Vorrei provare non tanto a trarre delle conclusioni da quanto detto (qui) quanto a disegnare una fantasia–utopia su di un prossimo-futuro mondo dei libri; su qualcosa da quelle parti.
Prima, tuttavia, uno sguardo d’insieme, a grandi linee, al quadro italiano che connette, come un unico organismo interdipendente, editoria, distribuzione, librerie, clienti-lettori.
“In Italia, secondo gli ultimi dati della associazioni di categoria, vengono immessi nel mercato editoriale 130 milioni di volumi all’anno. La metà rimane invenduta sugli scaffali, nei magazzini dei distributori, nelle sedi della case editrici. La metà, 65 milioni di libri, torna indietro. Troppi libri per i 5mila punti vendita italiani. Tra librerie e cartolibrerie non si arriva a 5.500 unità. (6 mar 2019)[i].
Anche volendo considerare questo dato un’iperbole, rilevo da una verifica, da fonte che vorrei supporre certa, come si tratti pure di una stima, in alcune sue parti, tragicamente ottimistica: un riferimento, per chi amasse controllare con me si trova qui.
Ancora attraverso stime che potremmo definire di massima, e tuttavia documentate, per l’Italia (che non svetta nelle classifiche di lettura ma dentro una classifica che comunque prende in considerazione le sole nazioni maggiormente alfabetizzate del mondo), sul versante scrittori-lettori, ci si presenta questo quadro:
“Sfatiamo alcuni miti. Ci sono autori con una rassegna stampa senza soluzione di continuità che hanno presentato il proprio libro anche su Plutone eppure se poteste dare uno sguardo ai dati di vendita scoprireste che hanno venduto poco. Pochissimo! Una media di 50-100 copie a settimana per i primi due mesi e poi via con le presentazioni. Per racimolare in un anno circa 2mila copie (e sono dati di vendita buoni, alcuni nonostante le trasferte non ce la fanno).
E il resto? È noia. Perché l’unico dato stabile negli anni è che per vendere copie bisogna passare da Fabio Fazio o vincere lo Strega. Che amarezza. ”[ii]
E allora, ecco che la definizione di libreria regalataci da Terry Pratchett – un buco nero distinto e istruito – torna a puntino per far giocare il pensiero sul tema. Esaminiamola.
Distinto: per il Treccani, tra i significati, troveremo “Che si distingue per particolari qualità o per il grado delle proprie qualità / Con riferimento a cose, indica in genere qualità speciali, posizione o grado o pregio maggiore, superiorità.” Ma, quale primo significato, vi è il trattarsi di un qualcosa di “separato, diviso, non unito o fuso o confuso insieme con altro o con altri”.
Ci ritroveremo, dentro queste definizioni, nella nostra idea che, sì, una libreria è un’attività commerciale e i libri sono una merce; e tuttavia, che i libri, tra i prodotti del pensiero, dell’immaginazione, della fantasia e della mano dell’uomo, costituiscono davvero un mondo a sé.
Sono lo strumento elettivo per la trasmissione culturale e dei saperi, cosa che costituisce la “natura” della specie umana. Diciamolo: senza Il Libro la specie umana non esisterebbe come tale. Non per nulla abbiamo dovuto ricorrere a uno e più libri persino per far esistere Dio.
Strana, davvero, una merce il cui valore commerciale nulla ha a che fare con il suo valore intrinseco, e socialmente riconosciuto.
Scegliendo tuttavia di tralasciare la traduzione di tutto questo in valore commerciale ci sta, direi. Così come, sia pure, ancora una volta, a spanne, “istruito”.
Ma è “buco nero” il fulcro della definizione.
Un buco nero è qualcosa che ci parla dell’esistenza di una stella; che ne prevede la morte attraverso una grande esplosione; e ci dice che la stessa sarà avvenuta con produzione di una enorme luminosità: a sua documentazione.
Ciò che resterà, di quella stella, sarà, per l’appunto un “buco nero”: libreria? Salvaguardia della memoria? Accumulatore di memoria?
L’opposto del nulla: qualcosa che avrà la forza di richiamare a sé tutto ciò che lo circonda, di far sì che tutto, intorno a lui, venga inglobato.
Il buco nero-libreria si costituirà dunque come un “orizzonte degli eventi”: se lo si avvicina, se ne verrà attratti senza possibilità di ritorno.
Chiaro dunque, come avvenga che la maggior parte delle persone si tenga lontana da una libreria (non è un’attività commerciale programmata per il successo economico) mentre tutti coloro che, amanti dell’avventura dalla specie umana, le si avvicineranno, incuranti del pericolo e anzi, dallo stesso irresistibilmente attratti, non ne escano più, considerando la sua esistenza e il suo benessere uno degli eventi di maggiore importanza per la vita propria e dei propri simili.
Si tratta di coloro che hanno scoperto come non vi sia un ritorno dall’essere stati attratti da quel buco nero, ma vi sia un riemergere, all’altro polo, un ritornare “a riveder le stelle”, rinnovati al proprio mondo.
Immaginiamo ora un mondo dove tutti, ma proprio tutti, leggano e scrivano e dove, sia come sia, i libri, stampati a milioni, proprio come ora, vengano tutti letti – e magari, per questa via, ben selezionati in modo che, per una volta, la moneta buona scacci quella cattiva: perché anche di questo si tratta, per la vitalità delle librerie costrette a vendere quel che viene loro imposto.
