che tale libro rispetti uno standard di qualità, di contenuto e grafico, atteso.

Pure: tra l’impubblicabile e ciò che ha una risposta positiva dal grande (si fa per dire) mercato ci sta una massa non banale di certificatissime pubblicazioni, di romanzetti e romanzacci, più o meno rosa, che rasentano-raggiungono l’improponibilità. Ognuno di noi ne ha esperienza.

Da parte mia, cerco dunque – pur affidandomi di regola alle grandi CE; e fidandomi, direi maggiormente, di alcune CE di piccole-medie dimensioni – di trovare criteri, diciamo esperienziali, per individuare la chicca, l’autrice/l’autore nascosto nella grande cesta dell’autopubblicazione o della piccola CE di scarsa diffusione cui, nel bene o nel male, la rete offre una chance.  

Ci sono le recensioni dei lettori, da cui intuire; c’è soprattutto, in Amazon e solo per l’e-book, quell’opzione molto utile che consente di leggere un sufficiente numero di pagine, incipit e a seguire, del libro. La scelta che ne seguirà sarà resa possibile dal desiderio di continuare a leggere: è, dopotutto, ciò che ci orienta anche in libreria.

Ed ecco: nel corso delle ultime festività, trascorse riservando spazi residuali alla lettura diurna, ma i soliti ampi spazi alla lettura, doverosamente distensiva, per l’addormentamento, ho ampiamente perlustrato e percorso le offerte di polizieschi, profondendo tutto l’impegno possibile per far convivere e-book a costo altamente ridotto con qualità accettabile delle storie.

Ed è sempre una soddisfazione quando avviene di trovare il gioiellino.

Andrea Nigro, Serie del Commissario Cataldis, in Amazon, e-book e cartaceo.

Costo e-book infimo, per ora. I lettori paiono essere un certo numero e l’autore parrebbe interessato a proseguire l’avventura (o almeno lo spero).

Di lui, poche notizie biografiche. Laureato in Fisica, già professore di Fisica Sperimentale presso l’Università Sapienza di Roma; dopo la pensione ha iniziato a scrivere polizieschi.

Ha autopubblicato con Amazon, finora, sei storie: e io, letta la prima, ho proseguito; me le sono bevute tutte; sera dopo sera.

Sono un’insonne. Ora, tra i miei simili, c’è chi assume un farmaco per dormire; io assumo un libro per rimanere felicemente sveglia, e godermi la notte, un tempo di vita che, diversamente dalle ore del giorno, nessuno disturba o interrompe: è la soluzione perfetta in vista di un sereno addormentamento naturale, a storia chiusa.

Di seguito, ho effettuato il test che, di regola, compio in questi casi. Mi sono riletta un paio dei romanzi ed essendoci riuscita con piacere, confermo: si tratta di buone storie, sostenute da una scrittura scorrevole e felice. Ma non solo: è già molto ma, come ben sappiamo, non basta.

C’è l’ambientazione: una Roma reale, di cui percorrere non l’aspetto alternativamente turistico o strumentalmente critico per i problemi che affliggono quella grande città, bensì la normalità e la quotidianità dei luoghi, problemi compresi, certo, ma che non sono tutto.

Si percorrono le vie dei quartieri, si frequentano caffè, si mangia. Si incontra gente. Nessuna soluzione di continuità tra buoni e cattivi, come nella realtà, dopotutto.

In queste storie, a Roma, ci si abita. Con affetto, direi.

Poi, c’è la storia, e ci sono i personaggi che la fanno vivere.

Protagonista: Sergio Cataldis un Commissario di Polizia della Squadra mobile, sezione Reati contro la Persona (detta all’americana: Squadra Omicidi) che si segnala per una tranquilla, rilassante normalità: bell’uomo, parrebbe (ma non viene mai propriamente detto); nessun tic particolare; nessuna storia contorta alle spalle né nel presente. Si tratta semplicemente di un tale che fa il proprio mestiere e lo fa bene, amandolo. Un investigatore capace, amato e rispettato dai suoi collaboratori, tra cui, a far da spalla, troveremo una giovane ispettrice di più che bella presenza e dotata, a sua volta, di impegno e capacità.

Ed ecco, la figura dell’Ispettrice crea – è una regola dei romanzi di serie – il sospetto di potenziali evoluzioni-ramificazioni delle storie. E chi legge inizia di già a prender parte, lasciandosi andare a sospetti, su possibilità sperate, temute.

Non so per voi ma, per me, la prova che un libro è buono sta (anche) nel fatto che, leggendo, ci si impegni, da subito, a riscriverlo, a farne deviare la trama, ad aprire attese e possibilità. Che ne dite? Per quanto mi riguarda, vale per i capolavori della letteratura e vale per il romanzo di intrattenimento.

