E vissero felici e contenti… ma qui c’è un’altra storia

Emile Zola 1902
Emile Zola, 1902

Emile Zola, «Al Paradiso delle Signore», Newton Compton 2015

Ecco un libro – interessantissimo, molto godibile, che dovrebbe indurre ad aprire altre opere di questo autore – che, raccontando una storia, ne racconta un’altra, molto più grande. Di cui è difficile raccontare perché ciò che rende piacevole, d’avvio, la lettura; ciò che ne costituisce la trama, e il suo intreccio (che in questo caso, come avviene nelle fiabe, coincidono), non sono il libro.

Ci troviamo di fronte ad una storia che  segue lo schema della fiaba, e se ne distingue solamente per il fatto che manca la situazione iniziale di equilibrio prevista. Il racconto parte infatti dal momento in cui un equilibrio iniziale è già rotto: c’è stato un lutto e l’eroina si appresta ad affrontare la povertà per mancanza di lavoro.

Il lettore intuisce, da subito, che per riavere tale equilibrio, sia esso o meno un happy end, dovrà attendere che siano attraversate le dovute peripezie, come in ogni fiaba che si rispetti. E inizia a leggere, tranquillo e rilassato. Un libro, pensa, che non darà problemi.

La voce del narratore, nel frattempo, racconta gli avvenimenti seguendo il tempo del loro farsi. «C’era una volta una ragazza, Denise, che…» è il sottinteso dell’incipit:

«(….) se n’era venuta a piedi dalla gare Saint-Lazare dove, dopo tutta la notte passata sulle dure panche di un vagone di terza classe, era scesa con i due fratelli dal treno di Cherbourg»

Denise Baudu, una povera ragazza ventenne di Valognes, piccolo paese della provincia francese, rimasta orfana con a carico due fratelli minori – Pépé, di cinque anni e Jean, di sedici – arriva a Parigi, per raggiungere, ospiteAl paradiso delle signore inattesa, lo zio Baudu, negoziante di stoffe che, tempo prima, alla morte della loro mamma, le aveva scritto che nel suo negozio ci sarebbe sempre stato del lavoro per lei.

Non sarà esattamente così e si intuiranno, da subito, le previste peripezie. Lo zio, che vive, con la moglie Elizabeth e la figlia Geneviève, potrà offrire solo un’affettuosa accoglienza, povera e preoccupata. Il suo piccolo negozio di quartiere sta andando a rotoli per la concorrenza di un nuovo Grande Magazzino sorto di fronte alla sua bottega.

Ed entra in scena il deuteragonista. Si inserisce la figura dell’eroe (negativo? In effetti, no, non proprio).

Viene presentato – in un salotto, circondato da signore, a casa della sua amante – Octave Mouret, il proprietario del Grande Magazzino. È un nuovo ricco, giovane vedovo che, con un relativo capitale ereditato dalla moglie defunta, si è lanciato con successo sul mercato, rivoluzionando il settore dell’abbigliamento e degli arredi per la casa.

Octave Mouret vende stoffe, e finanche abiti prêt à porter e altra mercanzia, a prezzi stracciati, che può applicare acquistando in grandi quantità, e sta mettendo in crisi i piccoli negozi e i piccoli artigiani del quartiere.

L’uomo ha una chiara visione della modernità e del destino di morte dei piccoli negozi. Ma non solo: ha anche chiaro che per riuscire deve conquistare le donne, deve abbagliarle, indurle a spendere, senza freni, a desiderare, a non resistere. Ha chiaro in mente che le donne, da usare e gettare, costituiscono la chiave del suo successo commerciale.

«Al Paradiso delle Signore»: fin dal nome, Il Grande Magazzino costituisce un invito irresistibile per le donne. E Denise, che al suo paese aveva lavorato come commessa in un negozietto, affascinata da quel mostro di luci e vetrine che trova innanzi a sé, arrivando a casa Baudu, si appresta, nonostante il dispiacere che darà allo zio che l’ha accolta, a cercarvi lavoro.  Viene assunta e, da qui, tutto segue.

Le due storie – la risalita di Denise dall’indigenza estrema, la sua ascesa all’interno del “Paradiso”; la conquista inarrestabile del mercato da parte di Octave Mouret – correranno parallele, con alti e bassi, per convergere, infine, come il lettore si aspetta. Denise e Octave si incontrano, si vedono, si piacciono, non se ne fa niente, se ne fa qualcosa, fino all’esito finale della “fiaba”.

