Multatuli, “Max Havelaar. Ovvero le aste del caffè della Società di commercio olandese”, Iperborea 2007
Traduzione di Piero Bernardini Marzolla
Postfazione di Fulvio Ferrari.
Dopo aver raccontato dell’autore e della genesi di questo libro (qui), del suo essere paradossalmente tanto noto quanto poco conosciuto, e in deroga dagli intenti dell’autore stesso, vorrei insistere sulla sua interessante scrittura e sulla sua godibilità, lasciando di lato il suo pur grande valore di denuncia sociale.
È doveroso porre l’accento sul fatto che siamo oggi ancora in presenza di un colonialismo che, superato nella sua forma storica, resiste, vitalissimo, nella sostanza. “Max Havelaar” è un libro che mantiene dunque tutto il suo valore di denuncia, chiedendo al lettore attuale di venir solamente reinterpretato in una nuova chiave.
Il libro è tuttavia, e “soprattutto”, un romanzo potente: per struttura narrativa, per la pluralità delle voci che sa mettere in gioco, per i linguaggi cui dà vita, per – ed è sbalorditivo – una incredibile modernità di scrittura.
Multatuli è, dunque, primariamente un grande scrittore che è stato, anche, un riformatore sociale. E mi resta una grande curiosità per le altre sue opere, che non hanno, ancora, traduzione italiana.
“Max Havelaar” è stato ripubblicato nella unica traduzione italiana esistente, che non può essere se non eccelsa – ne fa fede il nome del traduttore, Piero Bernardini Marzolla[i] – ma che, a sua volta, risale al 1965. Ciò nondimeno l’opera si presenta al lettore con un linguaggio tale da non richiedere alcuno sforzo, alcuna familiarità con letture dal linguaggio desueto, per essere letto. È un libro il cui incipit afferra un lettore che, da lì in poi, non potrà lasciare quelle pagine, che leggerà trascorrendo dal riso – amaro, segnato dal ghigno del sarcasmo – all’interesse per fatti storici narrati in scioltezza e chiarezza, al sorriso e alla simpatia, fino alla tristezza e al dolore, fino al pianto – e so che, avessi letto questo libro in giovane età, quando la durezza della vecchiaia che colpisce le articolazioni ma, diciamolo, anche il cuore, mi era ancora sconosciuta, avrei sparso molte lacrime su di una storia d’amore e di povertà che l’autore inserisce nelle sue pagine, in uno tra i diversi cammei che il lettore troverà in questa lettura, una favola qui, dei versi là, voci soliste dentro una composizione musicale, a cambiarne l’indicazione di tempo e modulare l’emozione del lettore-ascoltatore.
La storia di Saïdjah e Adinda costituirà, in verità, il nucleo centrale, la rivelazione incarnata di tutto il male, di tutta la disumanità che la sopraffazione coloniale compiva (e compie).
La storia
Multatuli sceglie, per portare a conoscenza del re e del popolo olandese la devastante politica coloniale che sta affamando le popolazioni delle colonie e la corruzione che impera tra i funzionari del Regno, di narrare le (dis)avventure del suo alter-ego Max Havelaar; e fa in modo che questo personaggio ci venga presentato, diciamo nvolontariamente, da un co-protagonista in veste di narratore: Batavus Droogstoppel, professione mediatore nel commercio del caffè. Nelle sue mani era infatti giunta tale storia, ad opera di un antico compagno di scuola che, illudendosi di poter contare su di una vecchia amicizia, gli aveva chiesto aiuto per riuscire a dare alla stampa i propri scritti.
È, questo vecchio compagno, un altro alter-ego dell’autore; uno scrittore fallito, che vive con la propria famiglia in estrema povertà, e che Batavus chiamerà “l’uomo dallo Scialle” con ironica cattiveria riferita al fatto che il poveretto non possedeva neppure un cappotto per far fronte al freddo inverno olandese.
“L’uomo dallo Scialle” invierà, con una lettera di accompagnamento, tutti i suoi manoscritti al Nostro che è ben intenzionato a liberarsi di tale per lui spiacevole conoscenza, e a non prendere in alcuna considerazione la possibilità di dare un aiuto.
“In attesa di una cortese risposta, resto il Suo vecchio compagno di scuola…E sotto c’era il nome, che io però taccio perché non mi piace compromettere nessuno”
“Che diavolo! Chi è povero può pur dire che è povero; poveri ce ne devono essere, è necessario per la società. Purché il povero non pretenda elemosine e non scocci nessuno, io non ho proprio nulla contro il fatto che è povero, ma tutte queste smancerie in una situazione simile non le trovo opportune.”
Batavus Drogstoppel non resisterà tuttavia alla curiosità di vedere di cosa trattassero quelle pagine e rintraccerà, tra i molti argomenti di cui “L’Uomo dello Scialle” si interessa e di cui scrive, un “Rapporto sulla coltura del caffè nella residenza di Menado”.
L‘argomento è di suo interesse e, pensando di poterne ricavale un utile per sé, deciderà di farne una trascrizione, incaricando del compito, avendo egli troppi impegni per occuparsene in prima persona, Stern, il giovane figlio di un suo cliente, che si trovava ospite nella sua casa come tirocinante presso la sua ditta.