Avremo poi, in queste pagine, un giusto quantitativo di vita privata del protagonista: una moglie in carriera, amatissima, mentre la giornata del nostro Commissario, peraltro fedelissimo, scorre al fianco della bella ispettrice dalla vita privata segnata da storie d’amore assenti o sfortunate – e si sa, una ragazza bella e, forse, un po’, infatuata del suo più anziano capo (il sospetto ha frecce al suo arco) è un classico.

Tuttavia, la vera figura di spalla, il deuteragonista che caratterizza queste storie, sarà Cesare, l’anziano amico-vicino di casa del Commissario Cataldis, ex operaio, pensionato, “comunista”: la voce-alter ego dell’autore? Non proprio. Diciamo che questa <voce> si realizzerà nel dialogo tra i due.

Con Cesare, ogni sera, al termine della cena, il Commissario trascorrerà il tempo di una sigaretta e di una chiacchierata, da terrazzino a terrazzino.

Nel dialogo si infiltreranno, in tempo reale, i fatti della politica e della società italiana, visti dialetticamente nel confronto dei punti di vista di Cesare e del Commissario; Alla base una condivisione di valori e un’amicizia che si fonda sulla stima reciproca.

  • “Sui giornali è uscita fuori questa parola nuova “sovranisti” Non l’avevo mai sentita. Cosa vogliono? E tu che ne pensi”
  • Tutto il male possibile. (…) Secondo loro risolveremmo tutti i nostri problemi riappropriandoci totalmente della nostra sovranità, ovvero cancellando tutti i legami e gli obblighi che abbiamo con gli altri paesi europei. (…) Ma è solo un colossale imbroglio, un modo per guadagnare voti ingannando i cittadini. (…)
  • (…) Quando ci sono problemi, quando c’è una situazione di disagio sociale, la cosa più comoda e facile è individuare un nemico esterno a cui addossare tutte le colpe. (…)

Il ragionamento tra i due prosegue.

Un’anomalia, in effetti, questi momenti dialogici, che separerà, potenzialmente, lettori che potranno apprezzarli da, invece, potenziali feroci recensori, immagino. Un’anomalia che, personalmente, mi ha sedotto; al di sotto della quale par di sentire il divertimento-piacere dell’autore, senza, tuttavia, che venga sentita una sua presenza nella storia: i suoi personaggi hanno una propria vita autonoma e ben riuscita.

Cesare è la figura che, con l’originalità della sua funzione, porterà chi legge ad amare o respingere questi polizieschi, per altro verso dei “classici”.

C’è il morto, c’è l’investigazione; c’è un’inchiesta e c’è la soluzione del dilemma. Il tutto, condito dalla grande compostezza del protagonista che, pur emozionato dagli incontri con le vite e le storie degli altri, procede mostrando ai suoi lettori gli strumenti reali dell’investigazione: un pensiero, un lavoro di squadra, una conoscenza del territorio. E tanti caffè, alla macchinetta e al bar. Siamo in Italia. Poi, le famigerate intercettazioni, l’esame, noioso e affaticante per chi le compie, delle immagini intorno alla scena del delitto, colte dalle telecamere che, di fatto, rendono oggi pubblica la nostra vita privata.

Perché è così e neppure può parerci strano: nel piccolo paese di un tempo (come nel quartiere di una città) aveva occhi ogni passante, li aveva ogni finestra; tutti si conoscevano e tutti sapevano tutto delle vite altrui (avendo ben presente come tutti sapessero della propria). La gente “parlava”: sempre, il parroco sapeva tutto senza bisogno del confessionale così come il maresciallo dei Carabinieri.

Mutatis mutandis le cose stanno ancora così, anche se, oggi, anche i paesi e i quartieri vedono la rete sociale sfarinarsi nell’anonimato mentre sparisce una socialità forse impicciona ma rassicurante, frutto di un’appartenenza che si va disfacendo – e le telecamere sostituiscono, malamente, relazioni sempre più fragili.

Le città italiane, nella loro storicità, ancora resistono; in particolare se la città è Roma. E Andrea Nigro, con queste storie, ci regala, nascosta sotto una forma di classici gialli, storie originali e gustose.

Sei storie, finora, circa una all’anno, ben collocate nel nostro tempo reale e nei luoghi in cui le vicende si svolgono.

A ben vedere dovrebbe ora arrivarne una, collocata in questo tempo-pandemia, giusto?

Quattro regole del caso (2017), Effetti collaterali (2019), Equivoci (2020), Eterogenesi dei fini (2020), Il Direttore di banca (2021), La giornalista scomparsa (2021).

Sto attendendo. Mentre consiglio queste storie – di solo intrattenimento, forse, ma con quel certo qualcosa di più – dichiaro una preferenza.

Il Direttore di Banca” ha un finale di piacevolissima originalità. Davvero, non va perduto. E dimostra, a mio parere, quanto ho scritto sul fatto che l’autore si diverte molto nello scrivere queste storie: il che è quel che ci vuole per un ottimo risultato.