La libraia virtuale ha riaperto i battenti

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Parco naturale storico archeologico del materano

In questo mese ho letto, ho scritto, ho passeggiato, ho scattato (abbiamo scattato) foto in giro per l’Italia, e ho lavorato al blog; il risultato è la nuova Pagina – dal titolo: Libri sugli scaffali – che potete trovare, se vi parrà utile, sulla home page, lato sinistro, tra le Pagine elencate sotto la lumachina.

Utile? Non so, lo spero.

Certamente, portare a termine (quasi, mancano ancora alcuni libri) questo lavoro è stato utile a me, per recuperare e rendere recuperabili letture, libri, alcuni temporaneamente lasciati, desideri di rilettura, e comunque un percorso, di cui esaminare le caratteristiche nonché un divagare senza direzione che alla fine, spero, troverà da sé il modo di rivelare un senso. O più d’uno.

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Piccolo panorama sul Golfo di Sorrento

Nel corso del mese ho punteggiato la pagina facebook del blog con un piccolo diario quotidiano, su letture, luoghi e accadimenti, con appunti sui momenti di lettura in corso, che sono stati un succedaneo della scrittura nel blog. Non riuscivo a non scrivere, a mantenere un’astinenza totale, e il contesto vacanza di movimento non consentiva una scrittura altra, di maggior respiro.

È stato un piccolo esercizio piacevole, da cui ora posso trarre impressioni registrate a caldo sulle letture concluse, e forse darne una restituzione.

Riprendo queste chiacchierate, dunque, segnalando due piccoli libri.

Il primo. Agota Kristof, «L’analfabeta. Racconto autobiografico», Edizioni Casagrande 2005. Traduzione di Letizia Bolzani.

Letto di getto, come libro della notte.  È un lungo racconto, di cinquanta pagine. Agota Kristof, L'anafabetaÈ il racconto, asciutto, fattuale, di grandi sofferenze e di un grande rispetto per il proprio posto nel mondo: essere una scrittrice.  È il racconto della volontà, cocciuta, incoercibile, di scrivere, per non tradire il proprio destino, nonostante «l’analfabetismo» conseguente alla perdita, dovuta affrontare, della propria gente e della propria lingua, dopo la fuga con il marito e la figlia di pochi mesi dalla sua terra d’Ungheria.

È la storia del suo dover affrontare la scrittura – necessaria! – in una lingua, il francese, che non le apparteneva; che non le sarebbe appartenuta mai, diceva lei, e che pure sarà la lingua dei suoi grandi romanzi.

«Ed è per questa ragione che definisco anche la lingua francese una lingua nemica. Ma ce n’è un’altra, di ragione, ed è la più grave: questa lingua sta uccidendo la mia lingua materna

Ed ecco la storia di una insostituibilità della lingua materna che confligge con la fattualità della sua sostituzione, cui vorrebbe resistere perché non muoia la lingua madre, e con essa un pezzo fondante di vita.

Un libretto breve, la cui eco, dopo che lo si è letto, continua; dopo aver conquistato il lettore fin dalla prima frase, dall’incipit con cui la Kristof avvia, e già sintetizza, il proprio racconto, nelle poche pagine che narrano una prima infanzia serena.  Poche pagine per pochi anni. Il seguito narrerà, con estrema compostezza, fatica e dolore.

«Leggo. È come una malattia. Leggo tutto ciò che mi capita sottomano, sotto gli occhi: giornali, libri di testo, manifesti, pezzi di carta trovati per strada, ricette di cucina, libri per bambini. Tutto ciò che è a caratteri di stampa.

Ho quattro anni. La guerra è appena cominciata.»[i]

Di questo libro è interessante anche la casa editrice: Edizioni Casagrande, di Bellinzona, Canton Ticino. Svizzera di lingua italiana. Una realtà editoriale che data settant’anni o poco meno, nata dall’attività di una famiglia di librai. Una impresa editoriale che certamente non avrà le dimensioni che oggi il mercato ritiene indispensabili ma che rappresenta una realtà, al di fuori del nostro paese, importante per la nostra lingua, e vanta una “scuderia” di autori di tutto rispetto.

