È stato dunque bello tornare in libreria. Con mascherina, e pazienza, anche se non è un disturbo da poco. Ma è stato bello. Al punto da non potermi trattenere.
Ci sono dovuta tornare e tornare – sei gite nel tempo giusto di un mese; cercando, in librerie diverse, libri che nel, nel corso di questo tempo, mi avevano richiamato; alla ricerca di cose nuove che potessero sorprendermi; alla ricerca di quel tipico venir sorpresa che il tempo dentro una libreria porta con sé.
Anche se, e lo dico con dolore, sempre più con una qualche fatica che un tempo non conoscevo; con qualche delusione per libri non trovati, per libri dichiarati, impropriamente, defunti.
C’è dunque stato anche il dovermi rivolgere ad Amazon quando la libreria non è stata in grado di procurarmi l’agognato cartaceo, che defunto non era.
Avevo già segnalato (qui) una prima parte del bottino; che ora aggiorno.
Nane Cantatore, “Umani e altri animali. Riflessioni per un’ottica onnivora”, luca sossella editore 2020.
Autore ed editore sconosciuti; acquisto compiuto in una piccola libreria cittadina pregevole per offerta di piccoli editori di qualità; e per un catalogo molto particolare; per, quasi solo, libri-sorpresa inattesi.
Dopo aver iniziato, come sempre faccio dopo un acquisto, una breve lettura di assaggio, a spizzichi, ho realizzato che mi stavo già dedicando a sottolineature e note a margine; e che dunque il libro (autore – editore – testo) richiedeva un tempo dedicato, tutto per sé: era dunque una lettura da rinviare.
Un libro, dunque, che viene a fagiolo se avrà, come mi pare prometta, un suo contenuto apprezzabile.
A seguito, figli di librerie diverse:
David Garnett, “La signora trasformata in volpe”, Adelphi 2020
Un autore britannico, (1892 – 1981), che non avevo mai incontrato. Libraio ed editore, David Garnett ha fatto parte del gruppo di Bloomsbury. La sua storia di vita è intrecciata a quella di Vanessa Bell e della figlia di questa, Angelica, che Garnett, vedovo, avrebbe sposato in seconde nozze.
Il loro era stato un matrimonio molto controverso, che letteralmente orripilò la famiglia di lei, di cui era intimo da lunga data. E finì con quattro figli e un divorzio.
Fu una delle tante storie “scandalose” del gruppo.
Autore poco tradotto in Italia, assente dai cataloghi negli ultimi vent’anni, è alla prima edizione Adelphi che tuttavia aveva editato altri due suoi romanzi (“Un uomo allo zoo”, 1993 – altre precedenti edizioni: Mondadori, Medusa, 1956; Oscar, 1981; e “Il ritorno del marinaio”, 1984 – una precedente edizione Mondadori, Medusa 1956).
“La signora trasformata in volpe” era stato invece editato in precedenza da Mondadori (Medusa, 1956), Einaudi (Nuovi Coralli 1973) e Melangolo (Nugae 1995).
Che dire: nel tempo, paiono esserci stati tentativi, regolarmente ripetuti a distanza di una generazione, di proporre e riproporre questo autore, e pure in collane prestigiose, da parte di importanti CE: tentativi, a quanto pare, su cui si intende insistere. Deve dunque trattarsi di un’opera che lo merita.
Sono incuriosita. Un po’, confesso, anche sospettosa: il libro narra, in chiave, dice la quarta di copertina, di “conte fantastique”, la storia di una donna che “un giorno, senza preavviso, si tramuta in una volpe sotto gli occhi stupefatti del marito (il quale continuerà ad amarla e accudirla anche quando lei comincerà, inesorabilmente, a inselvatichirsi”) mentre (leggermente, senza parere) si insinua che la storia abbia a che fare con il rapporto amoroso intercorso tra David Garnett e il pittore Duncan Grant (cui infatti è dedicato): quel Duncan Grant che, negli stessi anni in cui il libro fu scritto, era stato il padre biologico di Angelica, come detto figlia di Vanessa Bell (1818 – 2012) e vent’anni dopo moglie di Garnett.

Uscito nel 1922, il libro è corredato dalle illustrazioni di Rachel Marshall, prima moglie di David Garnett, a sua volta partecipe del gruppo di Bloomsbury (e di cui con ogni evidenza accoglieva la socialmente anomala libertà nei rapporti sessuali).
Il libro ebbe successo, l’editore informa anche di un balletto che ne fu tratto nel 1939, di recente ancora replicato a Londra.
Ed ecco il sospetto: è indubitabile che le storie amorose chiamiamole irrituali del gruppo di Bloomsbury richiamino ancora interesse e curiosità; storie amorose peraltro anche abbastanza esibite in un tempo che oggi potrebbe parere inidoneo a ciò. Come tuttavia è indubitabile il valore delle opere dei componenti di un gruppo che ha annoverato tra i suoi membri scrittori, pittori, intellettuali di meritata chiara fama.
È un libro breve. Un centinaio di pagine. Sulla qualità confido possa far fede Adelphi. E la sua storia editoriale.
E infatti, non demordo dalla rimpatriata nella casa editrice:
Pierre Michon, “La grande Beune”, Adelphi 2020.
Fernando Pessoa, “Lettere alla fidanzata”, Adelphi 2012
Il primo, “La grande Beune”, un “Piccola biblioteca” blu di nuova uscita. Un libriccino, pubblicazione originale 1996 Èditions Verdier, di un autore, anche in questo caso, che non conoscevo. Una quarta di copertina e una veloce lettura delle prime due pagine e la mia mano artiglia il libro: un lungo racconto, una sessantina di pagine.
Narrazione in prima persona, chi parla è “un giovane maestro fresco di nomina”; il luogo, “uno sperduto borgo della Borgogna…mentre torbide acque sferzano le finestre e la Grande Beune scorre melmosa giù, alla base della falesia”; la sensazione di un viaggio a ritroso nel tempo; e un personaggio, Yvonne, la tabaccaia, una figura femminile “alta e bianca, – «puro latte» – abbondante e florida come le uri, corvina ma con gli occhi chiarissimi, che suscita in lui un lancinante, selvaggio desiderio”.
E vedi, dev’essere il refrain del momento, del personaggio di Yvonne si anticipa che “il sopraggiungere può essere annunciato da un corteo di bambini incappucciati che inalberano, nel gelo della campagna, il trofeo di una volpe morta e vi danzano intorno (…)”

Ho acquistato questo Adelphi, come il precedente, in una piccola libreria di Conegliano (una cittadina a trenta chilometri da Treviso) dal nome evocativo – “Tralerighe” – che vorrei frequentare di più: caratterizzata da un catalogo ben definito; buoni libri, ben selezionati; categorie chiare, tra cui una accurata selezione di graphic novel; nessun “di tutto di più”, ma un luogo da cui si esce sicuramente con più di un libro tra le mani.
Il secondo piccolo Adelphi, invece, “Lettere alla fidanzata”, ha dovuto proprio essere richiesto ad Amazon. E va bene, è abbastanza datato, dodicesima edizione 2012 – prima edizione 1988 – e tuttavia, davvero: perché? Non più richiesto, immagino, esaurito, ma dodici edizioni sono un bel risultato che meriterebbe la riproposizione.
Lasciata Einaudi, ecco ripresentarsi Virginia Woolf:
“Oggetti solidi. Tutti i racconti e altre prose”, Racconti edizioni 2016. Traduzione di Adriana Bottini e Francesca Duranti. A cura di Liliana Rampello.
Cercato in più di una libreria: sconosciuto, introvabile. Così, il cartaceo è arrivato, ancora una volta, via Amazon.
Lo ammetto è un libro che mi ero lasciata sfuggire e ora si tratta di un libro <vecchio> di ben quattro anni: e per questo <introvabile> nelle librerie: che poi accusano Amazon per le proprie difficoltà (sic!)
È davvero normale che in una sola libreria io abbia riscontrato, a parte la non reperibilità del libro, la conoscenza della CE Racconti? Solo la libreria “Tralerighe” ha registrato la legittimità della mia richiesta e cercato, pur dovendo concludere che no, non lo aveva.
Così lo presenta l’editore:
“Un libro inspiegabilmente non disponibile ai lettori italiani. Racconti edizioni ripropone al pubblico l’intera raccolta dei racconti di Virginia Woolf nell’elegante traduzione di Adriana Bottini e Francesca Duranti e per la curatela di una delle sue più preparate e appassionate studiose italiane: Liliana Rampello. Un excursus nell’opera della scrittrice lungo tutta la sua parabola, dalle prime sperimentazioni del flusso di coscienza fino ai racconti più ombrosi della maturità come Il lascito. Queste perle letterarie rappresentano il più diretto viatico per l’universo linguistico e tematico di Woolf. Il ruolo della donna, l’incomunicabilità, la fugacità delle emozioni, l’amore per la vita e per l’indicibile, attraversano tutte le sue storie con incredibile consistenza fra le pieghe di una quotidianità che si approssima in modo inaspettato all’universale.”
Lo sto leggendo, ed é un libro davvero imperdibile. È tutta intera Virginia Woolf, ma proprio tutta, nel farsi dei suoi temi e delle sue opere, e nella sua piena maturità. Dal 1906 e fino alla fine della sua vita: l’ultimo dattiloscritto, con correzioni autografe, è datato 1 marzo 1941: il 28 marzo Virginia decise di lasciarci.
Sono pagine che chiedono in via assoluta il cartaceo; che addirittura chiederebbero un cartaceo da completare a suon di sottolineature e note a margine, perché ci sono libri che non vengono rovinati da questo uso; che ne vengono invece vitalizzati, arricchiti di nuova vita dalla relazione pagine-lettore; che diventeranno libri-figli, identità nuove. Se avranno fortuna, usciti dalla casa editrice come singolo pezzo di un prodotto in tante copie uguali, diventeranno un singolo libro irripetibile.
Un giorno, su una bancarella, qualcuno se li troverà tra le mani e li farà rinascere. Se avranno fortuna, certo.
Non so se riuscirò, più avanti, a raccontare questa lettura. È un libro <tanto>, un libro <troppo>. Un libro che, come sempre accade con Virginia Woolf, si fa leggere in scioltezza e piacere ma non in velocità. Che chiede il proprio tempo e una totale immersione.
E c’è, ne avevo già parlato, credo, Fernando Pessoa, “Il libro dell’inquietudine: l’altro libro in predicato di lettura, aperto, richiuso, ripreso, da riiniziare. Spinto da parte da Virginia Woolf? Sono una disgraziata, bulimica. Ho un estremo bisogno, non di vivere più giorni di quelli che potrò avere, solo di dilatare il tempo di ogni giorno. Per non far incocciare momenti di vita diversi, atmosfere, pensieri, in uno scombiccherato intreccio tra di loro. Che poi, chissà come, in effetti trovano una sintesi. Va a capire.
Ultimo libro del momento. Che verrà letto, ma non subito:
Valeria Parrella, “Almarina”, Einaudi 2019
Non ho seguito lo Strega, quest’anno. Avevo, come tutti, una mia scelta, ingiustificata e improbabile (preconcetta): come potrei scegliere tra libri che non ho letto? Che, per ora, ho scelto di non leggere?
Gianrico Carofiglio, “La misura del tempo”, (qui) del cui secondo posto allo Strega sono piacevolmente stupita.
Non so. Sicuramente bei romanzi. Ma percepisco un sentore di già dato; pure se non capisco da dove mi venga. È qualcosa come un sinonimo di “romanzo”, fuori tempo massimo.
Non mi so spiegare: dovrei pensarci. Non ne ho voglia.