Un po’ di tempo fa buttavo là qualche pensiero sul tema-problema della (reale o supposta) elevata incompetenza linguistica dei nostri studenti (qui). Da parte mia, si trattava, come ho scritto, unicamente di “pensieri in libertà. Nessuno giusto. Nessuno definitivo.”
Lo spunto era stata una lettera, indirizzata pubblicamente al Governo italiano da professori universitari e intellettuali di vaglia che, segnalando il problema, fornivano precise indicazioni sulle didattiche che i colleghi degli ordini di scuola inferiori avrebbero dovuto porre in essere per rimediare.
Ed oggi penso al fatto che si stanno per riaprire le scuole. Un altro anno scolastico sta per iniziare e il tema-problema pare caduto nel più profondo oblio, se non considerato un triste e ineluttabile dato di fatto: cui rassegnarsi.
Così, mentre un’intera generazione di ragazzi freschi di studi crolla sotto il peso di una delle più gravi crisi economiche di cui si abbia memoria, ingrossando le file non degli illetterati bensì dei disoccupati, serpeggia, tra il non detto, il sussurrato, l’accennato qua e là, un certo qual pensiero che dice sì, certo, la crisi, i cervelli in fuga, ma c’è anche un problema di impreparazione, di incapacità, di fannullonaggine della giovane generazione “analfabeta funzionale”.
C’è, si sente, si dice e non si dice. Qualche articolo di giornale, negli ultimi giorni, titolava di industriali interessati ad assumere, desolati per la vana ricerca di competenze irreperibili – ho veduto un titolo secondo il quale un datore di lavoro è giunto ad affiggere annunci sugli alberi dei viali per reperire introvabili <ingegneri>. Chissà poi se i volantini affissi saranno stati scritti in corretto italiano, mai richiesto, stranamente, a chi “produce occupazione” – gli esempi si sprecano, a me ne viene in mente uno che ha dato grande lavoro al Crozza nazionale.
Non so perché, ma i due metodi per fronteggiare un problema complesso – il volantino dell’aspirante datore di lavoro e la lettera dei nostri illustri cattedratici – mi paiono presentare interessanti aspetti di analogia: nel metodo e, in conseguenza, nella (non) efficacia attesa.
Vediamo il caso dei nostri cattedratici. Replichiamo mentalmente per l’altro caso.
I nostri illustri docenti e intellettuali hanno dunque scritto e resa pubblica una lettera al Governo; la stampa ne ha dato conto; molti l‘hanno letta: Governo compreso, si suppone. Il silenzio è calato sul tutto.
È di ogni evidenza come ognuna delle parti ritenga di aver svolto quanto di propria competenza: gli uni quella di scrivere, i secondi quella di leggere e, con il supporto dell’intera popolazione italiana eventualmente interessata al tema, archiviare.
Cosa dedurne? Potremmo supporre che chi ha scritto, accontentandosi di fare ciò, non curando il fatto di non aver ricevuto risposta di alcun tipo, mirasse unicamente a stabilire la propria non responsabilità nel merito.
Quale risposta avrebbero potuto infatti attendere? Poniamola facile: illustrissimi docenti universitari, supportati da intellettuali di vaglia hanno scritto al Governo per dire come avrebbero dovuto insegnare i colleghi degli ordini di scuola che li hanno preceduti. Dopodiché?
Per quanto riguarda il destinatario – il Governo – avrà ritenuto di non dover loro risposta alcuna in quanto obiettivamente privo di titolo a esprimersi in ambito didattico: destinatario errato. Se la vedano tra insegnanti.
Nessuno infine si è stupito del silenzio, pressoché totale (fatte salve alcune immediate flebili risposte che, apparentemente appagate di se stesse, non hanno insistito oltre) da parte dei “giovani” oggetto del tutto – sarà perché, analfabeti funzionali come si dice siano, nulla hanno saputo di questa inosservata querelle scoppiata sopra le loro teste, pur se aveva a tema proprio i loro bisogni e la loro condizione? In effetti, cosa potremmo chiedere ad “analfabeti funzionali”?
È strano però. Sarà mai che lo siano proprio tutti? Nulla poteva provenire dagli scampati a tale peste? Se è ovvio il silenzio dei cervelli fuggiti, che dire di quelli in procinto? E di quelli che, per i più diversi motivi, non lasceranno il patrio suolo, rinunciando a grandi destini in un qualsivoglia altrove?
Resta il fatto. Non pare siano giunti alla cronaca, indirizzati al vasto pubblico, se non rari interventi di studenti, di giovani da poco usciti dalle nostre scuola, per obiettare sul giudizio. Nessuno che lo abbia circostanziato. Che ne abbia dato interpretazioni alternative, che so, del tipo a <noi>, in effetti, non interessa parlare con <voi> ed essere da voi compresi. Ci capiamo tra di noi. Non ci è di utilità alcuna occuparci di ciò che dite, o scrivete.
Non regge, vero, ma è pur sempre qualcosa. Se ne potrebbe discutere all’infinito.
