Le fiabe di una vita intera

Un cigno selvatico, Michael CunninghamMichael Cunningham, «Un cigno selvatico», La nave di Teseo 2016

con illustrazioni di Yuko Shimizu – Traduzione di Carlo Prosperi

 

Difficile, davvero, parlare di questo libro – facilissimo e travolgente leggerlo.

Salvo poi trovarsi alle prese con un sentimento di imbarazzo: su di noi, su quel che di noi e dei nostri castelli in aria ci è stato mostrato; consolati tuttavia dal riconoscere, dentro racconti che contengono un nostro irriverente rispecchiamento, un’umanità  degna di una  profonda anche se perdente simpatia; un’umanità fragile, persino spiacevole, per niente corrispondente a come ognuno di noi pensa/desidera/sogna di poter essere; con, tuttavia, aspetti di eroismo della quotidianità che oltrepassano  i falsi sogni di grandezza mitizzata e fasulla.

Ci ritroveremo, a fine percorso, capaci di vivere per sempre felici e contenti per come siamo, sapendoci e dovendoci accontentare di noi stessi.

Cunningham, in questa raccolta di racconti, rilegge per noi alcune fiabe, e ci regala un testo che, di racconto in racconto, sviluppa un discorso unitario, facendolo giungere a una sua bella e rassicurante chiusura.

Difficile, e forse inopportuno assegnare a una ‘categoria’ narrativa quest’opera – assegnata con dubbio al dark fantasy, con richiami ad atmosfere da romanzo gotico fuori contesto – che rilegge otto fiabe della nostra infanzia: sette classiche fiabe della tradizione popolare, che conosciamo nella trascrizione dei fratelli Grimm[i], più una di Andersen, «Il soldatino di stagno», centrale, mi pare, nell’economia della narrazione; e con l’aggiunta di un racconto, oggi introvabile, credo, in versione cartacea: «La zampa di scimmia», di William Wymarck Jacobs (autore che ho scoperto al termine di questa lettura, in preparazione alla rilettura, per non dire che sto ancora spulciando qua e là questo libro per veder meglio questo e quello).

La chiusura sarà una bella fiaba, irriverente e rassicurante, che esce dalla penna dell’autore e sigilla la morale dell’opera, lasciandoci in tutta serenità, pienamente rassicurati. Titolo: cosa, se non «Per sempre felici e contenti»?

Ma andiamo con ordine. Difficile, davvero.

Il libro si apre con una premessa dell’autore, dal titolo, perfettamente esplicativo delle pagine che seguiranno, di «(Dis)Incanto» – un ‘disincanto’ che prende il via da una dichiarazione amara, reale; dal fatto che non è il caso di identificarci nei protagonisti delle fiabe, in quelli che, dopo una serie di traversie, alla fine dovranno vivere felici e contenti. Non è davvero il caso, perché:

«La gran parte di noi non corre rischi. Se non siete un sogno delirante nel sonno degli dei, se la vostra bellezza non turba le costellazioni, nessuno vi lancerà un incantesimo. A nessuno verrà in mente di trasformarvi in una bestia o di mettervi a dormire per cent’anni. L’apparizione camuffata da spiritello non ci pensa nemmeno ad offrirvi tre desideri con la catastrofe nascosta dentro come una lametta in una torta».

Segue la riflessione e la domanda: Essendo nella natura umana la voglia di «fare lo sgambetto a questa gente» baciata dagli dei, «chiedetevelo, per favore. Se poteste lanciare un maleficio sull’atleta spaventosamente affascinante e sulla modella di intimo che lo ama (…) lo fareste?»

E poiché la risposta non necessita, segue l’informazione beneaugurale che «ci sono incantesimi e antichi sortilegi, ci sono formule da pronunciare a mezzanotte (…). È sorprendente quanto sia facile impararle, queste maledizioni.»

La dichiarazione di intenti, da subito, ci mette sull’avviso, cerca di farci sapere ciò che incontreremo – anche se poi ci ritroveremo in ogni modo scombussolati, sconcertati e un po’, ebbene sì, inorriditi nell’incontro. E come non esserlo, dovendo riconoscere, nella forma nuova delle fiabe che ci viene riproposta, una sequela di verità scomode, su di noi, che tutti ci impegniamo ferreamente ad evitare; per non dire di una serie di cattiverie che, complice un umorismo feroce, dopo aver ghignato – e fa lo stesso se ci saremo falsamente trattenuti cercando, di fronte a noi stessi, di provare orrore – non vorremmo riconoscere come nostre, di cui vorremmo negare il trovarci partecipi.

E come non essere scombussolati quando avremo scoperto che neanche loro, neanche i detentori della bellezza, della grandezza, della fortuna, sono diversi da noi. Anzi, a ben guardare, abbiamo una possibilità residua di sentirci ben vendicati. La lametta nella torta sembra esserci davvero!

