«Succede…che di una istituzione venerabile resti in vita soltanto il nome»

Il matrimonio moderno, Karen BlixenKaren Blixen, «Il matrimonio moderno», Adelphi 2013

A cura di Anna Maria Cambieri

 

Eccolo, il piccolo libro di Karen Blixen che mi ero ripromessa di leggere; un centinaio di pagine, un libricino, ne avevo accennato in «A proposito di Karen Blixen»; non scritto, originariamente, per essere dato alla stampa, ma dedicato, indirizzato, al fratello Thomas. Scritto nel 1923, venne ritrovato nel 1977 tra le carte del fratello, che sarebbe morto due anni dopo, nel 1979.

Non era stato destinato alla pubblicazione, si diceva. E ci credo, difficile che la Blixen, per quanto indifferente ai pareri del mondo (dall’alto della sua appartenenza aristocratica e della sua vita avventurosa, poco incline a tener conto delle chiacchiere altrui) pensasse, a quel tempo, di poterlo pubblicare. Va anche osservato che Karen Blixen, pur avendo scritto e dato alle stampe fin da giovane dei racconti, non aveva scelto, non avrebbe, credo, scelto per sé di essere una scrittrice; è dovuto passare molto tempo e tutto intorno a lei ha dovuto crollare perché riconoscesse il suo posto nel mondo. E il suo metro, la sua grande voce, è quella di una narratrice, non di una saggista.

Ma oggi! Queste pagine vengono a fagiolo! Mentre noi, nella nostra Italia, discutiamo (o non discutiamo più, ce ne siamo già dimenticati) di ‘matrimonio civile’ e di tutto ciò che correliamo al concetto, Blixen ci parla di ‘civiltà del matrimonio’, e ne dimostra l’inesistenza. Difficile confutare le sue argomentazioni, avendone accolte le premesse, certo.

Bror von Blixen-Finecke
Bror von Blixen-Finecke

La tesi proposta, e diligentemente argomentata, consiste nel documentare come il matrimonio sia da tempo (era il 1923) divenuto un’istituzione obsoleta nella quale «il nome sopravvive alla cosa»: a distanza di oltre novant’anni, Karen Blixen parla ‘ora’, con noi, allo stesso tempo presente della sua scrittura. È difficile, per non dire impossibile, non cogliere tutta l’attualità del tema pur nell’evidenza del carattere personale dello scritto, del legame di ciò che scrive con il suo difficile matrimonio, anche se lei non ne parla. Blixen ha scritto queste pagine quando tutta la fatica immessa nel suo progetto di vita africano, cosignificante del progetto di coppia che era appartenuto a lei e al marito Bror, stava andando a catafascio, mentre l’amore sopravvenuto per Denys Finch Hatton era amore per un uomo sempre assente, la cui vita mai avrebbe potuto svolgersi accanto a qualcuno. Ed è difficile anche non tener conto del fatto che non sarà lei, ma il marito, due anni dopo, a chiedere il divorzio. Il che rende ancor più dolorose, senza che ciò venga dichiarato, mai, queste pagine.

Pure, il libro è un gioiello, un saggio dal linguaggio elegante, forbito, per dire cose sconvolgenti il pensiero (creduto) comune; cose difficili da contestare, peraltro, dove la sottile ironia, il sarcasmo che potrebbe anche irritare qualche anima (supposta, direbbe lei) bella, sembra chiedere, con un lieve, aristocratico cenno di mano, che si lascino perdere le opinioni dei molti.

Ammetto: a lettura in corso, ho anche molto riso (un po’ a disagio, sentivo la mia ilarità inopportuna, senza poterla trattenere). E devo dire che, se pure si tratta di poco più di cento pagine, è stata una lettura che mi ha richiesto tempo: non perché faticosa, anzi, ma perché sbalorditiva, in ciò che dice così, persino con noncuranza; e che lo diventa sempre più, man mano che il discorso, avviato spaziando tra temi apparentemente lontani, assume connotazioni di grande dirittura morale, la sola, pare dirci l’autrice, che può costituire fondamento al legame di coppia.

E mentre, inopportunamente, si ride, si avverte, forte, la sfida ad osare la contraddizione senza cadere nell’ipocrisia quando ci si trova di fronte la descrizione delle nostre famiglie che esercitano, sotto la veste dell’amore, il controllo totale delle vite e delle menti dei propri membri; dove «uomini orgogliosi sono stati bolliti fino a diventare pancotto, e molte signore giovani e graziose si sono trovate coinvolte, con tutta la loro famiglia, in un reciproco cannibalismo spirituale che ha lasciato di loro soltanto le ossa.»