Vogliamo pensare che valga ancora il medievale “Ipse dixit”? Che dunque la famosa lettera dei “professori” sia stata, nella sostanza, una vera e propria sentenza definitiva, come tale assunta anche dagli interessati (analfabeti funzionali e loro fallimentari insegnanti della scuola primaria e secondaria). Al rogo! Al rogo! Confessate! Ciò non muterà la sentenza ma salverà l’anima vostra! Correggetevi! Espiate!
Si riaprono le scuole. A tappe forzate, il Governo attua, passo passo, la propria confusa riforma; insegnanti salgono insegnanti scendono dalla cattedra; insegnanti vengono bocciati – non nel mondo accademico, no. Loro hanno scritto la lettera. Vanno bene così.
I bambini, e i ragazzi, rientreranno nelle aule. Forse troveranno i loro insegnanti, forse no. Forse non troveranno le aule.
Si dibatte, vedo, qua e là, latino e greco sì latino e greco no; dovrà vivere o no il buon vecchio liceo classico?
Poi c’è la scuola che deve, dovrebbe – dicono i nostri industriali e consimili – preparare al lavoro. Ma siamo certi che sia questa la funzione della scuola?
Nel mezzo, tra gli uni e gli altri, c’è un mondo di professioni che spariscono, di nuove professioni che emergono, per sparire velocemente sostituite da altre – oggi, si dice, il modello di lavoro non è più quello dove entravi e, stranamente, proprio lì, sul lavoro, acquisivi una competenza, che miglioravi nel tempo, o anche no, tuttavia sempre lì rimanendo, fino alla possibilmente precoce pensione.
La scuola dovrebbe oggi essere finalizzata ai bisogni del lavoro in un mondo nuovo che avanza nel quale nessuno sa quale sarà il bisogno di domani?
È difficile dire di che parliamo. Cosa mai saranno il latino, il greco, di un liceo classico che segue alla scuola media attuale? Detto senza rimpianti per i bei tempi andati: che mai ci furono, si veda bene.
Eppure: sì, ci sono stati! Ci sono stati eccome! C’è stato quel professore che, certo, insegnava, a noi distratti da fatti amorosi dell’età e da un inizio di contestazione, il greco antico. Quello che ci ha insegnato altro, molto altro, per la verità. Non sapremmo dire, bene, cosa. Se non fosse ridicolo, diremmo che ci ha insegnato la vita.
C’è stata tuttavia anche quella professoressa devastante, impossibile scordare lei e il malessere che portava con sé, pure se abbiamo scordato benissimo la sua materia, tanto quanto abbiamo scordato il greco di quell’altro che, eppure no, in verità non lo abbiamo scordato, è rimasto dentro di noi, perché non è possibile scordare se stessi dopo che qualcuno ha aiutato la nostra ricerca di una forma, in cui immettere quel po’ di sostanza che le conferisca solidità, non so dire come, cosa.
E che dire degli insegnanti di cui abbiamo dimenticato nome e volto, passati e spariti – triste, a pensarci, per noi, intendo, per quelle ore di vita perdute sui banchi, dimenticate, non vissute.

Ed ecco risolto il busillis – la scuola, programmi o non programmi, obiettivi o non obiettivi, per il lavoro o per la disoccupazione, sono gli insegnanti, null’altro! Sono quelle persone (basta che ce ne siano state un paio, anche uno solo per ogni ordine di scuola) che ci hanno riconosciuti, e ci hanno resi curiosi, insoddisfatti di risposte fasulle; che ci hanno insegnato a fare domande, ad imparare; ad andare soli, oltre il loro insegnamento; quelli che ci hanno fornito armi per la vita. Liceo classico o scuola professionale fa lo stesso.
E i ragazzi? Gli analfabeti funzionali? Quelli che ci sono sempre stati ma non c’erano stampa e social a dirlo e ridirlo e ripeterlo fino a farlo diventare diversamente vero. Perché tacciono?
Forse non possiedono “le parole per dirlo” eppure sanno, benissimo, che i professori parlano unicamente tra loro, per consolarsi di se stessi. Sanno che c’è un intero mondo di adulti dinosauri che nessuno ha informato della propria estinzione. Noi adulti, e vecchi, noi insegnanti (non è il mio caso), genitori, datori di lavoro, spacciatori di sentenze (e magari è il mio caso) che non si domandano mai di quale sentenza siano i destinatari.
Per loro, per i nostri ragazzi, il <nostro> analfabetismo funzionale nel linguaggio di questo nuovo mondo è di tale evidenza da non spenderci sopra un cent.
Vero – questo li penalizza, pesantemente, disperatamente, perché il mondo è ancora nelle mani dei dinosauri. Gli imperi possono durare davvero molto nella fase di crollo. Ma i tempi oggi sono accelerati, oggi tutto avviene all’insegna dell’avvitamento.
C’è, sicuramente, qualcosa che loro sanno e non ci dicono. Il dubbio ultimo è che facciano bene.