Robert Sidelsky, “John Maynard Keynes. Speranze tradite. 1883 – 1920“, Bollati Boringhieri 1989
Il libro è in corso di lettura, ma questo non impedisce di iniziare a parlarne; ho idea che potrebbe trattarsi di una visita al libro a puntate. E il perché è presto detto: in questo libro, oltre a narrare la vita e il lavoro di J. M. Keynes, l’autore esplora altre aree di grande interesse, da quella relativa al contesto storico socio-politico e culturale in cui Keynes si mosse, a quella relativa ai molteplici interessi e ambienti da lui frequentati, a quella dello sviluppo e dell’esprimersi di una personalità dalla forte caratterizzazione individuale.
E si richiede dunque che, per ognuna di queste aree, da un lato se ne esplorino, per quanto brevemente, aspetti fondamentali, dall’altro che si diano per noti una serie non banale di fatti, persone, avvenimenti. Di cui invece sarebbe bene, per quanto possibile, parlare.
E dunque può essere interessante iniziare una visita a questo libro dalle premesse che l’autore pone a fondamento della sua opera e che sembrano peculiari.
Skidelsky, nella Prefazione alla seconda edizione di questo volume, parlando degli scopi del libro e, più in generale, degli scopi che in generale si propone un biografo, si concentra sul rapporto, eventualmente esistente, tra la vita di un grande economista e la sua teoria economica.
Nel caso di Keynes, sembra esistano opinioni diverse su questa correlazione, in dipendenza dal fatto che chi le esprime sia un detrattore o un fautore delle teorie keynesiane.
Il tema viene correlato, infatti, alla sua omosessualità e sembra venir presentata una tesi, vorrei dire tragica e curiosa: Skidelsky suggerisce, infatti, che, mentre i detrattori della teoria keynesiana correlano la teoria stessa all’omosessualità del suo creatore, implicando che una ‘devianza’ dalle regole sociali e morali lo abbia portato a ‘deviare’ anche dalle regole economiche asseverate, i fautori della teoria avrebbero scelto di sorvolare sugli aspetti ritenuti devianti della sua vita, anche in questo caso, non se ne esce, ritenendo di dover ‘difendere’ Keynes dalla possibilità che il suo orientamento sessuale abbia potuto influire sulla costruzione della teoria. Non vi pare che questo tipo di pensiero sia tragico e curioso insieme?
E così, riferisce Skidelsky, “Sir William Ree-Mogg ha sostenuto che il rifiuto di Keynes delle <norme generali>, ulteriormente provato dalla sua omosessualità (la sottolineatura è mia), lo spinse a rifiutare <il gold standard> che assicurava un controllo automatico dell’inflazione monetaria” (sic!)
I fautori di Keynes sostengono invece l’assenza di una correlazione tra vita e opera e, così facendo, implicano a loro volta un giudizio negativo sulla vita e sull’omosessualità di Keynes, che avrebbero potuto, se ammesse, inficiarne la figura di grande economista. Del genere excusatio non petita, mi pare.
La domanda cui aspetto di trovare risposta è se Skidelsky stesso ne tenga conto per un giudizio da economista, quale egli è, mentre si chiede, e proprio perché si chiede, quale sia il compito di un biografo e a quale funzione risponda una biografia. Skidelsky infatti se lo chiede davvero, mentre cerca di “foggiare un bel racconto e spiegare le cose”, precisando che questo implica l’idea che, in Keynes “vi debba essere un qualche un rapporto (…) tra gli eventi che accadono nella sua mente e quelli che accadono nella sua vita.”
E conclude, “perché non credere che risultati intellettuali di grande originalità siano frutto di una particolare congiunzione di qualità personali e circostanze storiche e che la forza letteraria della biografia possa essere particolarmente consona a una loro indagine accurata?”.
Skidelsky sceglie dunque di indagare ciò che egli chiama “l’uomo dietro il modello”, affermando “È tempo che gli studi keynesiani si svolgano in un quadro storico biografico adeguato.” E lo fa anche con riferimento allo stato della conoscenza di Keynes affidata, nel momento in cui scrive, quasi unicamente alla biografia dell’economista sir Roy Harrod.
In quest’opera, apparsa nel 1951, non viene fatta parola dell’omosessualità di Keynes (a tutela, si suppone, della sua teoria) che diverrà di dominio pubblico solo nel 1967, per via indiretta, attraverso la biografia di Lytton Strachey scritta da Michael Holroyd, dove si parla del grande amore di Keynes per Duncan Grant e della loro relazione.
Possiamo ricordare, a lato, o richiamare il fatto che Duncan Grant, pittore e ceramista scozzese, cugino di Lytton Strachey, con il quale ebbe anche una relazione, divenne il compagno di Vanessa Bell, sorella di Virginia Woolf, ed ebbe con lei anche una figlia, Angelica Bell, riconosciuta come propria dal marito di Vanessa, Clive Bell (ci stava, nel quadro delle relazioni aperte che caratterizzava il gruppo di Bloomsbury di cui tutti erano componenti).
Ora, espungere questa area della vita e delle relazioni di Keynes equivale in effetti a distorcerne la figura, rendendola inconoscibile.
Conclude Skidelsky che presentare “l’uomo dietro il modello” è difficile perché Keynes è stato un uomo la cui vita ha avuto molte sfaccettature, molti interessi, ha frequentato mondi diversi, distinguendosi in questo da ciò che accade generalmente per i grandi personaggi che sono, per così dire, monotematici.
Keynes fu un uomo decisamente molto interessante, e fece cose buone, afferma Skidelsky ma “questo non significa che fosse un uomo buono in senso convenzionale, o anche che si sforzasse con ostinazione di <perseguire il bene>”. E conclude augurandosi che “questo libro riesca a dissipare un simile equivoco, senza cadere nella denigrazione.”
Interessante e curioso, non è vero? Mi incuriosisce, oltre al desiderio di conoscere la vita di J. M. Keynes, anche questo suo biografo che, nella Prefazione e nell’Introduzione alla propria opera sembra essere vittima di una grande ambivalenza. Ma forse non è così, forse pare solo a me. Quanto basta e avanza per non lasciare il libro.