Drogstooppel riserverà tuttavia a sé il compito di verificare il contenuto di tale scritto, di capitolo in capitolo, e di inserire dei capitoli di propria mano onde assicurarsi della serietà di ciò che intendeva, a propria firma (ma anche, perché no, prendendo in considerazione la possibilità di dare un qualcosa all’”Uomo dallo Scialle”) essere portato ai lettori, per guidarli nella conoscenza del campo commerciale di suo interesse, per dare voce alla propria personalissima interpretazione dei dettami della religione e della morale che, egli afferma ad ogni passo essere a guida della propria condotta; e per dare voce alla Verità che, soprattutto, egli tiene in massimo conto – non scordando mai di ripetere, ossessivamente, il nome e l’indirizzo della propria ditta.
Si preoccupa inoltre di far conoscere il proprio pensiero sul giusto modo di educare i giovani; così come di rappresentare la serietà con cui egli conduce i propri affari – da cui l’utilità per un eventuale cliente, di rivolgersi a lui e non alla concorrenza.
Senonché, Stern è un giovane del proprio tempo, siamo in pieno romanticismo; è un giovane intelligente; e il racconto che uscirà dallo scritto dell’Uomo con lo Scialle non risulterà forse quanto atteso da Droogstoppel: che se ne accorge ma neppure troppo; che inserisce le sue riflessioni morali e filosofiche ritenendo di correggere, per tale via, la possibilità che qualcuno mal intenda la serietà del commercio – e, naturalmente, ad ogni piè sospinto, continuando a fornire l’indirizzo della propria ditta.
Si ride, amaramente forse, ma si ride: è inevitabile; alla faccia di Multatuli che, verso la fine della storia e prima di rivendicare gli scopi del proprio scritto, dirà al personaggio che ha creato:
“Alt, miserabile prodotto della sporca avidità di denaro e della sacrilega bacchettoneria! Sono stato io a crearti…tu mi sei cresciuto mostruosamente sotto la penna…ho disgusto della mia stessa creatura…affoga nel caffè e sparisci!”
La dichiarazione di intenti con cui Multatuli rivendica, in chiusura, la finalità del proprio scritto, dichiarando a piena voce “Io voglio essere letto!” è una meravigliosa e donchisciottesca dichiarazione di guerra; è una valorosa minaccia con cui avverte chi non lo volesse stare a sentire che saprà tradurre in tutte le lingue e diffondere nel mondo intero il suo scritto, fino al giorno in cui in tutte le capitali si canterà.
“C’è sul mare uno Stato rapace, tra la Frisia orientale e la Schelda!”
Conclude con una dedica al re, che, salva la forma, è comunque una minaccia.
Che dire: avviene mai che don Chisciotte vinca? Perché no. In questo caso pare sia avvenuto; magari sarà stata vinta solo una battaglia, non decisiva, mentre la guerra e la storia se ne sono fatte un baffo di lui e della sua vittoria; mentre i mercanti proseguono indisturbati nei loro affari.
E potrà mai avvenire che quel personaggio, quel “miserabile prodotto della sporca avidità di denaro e della sacrilega bacchettoneria”, uscito dalla sua penna viva di vita propria, suscitando persino una qualche ghignante simpatia? e che risulti molto più vicino alla nostra miseranda umanità dell’eroe Max Havelaar?
Potrebbe avvenire. Dopotutto, il nostro Batavus Drogstoppel, nonostante i suoi interventi sul libro, non pare essersi veramente accorto della distanza, della incongruenza, tra il suo pensiero e quello di Stern: cui peraltro non poteva permettersi di rimproverare nulla, trattandosi del figlio di un suo importante cliente da cui auspicava di ricevere un ordine.
Avviene, quando uno è uno scrittore, che un personaggio prenda la mano al proprio creatore e viva in autonomia, per quanto maledetto.
Avviene, perché, leggendo, noi tutti riconosceremo il pensiero e la compiaciuta realizzazione dei tanti Batavus Droogstoppel che conosciamo, siano essi personaggi privati o pubblici. Viviamo circondati dalle fallacie logiche che tali personaggi ci propinano; ne siamo talvolta pure vittime, più o meno inconsapevoli. Sappiamo bene come, irretendoci in qualche loro anfratto, tali fallacie siano insidiose: e che solo una restituzione in chiave satirica ce li può rendere pienamente chiari nella loro malafede.
Avviene tuttavia di rado di incontrare un don Chisciotte; e vincente, per lo più, anche se per una sola, pur grande e importante battaglia, e anche se a caro costo.
Il nostro autore-eroe improbabile ha vinto in effetti sui due fronti: sul fronte della letteratura e sul fronte della battaglia sociale. È avvenuto che abbia ricevuto ascolto; e che “Max Havelaar” sia stato, con tutti i limiti del caso (sempre per il fatto che una battaglia non è la guerra, e la guerra continua) “il libro che ha uccio il colonialismo.”
Di mio, insisterei anche sull’importanza di non dimenticare il co-protagonista Batavus Drogstoppel, per riconoscerlo, quale memento ai giorni che viviamo, incontrandolo sulla nostra strada; nella figura, magari pubblica, che di quando in quando lo rappresenta, e pure con gran seguito; così come nelle maglie della nostra vita quotidianà.
Nella Postfazione a questo romanzo, Fulvio Ferrari chiude, in modo maggiormente ottimista, pur non tralasciando il segnale di allarme per i nostri giorni, parlandoci di una “fiducia nella letteratura come leva per cambiare il mondo che oggi può apparirci ingenua, ma che rappresenta ancora uno schiaffo salutare a ogni rassegnazione”; perché “in fondo, i mulini a vento sono ancora tutti lì”.
[i] Glottologo, poliglotta, etruscologo, traduttore che ha spaziato nella letteratura e nello studio delle lingue morte. Nato nel 1929, ci ha lasciati lo scorso anno