Sadico Cunningham, non c’è che dire.

Pure, lo si vedrà alla fine, quel titolo – (Dis)Incanto – non sarà stato un Incanto negato, burlato, sconfitto; la parola «Incanto» avrà mantenuto integra la sua maiuscola, che ne fa un vocabolo a sé, nella piena titolarità del suo significato, non deformato dal prefisso peggiorativo che sta tra parentesi, a suggerire e a negare, veda un po’ ognuno, a suo piacere.

Forse, solo forse, il titolo suggerisce che l’Incanto ci sta, ma si trova altrove, nella quotidianità delle persone che “non sono un sogno delirante degli dei, la cui bellezza non turba le costellazioni” e che possono pure, accontentandosi, vivere felici e contenti, per sempre. Finché ci sarà vita. E bambini che, la sera, tornano a casa.

Le fiabe:

«I sei cigni» (Grimm ne prevede sei, qui la storia ne prevede dodici, ma le versioni di ogni fiaba sono notoriamente varie). Cosa ne sarà del principe la cui uscita dalla trasformazione in cigno è rimasta incompleta, lasciandogli un’ala al posto di un braccio?

«Hansel e Gretel:, e chi mai si è domandato quale vita abbia vissuto la vecchia strega, che non sarà certamente nata vecchia, che avrà avuto le sue disavventure, i suoi fallimenti e, forse, sarà stata tradita dal destino. E che dire dei bambini che entreranno nella sua casa. Chi ci crede più, oggi, alla purezza dell’infanzia, capace di bruciare candidamente nel forno una povera vecchia e andarsene felici e contenti. Forse, di quei “bambini” qualcosa ci è stato taciuto.

«Jack e il fagiolo magico». Mi è sempre piaciuta questa fiaba. Giustificava i miei momenti di stupidità, tipo cascarci a scambiare una vacca con una manciata di fagioli. Jack è un personaggio in cui ci si può anche identificare, nei momenti in cui, da bambini, l’autostima sta a zero. Certo, le cose cambiano quando ci viene detto che: non è di un giovanotto sveglio che stiamo parlando. Non certo di un ragazzo affidabile che si ricorda di portare la madre a fare la chemio o di chiudere le finestre quando piove”. Non se ci viene presentato come uno che, alla proposta di vendere la vacca per una manciata di fagioli, risponde: Wow, fagioli magici?! Fiiiiiico!

Ci sarebbe invece qualcosa da dire sul gigante, e sulla gigantessa, rimasta sola, là, tra le nuvole, in povertà, senza più tesori, senza gallina dalle uova d’oro; senza marito, se vogliamo, cosa che, in questo caso, ci può stare. Forse. E qualcosa si dovrà pur dire (e sarà detto) sul destino dell’arpa rubata.

E come sarà stata la vita di Biancaneve dopo il matrimonio con il principe, segnata dal ricordo della bellezza di lei quando dormiva, quando lui era “un sogno nel sonno di lei” e lei era per lui “la creatura più bella e perfetta che avessi mai visto”.

“Prima che alzassi il coperchio, intendo, e ti baciassi”.

E «Rumpelstilzchen», e «Il soldatino di piombo» e la sua ballerina di carta e il loro misero destino (ma qui siamo ad Andersen – che posso dire, non l’ho mai amato). Qui, tuttavia, la storia sarà centrale; sarà due storie, l’autore ci metterà del suo in un modo che non vi dirò, una specie di fiaba moderna a latere in cui il soldatino e la ballerina si sono sposati ed hanno avuto la vita che si può avere, e due figli, cui raccontare una fiaba.

E poi «La zampa di Scimmia», e le altre.

Come concludere se non dicendovi di leggere queste fiabe. Poi finirete per riprenderete in mano le raccolte dei Fratelli Grimm, ma non solo, anche Perrault, Le Fiabe Italiane di Calvino, le raccolte di Fiabe Regionali, e ancora e ancora. E potrete leggerle con un nuovo piacere.

Ma tornerete, ne sono certa, a rifarvi il palato su queste. Un giorno o l’altro. Il giorno in cui, per un motivo o per l’altro, di fronte a un fatto di cronaca rosa che piomba nel momento sbagliato, occorrerà una maledizione ben piazzata per risollevare l’autostima.

E occorrerà pure una conclusione serena per tutti noi normali, e anche per loro, i bellissimi, grandissimi, felicissimi.

[i] Dei Fratelli Grimm: «I sei cigni», «Hansel e Gretel», «Jack e il fagiolo magico», «Biancaneve e i sette nani», «Rumpelstilzchen», «La bella e la Bestia», «Rapunzel». Ognuna di queste fiabe è tuttavia reperibile, in tradizioni e trascrizioni diverse.