Nel corso della storia vedremo «Al Paradiso delle Signore» espandersi, cancellando il vecchio quartiere, devastando l’attività e la vita dei piccoli commercianti e artigiani, costretti a vendere o al fallimento, lasciando libero spazio alle ruspe che demoliranno le vecchie case e le vite di chi ci abitava.

La storia e le vicende dello zio Baudu e della sua famiglia, la lotta inutile contro il Moloch, la poca vita sfortunata della loro figlia, Geneviève, i fallimenti e la disperazione dei piccoli commercianti intersecano le storie di vita dei dipendenti del Grande Magazzino, con la descrizione di un mondo produttivo dalle regole spietate, mentre una guerra crudele si svolge tra commesso e commesso, tra dipendente e dipendente, ognuno impegnato a schiacciare l’altro per non venir sommerso. E intersecano la storia di Octave e Denise.

Entrando e uscendo dalla fiaba, il romanzo si legge come un feuilleton costruito quale alibi per evidenziare il vero protagonista: che sarà forse lui, il Grande Centro Commerciale «Al Paradiso delle Signore»?

Ebbene no, il Grande Magazzino sarà unicamente l’eponimo del periodo storico, della modernità che avanza e travolge un mondo, rappresentata dalla grande rivoluzione urbanistica voluta da Napoleone III negli anni di quello che sarà chiamato il Secondo Impero (1852 – 1870), che ridisegnerà Parigi, facendo nascere la città che ancor oggi conosciamo.

Leggendo, davanti ai nostri occhi si ergono i Magazzini Printemps e la Galerie Lafayette, in Boulevard Haussmann, sul Grande Viale dedicato al prefetto che rivoluzionò la topografia di Parigi – e mentre Zola scriveva, il Secondo Impero era già caduto, ma la rivoluzione operata da quel tempo era in corso e avrebbe continuato la propria strada travolgendo storie e vite, mentre alla ribellione delle masse davano voce le teorie del socialismo che sarà chiamato utopistico e che, nel romanzo, Zola rappresenterà con la voce di Denise, mentre Marx[i] aveva già dato alle stampe “Il Manifesto del Partito Comunista”.

Incontreremo la scienza delle vetrine, la corposità e la levità delle stoffe e dei colori – (a proposito, come faceva Zola a conoscere così bene le stoffe? Descrizioni incredibili, bellissime, che neanche Valentino. Ai nostri occhi appariranno sulle pagine cose mai viste, che potremo gustare alla vista, al tatto, odorare, adorare). Incontreremo il principio, nuovo, del rivolgersi a una clientela appartenente a tutti gli strati sociali, incontreremo la vendita a sconto e in perdita per ottenere di far girare velocemente le merci e aumentare il fatturato, facendo rendere più e più volte i soldi investiti. Incontreremo crudeltà e paternalismo padronale vincenti. Incontreremo lo sfruttamento dei lavoratori, uomini e donne assunti e licenziati stagionalmente, sottoposti a fatiche inumane, in guerra tra loro, pagati a cottimo, sulle vendite.

Su tutto, il trionfo di un nuovo consumismo e il protagonismo negativo delle donne, siano signore della piccola nobiltà, ricche borghesi, o classe media che arranca per mantenere o agganciare l’apparenza di un livello sociale elevato; il loro incontrarsi, il loro fare vita di società nel magazzino; il loro ritrovarsi nei salotti, di cui Mouret è re.

Incontreremo le tragedie e, insieme, l’inevitabilità della modernità, che tutto travolge; l’insensatezza della resistenza dei vecchi commercianti, che moriranno dentro il loro negozietto, abbarbicati al loro mondo ingoiato dalle macerie o lungo la strada della povertà estrema, senza casa, senza lavoro, senza nessuno. Personaggi indimenticabili.

Ma c’è la fiaba e, qua e là, ascolteremo l’amico di Octave che gli dice: attento, le donne (una donna) si vendicheranno (si vendicherà). Arriva l’happy end.

Al tempo della sua pubblicazione, era il 1883, questo romanzo (il cui socialismo utopistico appare oggi ingenuo a noi che abbiamo veduto il seguito, a noi che lo stiamo vedendo) non è stato preso bene dalla buona borghesia, che non si è fatta incantare dalla fiaba di copertura, tutta presa com’era dalla fiaba della modernità.

 

 

[i] Londra 1948