Immaginiamo pure che questo mondo immaginario non sia una vera utopia bensì un’attesa, magari ottimistica ma non irreale, sulla magnifiche sorti e progressive della civiltà sul pianeta Terra: tipo un “Andrà tutto bene” privo di ironia e di quel tratto di amarezza-incredulità che lo connota.
Bene. In un mondo così il bene-libro sarà, così come il bene-istruzione e il bene-salute, considerato per ciò che è: un bene essenziale e dunque un bene pubblico, la cui fruizione dovrà essere assicurata a tutti, e modulata in risposta ai bisogni di ognuno.
Ora, delle società che ospitino bisogni e attese di questo genere saranno di necessità democratiche; dovranno essere società dove la libertà di stampa, con le correlate libertà di pensiero e di parola (di scrittura e di lettura) siano non solo assicurate ma sentite, profondamente, da tutti, come irrinunciabili. Saranno diritti costituzionalmente garantiti.
Non ci si pensa mai, perché si tratta di un orizzonte di senso, analogo ad un orizzonte degli eventi, da cui il nostro stesso pensiero non può prescindere, ma ciò che documenta il vivere in una democrazia non è, come si dice, il diritto di voto: è il diritto all’informazione libera – che consentirà a tutti e ad ognuno il reale libero esercizio dello strumento-voto.
Ne segue che, perché si abbia una società democratica, il bene-libro dovrà essere assicurato da un Servizio Pubblico di Biblioteche: proprio come un servizio sanitario di area prevenzione della salute dei cittadini, che l’OMS definisce infatti non come assenza di malattia bensì come “Stato di benessere fisico psichico e sociale” del cittadino.
Nella mia Utopia ogni cittadino avrà il suo bibliotecario di base, che lo potrà indirizzare, secondo i suoi bisogni a bibliotecari e biblioteche specializzati, di area; cui verrà eventualmente inviato anche dal suo Medico di Medicina Generale, a fronte di problemi che potrebbero trovar risposta in biblioteca prima che in farmacia (o prima di, o contestualmente a, una presa in carico da parte di uno psicoterapeuta o di uno psichiatra).
Nel mentre, tutti i cittadini si rivolgeranno autonomamente al Servizio Bibliotecario Nazionale, essendo dotati, dalla nascita, di una tessera biblioteca valida in tutto il territorio della UE.
Ed ecco: credo che in questa società utopica (ma perché) le librerie indipendenti rifiorirebbero.
È chiaro: ci sono, ed esisteranno sempre, i libri che debbono essere posseduti privatamente; i libri da prestare e farsi prestare; da scambiare al volo; i libri da tenere con cura o da maneggiare fino alla consunzione, sui cui margini scrivere, il cui testo sottolineare (sia pure a matita con tratto leggero); i libri tuoi, quelli che tu, e solo tu, saprai aprire subito alla pagina voluta. Per non dire dei libri di studio, che debbono di necessità essere posseduti.
Come poi non prendere in considerazione – da ultimo, ma non per importanza – il piacere-bisogno del bibliofilo.
Le librerie rifioriranno, dicevo. Credo sia certo. Avete mai visto fallire, se non come eccezione, o per rivolti penali, una Clinica Privata?
Servizio per ricchi, mi si risponderà. No: servizio elitario, che non è la stessa cosa; che non discrimina la propria clientela per censo, bensì sulla base di interessi, bisogni specifici.
Che meraviglia. Ve lo immaginate: le librerie tornerebbero ad essere un’attività commerciale dove la libraia/il libraio potrà svolgere il proprio mestiere. Le Case Editrici dovranno tener conto del bisogno di veder accolti i propri libri da librerie presso le quali sarà punto d’onore esserci; e potranno gestire proprie librerie che opereranno in un confronto con standard di qualità elevati.
Il numero delle librerie diminuirà ancora: ci sta, tenendo conto del fatto che tali esercizi commerciali non potranno mai essere capillari al punto di poter davvero assicurare a tutta la popolazione l’accesso ai libri. Tenendo conto del fatto che, comunque, la libreria, <è>, oggi, un servizio, se non per ricchi, certamente per persone che non combattono con il problema di arrivare a fine mese; ed è, di conseguenza, entro limiti dati, un’attività commerciale che seleziona <anche> per censo la propria clientela, direttamente o indirettamente. Almeno fintantoché il libro e la sua produzione non saranno sostenuti da una diffusione almeno corrispondente al consumo di carta e al costo di quanto oggi viene stampato e inviato al macero.
Il libro è cibo per l’anima; e tuttavia, se e fintantoché non ne verrà riconosciuta la caratteristica di bene primario, è e resta un bene a suo modo d’élite.
Lo so, si dice che in Italia si legge poco. Domandiamoci, tuttavia, evitando una davvero elitaria puzza intellettuale sotto il naso, come potrebbe essere diversamente se le nostre scuole hanno biblioteche miserrime, se pure le hanno; se le biblioteche pubbliche, pur con grande impegno di chi vi opera, sono un bene ancora non considerato essenziale; se il sistema editoriale e di distribuzione del libro è necessitato, per sopravvivere, a battere cattiva moneta che, quella sì, caccia la moneta buona. Davvero dovremmo darci al fantasy utopico per guardare le cose come stanno?
Prometto: non ne parlo più. Per un po’. Forse.
[i] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/06/in-italia-si-stampano-troppi-libri-forse-e-il-caso-di-smetterla/5016263/ – grassetto mio
[ii] Da: https://www.bookblister.com/2015/05/06/dati-di-vendita-libri/