La prende larga, Karen Blixen. Prende il via da temi ampi, generali. Non propone subito il tema che il titolo ha dichiarato; solo lo accenna. Vi arriva per gradi. Lascia intuire, lanciando qualche bomba d’assaggio:

«Ideali come la fedeltà matrimoniale o l’assoluta castità si sono dimostrati facilmente realizzabili ai tempi in cui conducevano a una qualche specie di paradiso, e lo sarebbero ancora se la gente non si chiedesse: a cosa servono?»

Karen Blixen e Denys Finch Hatton
Karen Blixen e Denys Finch Hatton

Il concetto, espresso in modo iperbolico – «facilmente realizzabili»? – era preceduto da un’affermazione quale:

«Nella storia dell’umanità nessuno ha mai rinunciato a un ideale perché questo comportava difficoltà troppo grandi. Invece, ideali ormai superati sono stati accantonati perché avevano perso lo smalto (…)».

Sarà solo al terzo capitolo – «Il matrimonio moderno, o ‘Quel che volete’» – che la Nostra entrerà in argomento, a partire dall’assunto:

«Succede spesso che di una istituzione venerabile resti in vita soltanto il nome, perché per molte persone la parola ha più sostanza dell’idea».

Le argomentazioni, puntuali, sono gustose. Sentiamo che l’autrice sta dialogando con il suo lettore – vero, dobbiamo ricordare che si trattava del fratello, anche se non si tratta di un epistolario e dunque non c’è, in queste pagine, alcuna traccia, né desiderio, di interlocuzione. Gli argomenti proposti per sostenere la tesi, tratti dalla quotidianità e dalla Storia, diciamo Alta, con ampio uso di iperboli e ironia, escludono l’accettazione di un contraddittorio, non presentano alcuna forma di domanda. Rendono unicamente piacevole la lettura, e trattengono l’ascoltatore-lettore con grande sapienza e consumata abilità dialettica.

«Questo accade ancora, per esempio, con l’idea del Natale o dell’atmosfera natalizia (…) L’illusione diventa tale che, per esempio, persino il riso al latte e le frittelle di mele, che nell’uso quotidiano non sono molto ben considerati, in quell’occasione assumono il valore di piatti festivi con un’impronta di sacralità. Lo stesso accade per esempio anche alla monarchia moderna (…).»

Thomas Fasti Dinesen
Thomas Fasti Dinesen

Dissacrante, piacevolmente brillante. Mentre la tesi viene analizzata, lungo tre capitoli, dai diversi punti di vista, e ci gustiamo l’ascolto del suo parlato, il tono si fa più acceso, l’ironia diventa sarcasmo venato di amarezza. Emergono, in filigrana, la passione e il dolore che l’hanno portata a riflessioni che chiedono di essere scritte, per dar loro una vita al di fuori di sé, per potervi far fronte; e che possono aver luogo solo nel rapporto con una persona cara, in cui confidare; con qualcuno che proviene dalla stessa storia familiare intrisa del dolore-disonore di un padre suicida e della rigida moralità di una fede segnata dal rapporto diretto tra l’io e Dio. Una fede di cui non si parla, ma che c’è. Potente.

«Pensando a come si sovvertono i valori morali, dobbiamo aspettarci che le generazioni future non saranno assolutamente in grado di comprendere il codice morale dei nostri giorni». L’autrice farà discendere dalla decadenza del concetto di Stirpe la decadenza di significato del matrimonio che, sostenuto ora dall’ideale dell’amore tra gli sposi, non può reggere, senza abbrutirsi sul piano morale, il sopraggiungere dell’indifferenza reciproca.

«La conclusione di tutte queste considerazioni è che il rapporto d’amore è ideale nella misura in cui due individui lo sentono collegato con i loro massimi ideali e improntato ad essi»

Aggiungerà, tra parentesi, dopo aver dimostrato il punto di arrivo del suo pensiero: «Ma è ipocrita, superficiale e immorale, è un atteggiamento del tutto sbagliato e assurdo quello di cercar di rendere ideale un rapporto d’amore per mezzo di leggi e di forme derivate da ideali che ora non sono più tali, e che non sono più neppure vivi. Sono come il sale che ha perso il suo sapore, e anche se l’ortodossia lo usa in buona fede per salare, non può scongiurare il marciume.»

Un libro da leggere, assolutamente. Pubblicato da Adelphi nel 1986, ha avuto, nel primo anno, edizioni ripetute. Ora, la presente edizione, 2013, è la nona. È un libro importante. E, sì, è anche una lettura molto piacevole, che regala pensiero e ore interessanti.