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snoopyÈ stato decretato, pochi giorni fa, il libro vincitore del Premio Strega 2016: si tratta di «La scuola cattolica», di Edoardo Albinati, pubblicato da Rizzoli. Senza veri avversari, dicono.

Ecco un autore di cui non ho letto nulla, anche se il suo nome e alcune cose che ha scritto mi sono note, per sentito dire; così come avevo (come abbiamo) sentito parlare di questo suo libro-monstre, incentrato sul delitto del Circeo, e non solo.

Questo, per me, è un momento particolare; per la lettura, intendo. Capisco che la cosa può risultare sciocca ma è un fatto: non ho ancora smaltito la delusione, seguita dalla rabbia (i termini non sono eccessivi), per «1Q84»; e per essermi imposta di arrivare alla fine del libro, di sorbirmelo tutto.

Se prima di acquistarlo avessi, come solitamente faccio, guardato qualche parere dei lettori, qualche recensione, forse me lo sarei risparmiato. O, quantomeno, sarei stata sull’avviso. Mi sono ciecamente fidata di Haruki Murakami – sulla base dell’esperienza di altri suoi libri letti, certo.

E non solo: ha giocato anche la fiducia nell’editore Einaudi, direi, di cui non dico mi piaccia, sempre e comunque, tutto ciò che pubblica, ma di cui tendo a rispettare quantomeno la qualità dei libri prodotti.

Ho fatto male. Non lo farò più.

E mi domando: ma quando un autore, un <grande> autore (nel grande metto sia la qualità delle opere sia la notorietà e il “valore di mercato”) perde di vista, nella migliore delle ipotesi, i propri lettori (per non dire che non li considera neppure) non si gioca forse tutto, o almeno molto, troppo? Esattamente dal punto di vista del proprio valore di mercato, mettiamola giù brutta, dato che null’altro può costringere un autore alla fatica immane di proseguire una scrittura di tale mole senza più sentirne la necessità, l’urgenza, direi. E mi pare chiaro che, in quest’opera, deve essere accaduto ciò, dopo il primo dei tre libri, interessante, persino bello, in effetti.

E tutto ciò non vale anche, almeno in buona parte, per l’editore?

È trascorso un po’ di tempo, da quando ho finito di leggere Murakami; qualche settimana, credo; meno dall’averne steso la recensione. Ma ora so, a tempo trascorso e pensiero maturato, che difficilmente leggerò altro di questo autore.

E mi trovo incuriosita di fronte a un altro libro-monstre – per così dire, perché mi sono un po’ impegnata con me stessa ad evitare gli atteggiamenti da bastian contrario che,  un po’, temo  mi appartengano e che mi portano a ignorare, a botta calda, i libri che vincono Premi, o che si trovano sulla cresta dell’onda delle vendite.

«La scuola cattolica» vanta 1.294 pagine. Bravi i quattrocento “Amici della domenica” che hanno letto i (dodici?) libri partecipanti al Premio.

Non posso, non devo chiedermi se li avranno davvero letti (funziona così? dovevano?). Sarebbe una cattiveria totalmente gratuita, per il maggior Premio Letterario italiano, che ha una storia di tutto rispetto; e si sa, le polemiche, i sussurri di combine, le malevolenze e le maldicenze, fanno parte del gioco, siamo umani.

Ma poi? Per età, generazionalmente, non ho voglia di ripercorrere e ricordare il delitto del Circeo. Fa ancora male, abbiamo già dato, e non credo verrei a conoscere qualcosa che non sia già stato detto, pensato, saputo, scritto.

Tuttavia, il libro di Albinati pare non essere solo questo. Pare invece il caso di uno scrittore che impegna il proprio pensiero sul tema dell’educazione del maschile, in Italia, e vi si impegna con una tale mole di lavoro da meritare un pensiero attento, che mi richiama all’ordine, per così dire.

A questo punto del pensiero si insinua il veleno del libro-tradimento.

Non riesco a non pensare che il tema del femminicidio (allora non si diceva così, e com’è brutto questo termine, che pure risulta necessario), il tema della violenza sessuale, dello stupro, è <di moda>, all’ordine del giorno mediatico, e che tutto questo paga – un ordine del giorno, peraltro, <solo> mediatico perché poi, nei fatti, non lo è per nulla, anzi, si fanno mancare i finanziamenti ai Centri Antiviolenza e non pare proprio che, nella nostra società, e salvo lodevoli eroiche eccezioni di singole scuole e di singoli insegnanti, si crei una domanda diffusa sul tema dell’educazione sessuale e, soprattutto, dell’educazione agli affetti. Da parte maschile, poi, silenzio di tomba (appunto), a parte poche lodevoli eccezioni. Bravo dunque Albinati. Molto bravo. Potenzialmente. Da vedere.

Ancora: non riesco a non pensare che il libro-monstre sta divenendo, a sua volta, quasi una richiesta di mercato.  Non me ne spiego il motivo ma è un po’ così.

Non riesco ad avere fiducia – nel Premio, nella competizione tra opere e tra case editrici, nonostante la stima che, a parte tutto, assegno al Premio stesso. A questo solo Premio, credo. Alla sua storia, che lo fa essere, quantomeno, nato bene, di buona famiglia. Penso che vincere lo Strega sia ancora, per un autore, per un’opera, un buon fiore all’occhiello – salvo poi non acquistare il libro a tamburo battente – e ci può stare, tutti hanno diritto a qualche oncia di snobismo inutile e un po’ becero. Tanto per essere bastian contrari quel tanto che fa bene all’autostima.

Ho letto un’interessante recensione di Christian Raimo (qui, se vi interessa) in Internazionale online, molto articolata, che probabilmente mi indurrà, non subito, ad affrontare questo libro (e magari, invece, a leggere qualcosa di Christian Raimo, che ha pubblicato per Einaudi – datemi qualche giorno per perdonare – ma pubblica per Minimum Fax).

Pure, Albinati resiste, nella mia attenzione – e dunque scelgo: forse ho bisogno, per un po’, di lasciare la narrativa; forse c’è qualcosa su cui devo riflettere, del tipo: come si scrive un libro, come si sceglie di leggere un libro, cosa pesa nell’impegno a scrivere (da parte di un autore già consacrato dalla critica e dalle vendite, ovviamente); e a pubblicare; cose così.

E scelgo: ho una fila di libri da leggere, ma faccio l’aggiunta. Albinati, certo. Ma non «La scuola cattolica», no, non ora.

Edoardo Albinati, «Oro colato. Otto lezioni sulla materia della scrittura», Fandango libri 2014. Ho scaricato l’e-book, un modo certo per pagare il libro di più dato che farà seguito il cartaceo, ma almeno quest’ultimo si salverà delle sottolineature e dai miei scarabocchi.

Nel frattempo, prosegue la lettura che ho in corso, e che è un vero piacere. Sarà una recensione, alla fine, ma me la sto godendo con calma, anche perché si tratta di un libro che richiede, o istiga a, verifiche, recupero di rimandi, curiosità a latere. È una lettura che scorre, molto agile ma che, nel contempo, porta lavoro aggiuntivo, alimenta le curiosità, induce a riprendere in mano altri libri.

Ne ho già accennato: Emmanuel Carrère, «Io sono vivo, voi siete morti», biografia di Philip Dick, un Adelphi che, appunto, sto massacrando di segnacci (a matita, mi riprometto sempre di ripulire le pagine, in seguito; non lo faccio mai, e neppure è del tutto possibile).

Poi, c’è la notte. Occorre il libro per addormentarsi, o per rimanere insonni, di una buona insonnia; il libro da diporto che sia un buon libro. Narrativa, in questo caso; per lo più, un giallo.

Per me, una scoperta. Autore greco, papà, anche lui, di un Commissario di polizia (troppi!) le cui imprese, in realtà, offrono occasione per un interessante spaccato della società di Atene in questi anni di crisi.

Petros Markaris, «Prestiti scaduti», Bompiani 2011. Se va così mi leggerò tutta la serie. In ordine di pubblicazione, perché voglio conoscere meglio, fin dal principio, Adriana, la moglie del protagonista.

Dimenticavo: il Commissario in questione, Kostas Charitos, legge solo vocabolari. Non è una cattiva idea.

Divagare: vocabolario Treccani; tra l’altro: “Allontanarsi dalla via dritta vagando senza meta fissa; per lo più: d. con la mente, col cervello; d. dal soggetto, dal tema, allontanarsene con digressioni inopportune.”