Note a margine

Walter Benjamin, “Il Narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov”, Einaudi 2011

Traduzione di Renato Solmi

Note a commento di Alessandro Baricco

 

Questo è un libro in corso di lettura. Un saggio breve di Walter Benjamin al quale, tuttavia, vorrei dedicare del tempo. E dedicarvi una riflessione condivisa, in cammino.

È un testo di agile e piacevole lettura, utile per raccogliere un pensiero e produrne altri, anche fuori tema, collaterali.

Il tema è chiaro a partire dall’incipit.

 “Il narratore – per quanto il suo nome possa esserci familiare – non ci è affatto presente nella sua viva attività. È qualcosa di già remoto, e che continua ad allontanarsi. Presentare un Leskov come narratore non significa, quindi, avvicinarlo, ma accrescere la distanza che da lui ci separa.”

Nikolaj Leskov: un autore che non mi è familiare. Di lui, ricordo solo un romanzo, “Una famiglia decaduta” che faceva parte dei libri di casa e mi era piaciuto; ovviamente disperso. Nel ricordo, il genere storia edificante piacevolmente narrato, che mi sono affrettata a procurarmi, un benedetto veloce e-book di cui, può essere, racconterò.

Ritratto di Nikolaj Leskov dipinto da Valentin Serov. Wikipedia

Nel mentre, il testo di Benjamin si rivela subito (e come tale ce lo presenta Alessandro Baricco) un’opera che, prendendo a pretesto Nikolaj Leskov, riflette sulla figura e sulla funzione del “narratore”.

“L’arte di narrare si avvia al tramonto. È sempre più raro incontrare persone che sappiano raccontare qualcosa come si deve (…). È come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: la capacità di scambiare esperienze.

Una causa di questo fenomeno è evidente: le quotazioni dell’esperienza sono crollate. E sembrerebbe che si tratti di una discesa senza fondo”.

Benjamin scrive nel 1936. Il mondo è cambiato. Una società ottocentesca, con le sue regole sociali, gli stili di vita, è stata distrutta. C’è stata una guerra dalla quale, dice ancora Benjamin “la gente tornava ammutolita, non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile”.

È in corso un rivolgimento nelle classi sociali; niente è più come prima, e niente lo sarà mai più, lungo tutto il Novecento. Ogni esperienza risulterà inutile, zittita.

Ed ecco l’intervento di Alessandro Baricco che ha curato e annotato questa edizione del libro di Benjamin, a farci osservare come Benjamin non proceda, nello svolgere la propria tesi, attraverso una costruzione logica, dimostrando, porgendo elementi a sostegno della stessa. Benjamin <pone> la propria tesi, la <espone>.

Il primo movimento di Benjamin è di porre in costellazione narrazione e esperienza. Le avvicina, e nel registrare lo spegnersi della seconda spiega l’allontanarsi della prima”.

Quello che Baricco, chiamerà <il graduale formarsi di una costellazione> sta nello sguardo che la osserva e la propone, rendendo il lettore capace di farne esperienza. È sufficiente, per Benjamin, se ho ben compreso, porla nel modo in cui si fissa l’assunzione di un postulato, anche attraverso l’eleganza della sua formulazione: che non chiede spiegazioni poiché le contiene in sé, nell’evidenza di ciò che afferma; e attraverso l’assertività anche formale delle parole che lo compongono.

Benjamin postulava, dunque, la fine dell’arte del narrare: era il 1936. Postulava la fine della capacità di trasmettere esperienza.

Baricco ci informa anche del fatto che l’opera di Leskov costituirà unicamente un pretesto, un’esemplificazione per affrontare un tema di enorme portata – la fine, la morte della capacità, dell’interesse a narrare – un tema che, avviato (forse, anche) attraverso queste pagine, sarà oggetto di discussione lungo tutto il Novecento.

Il narrare, il senso originario di questo comportamento umano, è proprio della nostra specie che è stata nei secoli, e addirittura nei millenni, caratterizzata dal bisogno e dal piacere di raccontare e ascoltare storie.

Non è eccessivo dire che questo bisogno/attitudine ha costituito, lo dico a modo mio, il fondamento delle culture, in quanto strumento principe per trasmettere esperienza, da una generazione all’altra; e che per lo svolgimento di questa funzione è stato, ed è tuttora fondamentale, la figura del narratore. Persino le divinità, nelle diverse mitologie, vi hanno dovuto far ricorso per fornire gli uomini di una storia che dicesse loro chi erano, qual era il loro destino, il loro posto nel mondo; fornendo norme da osservare per perseguirlo.

Ora, con queste pagine, ponendo come <fatto> la morte del “narratore”, la fine della funzione narrativa nella e per la vita delle nostra specie, Benjamin ci parla di un mutamento antropologico di cui, mentre percepiamo tutta la tragica realtà – il non saper più comunicare esperienza, trasmetterla, tradurla in cultura, in esperienza condivisa – contraddice la nostra esperienza.

Rileva Baricco: “l’arte di raccontare non è affatto tramontata. Ci troviamo immersi in un mondo che ne fa larghissimo uso anche in campi che in teoria non le spetterebbero affatto (la politica e il marketing, per esempio).

Pure, il Novecento è stato davvero il tempo della “morte del romanzo”; il tempo in cui la forma ottocentesca, caratterizzata per l’appunto dalla <narrazione> ha lasciato il posto a – cosa? – flussi di coscienza, introspezione, decostruzione del tempo. Si è detto, qua e là, che con Finnegans Wake (romanzo che non ho mai letto e che sono quasi certa che non affronterò mai) il romanzo è definitivamente morto: pubblicato nel 1939, tre anni dopo la pubblicazione di questo saggio di Benjamin, i prodromi c‘erano già tutti. Tutta l’opera di Virginia Woolf lo mostra; e a confermarlo sarebbe certamente bastato l’Ulisse di James Joyce, ma potremmo anche dire, giocando con le parole, che mai si dice quale sia la forma del romanzo; o quantomeno la forma che “sarebbe morta”; e se tal forma debba, dovesse, non mutare, cosa che più che la morte decreterebbe che il romanzo non fosse mai nato.

A ben vedere, tutto questo – la fine della narrazione – è avvenuto, nel Novecento, in ogni arte; nelle arti visive, nella musica.

Nel mio piccolo il tema fornirebbe una possibilità al fatto, privatissimo, banale, della mia attuale, peraltro solo apparente, difficoltà a trovare un “romanzo” di mio gradimento; un romanzo che io abbia voglia di leggere, qui ed ora: salvo non si tratti di ripercorrere una mia personale storia di lettrice, di frequentare un piccolo solipsistico amarcord, frutto di inventiva, per non dire di invenzione vera e propria, come ogni amarcord che si rispetti.

Prendo nota del fatto che, nella scelta, vado alla ricerca, per l’appunto, di “narrazioni”. Ed ecco le favole; la narrativa (erroneamente definita) per ragazzi.

Ho letto, da qualche parte, che Benjamin ne era un cultore, e possedeva una ricca dotazione di narrativa per l’infanzia. Interessante.

Il dilemma ci sta tutto, ma Baricco ci proporrà una via di uscita; e lo farà operando come Benjamin: ponendola.

Interrogandosi sul dilemma si chiederà se Benjamin, visto a ottant’anni di distanza, non abbia sbagliato tutto o se invece non sia necessario assegnare al temine <narrazione> un diverso significato; che abbia a che fare con, per l’appunto, la sua origine, antropologica.

Baricco ci propone di assumere le parole di Benjamin codificandole così: “l’arte <originaria> e <autentica> del narrare volge al tramonto”. E assume questa come risposta al dilemma.

 Nel frattempo, leggo. Trascorrendo da grandi entusiasmi, della durata di qualche ora – di un libro, per l’appunto, o poco più – a incertezze nella scelta, circondata da libri che mi attraggono ma per i quali non sento presente il giusto tempo di lettura.

Walter Benjamin

Walter Benjamin: 1892 – 1940. Personaggio affascinante, un incontro frequente a latere di altri pensatori, letterati, autori, dentro un periodo che lo ha veduto interprete incerto, di un primo piano sfocato. Verrebbe da dire di uno apprezzato dai suoi compagni di storia nel modo in cui si apprezza una promessa in via di essere mantenuta, che ha spezzato – ha dovuto spezzare – il proprio tempo rinunciando, non sapendo, non potendolo afferrare. Autore – filosofo? Forse, ma anche no. Pensatore, critico letterario; linguista, traduttore; incapace di fissare, forse, i propri interessi; travolto da un tempo di vita, dalle sollecitazioni intellettuali dei suoi giorni e dei suoi luoghi, dei compagni di strada; dal bisogno di risolvere la propria vita. Ebreo. Suggeritore e interprete – stritolato dai suoi giorni.

Il futuro che non ha avuto, che ha scelto disperatamente di negarsi, gli si è aperto – dopo la tempesta – in una valutazione postuma che ne innalza la figura; che innalza, forse, ancor più, il debito di molti grandi verso di lui – che lo hanno accompagnato e dal suo pensiero hanno tratto linfa.

Ho letto <di> lui. Non ne avevo finora affrontato uno scritto. È qualcuno sempre rimasto in attesa di un suo momento necessario, immagino. Fino ad ora, all’incontro con questo suo lavoro che pare rispondere ad un mio bisogno; e alla possibilità di leggerlo, di tentarne un cauto assaggio, accompagnata dalla guida di Alessandro Baricco.

Nota curiosa. Ci informa ancora Alessandro Baricco, che ha curato e annotato questa edizione, che “Il Narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov fu pubblicato dalla Rivista “Orient und Occident” nel numero dell’ottobre 1936 (…) in Svizzera, dove peraltro poteva contare su un numero di abbonamenti per così dire commovente: 35. In Germania era stato vietato dalla Gestapo.”

 

Un’ultima annotazione. Dopo averci informato che quest’opera, alla nascita della Scuola Holden (e immagino a lungo) è stata oggetto di un lettorato della durata di un anno, e mentre ci dirà, poi, che la narrazione è più viva che mai, Baricco scrive questo, nella sua Nota introduttiva al testo:

“Per la cronaca, alla Holden questo saggio non si studia più. Una mutazione antropologica curiosa e affascinante ha generato recentemente fantastici allievi incapaci di stare seduti per più di quaranta minuti e sostanzialmente disinteressati ad affrontare problemi puramente teorici. Non sarebbe pensabile fare un anno di lettorato con loro più di quanto sarebbe proficuo insegnare algebra a un angelo.)”

Il dilemma permane. Occorre proseguire questa lettura.