Il secondo libro da segnalare è, ancora, un lungo racconto, o romanzo breve:

Mark Twain, «Visite in Paradiso e istruzioni per l’aldilà», Edizioni Mattioli 1885, 2014, che avevo già citato, solo come titolo, tra gli acquisti in attesa di lettura, anche per la curiosità sulla sconosciuta casaMark Twain, Visite in paradiso editrice (qui)

Una storia che, più che con fantasie sull’aldilà, ha a che fare con istruzioni, e piccole vendette, per e nell’aldiquà, utili a riorganizzare alcune incongruenze nelle categorie di valore di noi umani – e nelle aspettative conseguenti per la vita ultraterrena.

Ovviamente, l’essere umano che attende il Paradiso (o l’Inferno) nell’Aldilà di questo racconto, va inteso come: bianco, americano, o europeo, e cristiano. Va da sé, si tratta del tempo di Mark Twain, ma non mi pare ci sia alcuna difficoltà a trasferire e riconoscere il tutto nel nostro tempo, salvo, forse, qualche peggioramento.

Divertente. Molto. E capace di offrire qualche opportunità di riflessione. Non un capolavoro, forse, un qualcosa che Twain deve aver scritto più per sé che per i lettori, ma che vale la pena condividere con lui.

Un personaggio, il Comandante Stormfield, che risulterà di una verità non scalfibile dalle umane convinzioni e convenzioni, al punto da far risultare veritiero anche il suo viaggio al Paradiso: e come dubitarne, di fronte alla ragionevolezza dell’Aldilà che ci viene presentato, e che disarticolerà le nostre più strampalate e irragionevoli convinzioni su quel luogo e su ciò che ci aspetta.

Un esempio? Il nostro parla con un veterano del luogo, che gli spiega alcune cose, lo aiuta a correggere alcune aspettative erronee. Ad esempio, quella di un noto predicatore del suo tempo che, come moltissimi altri, al momento in cui arriverà in Paradiso, si propone di gettare le braccia al collo di Abramo, Isacco e Giacobbe, e piangere sulla loro spalla.

«Ora, pensaci un attimo, (…) faccenda un po’ troppo pesante per quei tre poveri vecchi (…) non avrebbero più nient’altro da fare, anno dopo anno, che stare lì in piedi a farsi abbracciare e a farsi piangere addosso trentadue ore su ventiquattro. Sarebbero stanchi morti e inzuppati come pulcini bagnati. Che razza di Paradiso sarebbe per loro?»

Bene, il libro non ha una conclusione. Alla fine, potremo supporre ciò che desideriamo su come l’avventura sia finita, così che il Comandante Stormfield, da vivo, la possa raccontare.

Resta che si tratta di una simpatica e “credibile” storia, da prendere come “vera”, tanto quanto lo sono le favole, non solo perché il carattere del protagonista non permetterebbe ad alcuno di dubitarne, ma soprattutto perché è una storia meno improbabile di quella che ci viene propinata solitamente e che molti riterrebbero blasfemo contraddire.

Sono un centinaio di pagine, da non leggere d’un fiato, pena perderne la bellezza, trattenuti dalla necessità, di fronte alle novità inaspettate che il luogo ci riserva, di rifletterci su bene. Sorridendo, certo, ma la riflessione ci sta ugualmente.

Ora, devo almeno accennare alle due letture che hanno occupato la maggior parte di questo tempo di vacanza; due letture con caratteristiche ben diverse.

La prima, adatta alla vacanza per il fatto di essere una rilettura che, pur desiderata, solitamente si tralascia, presi da altri libri e dall’urgenza del tempo: «I promessi sposi», di Alessandro Manzoni che, liberato dalle scorie scolastiche, è un romanzo tutto da godere, e sempre nuovo.

Murakami, 1Q84La seconda: «1Q84», la trilogia di Haruki Murakami che stava in attesa, da tempo, per l’appunto di un tempo idoneo ad affrontarne la mole. Una lunga vacanza era l’occasione perfetta.

Di queste due letture ho raccontato su Facebook; la prima, è stata una piacevole rimpatriata, fonte di scoperte e riscoperte. Di 1Q84 ho scritto invece in preda all’urgenza di una delusione che ancora mi brucia e mi lascia perplessa.

Sarà la prossima recensione. Mi piacerebbe molto potermi confrontare con altri che l’abbiano letta.

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[i] Nel blog, per chi fosse interessato, si trovano, di Agota Kristof, la recensione del suo capolavoro, «La trilogia della città di K», e una nota biografica, qui: