Un caffè con… (segue)

Harriet Beecher Stowe, “La capanna dello zio Tom”, ed. 

Claudia Rankine, “Just Us.  Una conversazione americana”, ed. 66th and 2nd

Continuo il mio finto riordino; mi fermo tra copertine, desideri e ricordi, perdendomi tra Libri Che Non Ho, Libri che mai avrò, Libri Da Rileggere, Libri In Corso Di Lettura  – e qualcuno susciterà ricordi, qualcuno rimpianti; qualcuno non sarà stato mai terminato; e qualcuno provocherà la mia rabbia, sapendo che meriterebbe di venir cestinato e tuttavia io non lo saprò fare. Per un libro, per qualunque libro, ci sarà sempre qualcuno capace di riscriverlo per sé, e trovarvi ciò che gli serve, proprio in quel momento. 

Pure l’attesa di un libro, precedente alla sua lettura, ha un valore. Pure i libri che mai avrò hanno una loro presenza. Sono con noi in altri libri che li richiamano, che li copiano, che li citano e, a pezzi e mozziconi, alla fine è proprio come se – ma lo diceva anche Umberto Eco (o era Italo Calvino? O il primo, senza saperlo, ha copiato dal secondo?).

Non esiste una storia che non sia stata mai raccontata, né una storia che non sia mai stata scritta. La differenza, non da poco, la fanno i lettori – diversi, appartenenti a tempi del mondo diversi, in momenti personali diversi; lettori capaci di trovare, libri capaci di dare, le giuste parole nel giusto momento.

Mi si impone ancora una citazione da una delle chiacchierate con Neil Gaiman:

“Non ci sono due lettori che leggono o mai leggeranno lo stesso libro. (…) Non so se qualcuno di voi ha mai fatto l’esperienza di riprendere in mano un libro che amava moltissimo da bambino.. (…) e ricordate come scrosciava la pioggia, ricordate come gli alberi si piegavano al vento, ricordate il nitrito e il rumore degli zoccoli del cavallo che fuggiva attraverso la foresta  fino al castello… E poi riprendete quel libro da adulto e trovate una frase tipo: “Che notte spaventosa era questa” disse mentre cavalcavano nella foresta. “Spero che arriveremo presto” e capite che siete stati voi. Voi avete costruito la storia. L’avete fatta voi.” (In “Questa non è la mia faccia”: “La pornografia del genere o il genere della pornografia”)

Neil Gaiman

Vedete, dunque, come stanno le cose. Ha sempre avuto ragione Snoopy: “Era una notte buia e tempestosa”.

Mi dico che, dopotutto, non sono poi così disordinata – sono i libri che vivono una vita loro, indipendente. Se ne vanno in giro. Vengono, vanno, si accalcano. Non stanno in fila: sono, dopotutto, italiani. 

Poi, l’ordine, quello vero, porta con sé una vena di tristezza. Dunque: facciamo ordine senza, trattandosi di libri, buttare niente. Nel caso, distribuire, regalare, affidare a qualcuno, cose così.

Libri che mai avrò. Occorre chiarire la differenza sostanziale che intercorre tra l’impossibilità di possedere tutti i libri aventi titolo ad essere accolti in una biblioteca universale e il possedere tutti i titoli desiderati (che potrebbero comprendere libri scritti in lingue diverse dall’italiano, mai tradotti, di autori che vorrei, e non posso, leggere; libri di autore italiano fuori catalogo e che non dovrebbero esserlo: libri, soprattutto – e sono certa della loro esistenza – di cui io nulla so ma che, almeno uno di loro, potrebbe essere IL LIBRO della mia vita che – ne sono certa – morirò senza aver letto (rimanendo, come tutti, digiuna di molta parte di me, del mio prossimo, del mondo e, va da sé, sui massimi perché).

Diciamo che il campo dei libri che mai avrò è troppo ampio per essere dissodato, anche perché, per questa via, avendo stabilito di dedicarmi al riordino, finirò a cercare libri, e informazioni di contorno, in rete: il riordino, al solito, resterà in attesa, mentre il volume totale dei libri da riordinare aumenterà. 

I libri che non ho: ecco una categoria che non dovrei prendere in considerazione, dato che mi trovo alle prese non solo con il bisogno di riordinare i miei possedimenti ovunque dispersi ma pure con il bisogno di iniziare un pensiero sull’eliminazione di parte degli stessi – che significa, ovviamente, farli uscire dallo spazio limitato di casa mia, non certo distruggerli.

Se non che, tralasciando i libri di nuova uscita che, sempre ovviamente, dovranno/dovrebbero venir acquistati con cautela; e con riferimento ai libri che desidero, o che mi capiterà di desiderare, diciamolo: una qualche ragione forse ce l’ha quella tal Marie Kondo che mai ho letto e che insegna, mi dicono, come riordinare.

Eliminare <i libri dismessi>, <gli acquisti sbagliati>, ecc. ecc., potrebbe creare uno spazio per nuovi libri. Quale altro motivo avrei per riordinare? Dopotutto, pure nel disordine, sono sempre in grado di ritrovare un mio libro, in forza di quel minimo di ordine residuo che sempre permane. 

Per questa via, nella ricerca, scorrendo gli scaffali, avviene di compiere interessanti recuperi, tali da far sparire il nuovo desiderio e tali da far aumentare il disordine causa “impilamento”* sul tavolo e nei dintorni di nuovi libri da rileggere . 

Libri da rileggere. Categoria difficile da definire. Più facile individuare l’inverso, i libri che mai più leggerò: Tipo: li avevo apprezzati in un altro tempo, in un’altra età. Tipo: non si tratta, non davvero, di libri. Tipo: Romanzetti falliti? Saggi mainstream di un’epoca dimenticata?

Harriet Beecher Stowe

Tra i miei libri – anche tra i vostri, suppongo – c’è la storia di una vita; la storia di tante età, ognuna delle quali con la sua quota di stupidità, di emozioni mal gestite, di domande mal poste.

So bene di aver posseduto un libro di astrologia, nel giovane e speranzoso tempo in cui mi pareva che Gemelli ascendente Scorpione dovesse pur significare qualcosa. Era il giovane tempo in cui si è onnipotenti; e certi di possedere un controllo sulla nostra vita.

Credo che quel libro sia stato già opportunamente “perduto”: so di non averlo eliminato (ricordo perfettamente i pochissimi libri, meno delle dita di una mano, che ho brutalmente e senza remore cestinato. L’avrò prestato? Sempre all’epoca? Può essere.

Devo dire che, se dovessi ritrovarlo tra quei libri, là in alto, dove mi si richiede la scala alta per arrivare, oggi non lo getterei: fa parte della mia storia, è pure un documento del genere “memento quia pulvis es…”, del tempo in cui si andava in chiesa, un certo mercoledì, a “prendere le ceneri” (Per i più giovani che non hanno memento alcuno della cosa: Genesi 3,19. Per il rituale, dovrete cercarvelo). 

A ben vedere, al tempo presente, e per quanto non sia ancora possibile considerare adeguato il sistema bibliotecario italiano, una biblioteca privata dovrebbe, in effetti, contenere unicamente libri il cui possesso sia legittimato da un valore (anche personalissimo, non necessariamente legato al valore letterario comunque assodato, magari a torto, o per sicura durata nel tempo) che ne preveda la periodica rilettura; o da un valore affettivo che, in questo caso l’oggetto-libro e non necessariamente il suo contenuto, porti con sé.

Tanto per fare un esempio: mi ritrovo tra le mani “La capanna dello zio Tom” che, avendo io perduto in qualche modo l’edizione della mia infanzia, ho riacquistato, ritrovandola in una bancarella, adeguatamente ma non troppo malconcia, per, tipo, uno o due euro. 

Si trova fuori posto. L’avevo inserito tra la narrativa per ragazzi, area che da tempo trascuro. Prometto di recuperare, ho qualcosa in vista.

Possiamo concordare? Dal punto di vista letterario non ne sarebbe valsa la pena; dal punto di vista storico-culturale è stato un libro importante, che oggi risulterebbe tuttavia decisamente fuori gioco, a mio parere, soprattutto per i bambini – non essendo stato scritto, peraltro, per loro – impregnato com’è di una, per quanto involontaria, <superiorità> bianca.  Ma che farci: è parte della mia storia, della mia infanzia, della mia prima crescita, e dunque lascerò ai posteri, se lo riterranno, la fatica di liberarsene.

Forse sbaglio. Forse, resta un libro importante. Anzi, lo è davvero, nel suo essere stato un libro d’avanguardia, dirompente rispetto al comune sentire del tempo in una nazione quale gli U.S.A. che, proprio per la storia da cui è nata, credeva, in un illusorio presumere di sé, di rappresentare, come propria missione, un mondo in cui le libertà individuali venivano riconosciute al massimo grado.

Oggi: temo che la figura dello zio Tom risulterebbe il sogno di un razzista inconsapevole; e potrebbe costituire una lettura, per adulti, utile proprio a questo fine: renderci consapevoli di un razzismo tuttora introiettato dagli appartenenti alla popolazione di pelle “bianca”. Nessuno escluso.

Claudia Rankine

Sto leggendo un interessante saggio di Claudia Rankine, “Just Us. Una conversazione americana”, ed. 66th and 2nd; un saggio in cui l’autrice “affronta le dinamiche razziste della contemporaneità, dando spazio a voci e tesi altrui, in particolare quelle dei bianchi offuscati dai loro stessi privilegi, e unendo il racconto autobiografico a commenti e note che mettono in discussione l’autorità delle fonti e delle opinioni riportate”; ed ecco: potrebbe essere interessante prendere un caffè con Claudia Rankine e con Harriet Beecher Stowe, “la piccola signora che ha scatenato una grande guerra”, come pare abbia detto Abraham Lincoln incontrandola.

Un confronto tra le due (e con me?) presenterebbe, temo, qualche difficoltà.

Nella mia parte di <padrona di casa>, posto che riesca a non venir travolta da una conflitto culturale ingestibile, mi ritroverò nel bisogno, acuto, di chiedermi cosa significa, cosa comporta, e sarà davvero superabile l’appartenenza alla popolazione bianca?

Confido nella saggezza di Claudia Rankine (pure se, ancora, non la conosco bene).

Il suo sguardo nei nostri confronti potrebbe consentirci la fatica improba di vederci da un esterno; e consentirci di porre a noi stessi qualche domanda.