A proposito di Marcel

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Prime pagine di “Dalla parte di Swann”, con le correzioni e revisioni a mano dell’autore. Da: Wikipedia.org

Recensendo il bel romanzo di Uras “Io e Proust” ho parlato anche della voglia che prende di rileggere, o leggere, o riprendere la lettura, della Recherche – e andare alla ricerca del tempo perduto.

La monumentalità dell’opera di Marcel Proust frena, non c’è dubbio. Ma è altrettanto certo che i romanzi sono leggibili e godibili anche separatamente: non occorre assolutamente ingurgitarli tutti di fila, ognuno di questi romanzi si legge di per sé e ognuno di noi ci si può ritrovare, perché ognuno di noi ha assaggiato, una volta o l’altra, l’equivalente di una madeleine della memoria.

Marcel Proust è sicuramente un autore poco letto e tuttavia porta con sé la nomea di una vita in qualche modo ‘disordinata’, dedita alla frequentazione dei salotti che contavano socialmente, accreditata temo da quella sua foto, capelli e baffi impomatati e uno sguardo diciamo molto particolare. Il grande pubblico non conosce praticamente altro di lui.

Per converso, la critica proustiana è immensa e si è esercitata anche nel rintracciare l’autore e le sue coperture nelle ‘devianze’ dei suoi personaggi.

Pure: la sua sottaciuta nomea non trova grandi riscontri nella sua biografia. La sua gioventù è stata sicuramente caratterizzata dalla frenetica frequentazione di salotti. Era dunque uno snob? Poco importerebbe, nei salotti non era solo.

Frequentava il proprio ambiente, era quel che si dice nato bene (la madre, Jeanne Weil apparteneva ad una famiglia dell’alta borghesia finanziaria, il padre era un noto medico e studioso). Era tuttavia segnato dalla malattia, vittima di terribili crisi d’asma in un’epoca in cui non c’erano farmaci che ne consentissero il controllo, e dunque impossibilitato a scegliere, che so, piaceri che richiedessero la forza della gioventù; in aggiunta bruttino, come resistere al bisogno di, almeno, apparire, di far crescere e curare quei baffi peraltro previsti dalla moda maschile del tempo.

A smontare l’accusa di un atteggiamento ossequioso nei confronti della società bene, va anche ricordata la sua posizione nell’affare Dreyfus, un caso di spionaggio che all’epoca scosse profondamente l’opinione pubblica francese, culminando nel processo-farsa e nella condanna del capitano Dreyfus, ebreo alsaziano, in seguito riabilitato: il caso rivelò tutto il profondo antisemitismo presente nella società francese. Marcel Proust, la cui madre era di famiglia ebrea, si espose non poco, insieme ad altri letterati francesi (celebre lo scritto “J’accuse” di Émile Zola, editoriale indirizzato al Presidente francese Faure) a favore dell’accusato, il che non depone sicuramente per uno snobismo sociale che tale posizione sicuramente comprometteva.

La sua intensa vita sociale, in ogni caso, cessò presto. La morte della madre, cui era molto legato, nel 1905, lo porterà a lasciare la casa di famiglia e, nella nuova casa, la sua vita fu assorbita dalla scrittura dei sette romanzi che compongono “Alla ricerca del tempo perduto”. Morirà il 18 novembre del 1922, aveva 51 anni e aveva trascorso gli ultimi venti quasi socialmente ritirato, anche se intorno a sé aveva cari amici, dedito solo alla sua opera e ai suoi affetti privati.

A cosa è dovuta allora la sottile, un po’ taciuta, fama di disordine della sua vita, invece tanto regolare e priva di avvenimenti significativi? La risposta può essere trovata solo nella sua omosessualità, di cui peraltro non mi pare egli abbia mai parlato, neppure per negarla; altra cosa il fatto che il tema sia presente nella sua opera, rappresentato al maschile (il barone Charlus) e al femminile (la grande e centrale figura di Albertine), e non solo. Ma i suoi personaggi, così come le persone, non sono certo iscrivibili nei loro orientamenti sessuali; semplicemente vivono.