Una domanda sulla realtà, in compagnia di Jean Baudrillard

jean_baudrillard_recensioneJean Baudrillard, Perché non è già tutto scomparso? Castelvecchi Editore 2013

Abbiamo chiuso la riflessione sul testo di Aime, affermando che era bene partire dalla realtà, dalla comune percezione del mondo che ci circonda, nel quale viviamo e di cui facciamo parte.
Ed ecco il problema: quando diciamo <il mondo che ci circonda> e <nel quale viviamo>, in qualche modo poniamo <due> soggetti del discorso: noi, e il mondo. Come dire che <il mondo> circonda <noi>, <noi> siamo una cosa, il <mondo> è un’altra. Poniamo una separazione per la quale esiste un <noi> ed esiste un <mondo>, dato, sul quale operiamo. Ne siamo, in un qualche senso, al di fuori; ci aspettiamo di poterlo guardare, maneggiare, modificare senza che ciò si riverberi su di noi.

Quando, invece, diciamo <il mondo di cui facciamo parte>, il soggetto, ciò di cui parliamo, è <il mondo>, rispetto al quale il <noi> è un aspetto, una parte, senza possibilità, se non per via di analisi, di venir separata. In questo caso, quando trasformiamo il mondo, trasformiamo anche noi stessi.
Il modo in cui affrontiamo questo tema ha riflessi sulla nostra vita. Ma, nel dirlo, sentiamo il tema in qualche modo astratto, quasi un problema di lana caprina: questo avviene perché viviamo in una cultura per la quale l’uomo, anzi, l’individuo, è una specie di assoluto che <possiede> il mondo (e dunque ne è al di fuori). Dopotutto, le radici ebraiche (non cristiane, in quanto a questo: ebraiche) della nostra cultura prendono le mosse dalla Genesi:
Genesi. 1,27 “Dio creò l’uomo a sua immagine;/ a immagine di Dio lo creò;/ maschio e femmina li creò”.
1,28 “Dio li benedisse e disse loro:/ “Siate fecondi e moltiplicatevi,/ riempite la terra; soggiogatela e dominate/ sui pesci del mare/ e sugli uccelli del cielo/ e su ogni essere vivente/ che striscia sulla terra
Era inevitabile, per noi popolo del libro, assumere un’ottica di questo tipo nei confronti del mondo: noi siamo <qualcuno>, il mondo è <qualcosa>, una risorsa, che ci è stata data perché noi la dominassimo e la soggiogassimo.
E veniamo alla <realtà>, prendendo in mano il libricino di Jean Baudrillard dal titolo inquietante “Perché non è già tutto scomparso?
Baudrillard inizia il suo discorso con una affermazione ulteriormente inquietante. “Parliamo quindi del mondo dal quale l’uomo è scomparso (p.7). Certo, perché in quest’operazione di separazione tra l’io e il mondo, anche l’uomo se ne va: nel momento in cui è concettualizzato e gli è dato un nome, è reso cosa, sparisce. Non si può separare l’uomo dal mondo senza che l’uno e l’altro perdano la propria identità, la propria realtà.
Afferma il filosofo: “Rappresentandosi le cose, nominandole, concettualizzandole, l’uomo le fa esistere e al tempo stesso le fa precipitare verso la loro perdita, le distacca sottilmente dalla realtà nuda e cruda. In tal modo, la lotta di classe esiste a partire dal momento in cui Marx la nomina. Ma (…) nella sua più profonda intensità, esiste solo prima di essere nominata. (…) E’ quando una cosa comincia a sparire che ne compare il concetto.
Baudrillard vede il paradigma di questa operazione completarsi nel passaggio dall’analogico al digitale compiuto dalla nostra società, che si traduce in un’egemonia dell’immagine sulla realtà, in una trasformazione della realtà in operazione del nostro cervello, con la trasformazione di noi stessi in realtà virtuale: sopprimendo la distanza, che ad esempio la fotografia analogica poneva tra il mondo e la sua immagine, la distanza data dal negativo, dalla differenza, l’immagine si sostituisce al mondo e trasforma l’uomo in cervello, in proiezione di un programma.
Tuttavia. Baudrillard chiude con una riflessione, che se non è speranza, ne pone la possibilità, riflettendo sulla dualità che caratterizza l’essere umano che lui definisce <normale>: “l’essere umano fa sempre al tempo stesso ciò che è necessario affinché il suo modello trionfi e tutto ciò che occorre affinché fallisca. (…) E’ dalla sua dualità primordiale che l’uomo trae questa energia antagonista”.
Poi c’è l’essere umano <anormale>, che agiscerevocando il dubbio”, “che vive nell’adesione unilaterale e positiva a ciò che è o a ciò che fa”. L’uomo che fa parte dei molti che “hanno aderito alla realtà, alla loro realtà, cancellando ogni considerazione duale e insolubile” (p. 45).
Jean Baudrillard, filosofo e sociologo francese, morto nel 2007, è a suo modo un autore controverso, non tanto, a mio parere, per il contenuto del suo pensiero quanto per la scelta di descrivere una realtà divenuta virtuale, e veicolata attraverso i mezzi di comunicazione, attraverso iperboli, antinomie, quando non caricature.
I temi che affronta erano e restano tuttavia fondamentali per la nostra capacità di guardare al nostro mondo, agli avvenimenti di cui siamo partecipi; e la messa in discussione, da parte di questo autore, dello stesso principio di non contraddizione, la perentorietà con cui afferma la scomparsa della realtà, provocando il bisogno di una risposta (ma cosa dice! …) operano perché una riflessione nasca e si propaghi. Possiamo discutere sulle sue conclusioni; il tema resta.