Donne, guerra, altro?

Virginia Woolf, “Le tre ghinee”. Feltrinelli 2014 – Traduzione di Adriana Bottini.

Introduzione di Luisa Muraro

Questo di Virginia Woolf è un saggio dove si parla – tema ufficiale – del come prevenire la guerra; dove si chiede (retoricamente, attraverso un espediente narrativo) il sostegno femminile su questo obiettivo.

Woolf mostra, argomentando la propria posizione, come, per la donna, nelle condizioni date, sia impossibile dare sostegno a tale causa: per l’impossibilità femminile, al tempo solo inizialmente scalfita, per le donne inglesi di quasi un secolo fa, di accedere all’istruzione, di accedere all’esercizio delle professioni, di non dipendere in conseguenza, economicamente e non solo, dalla tutela di un uomo.

Come dire: se volete che la voce delle donne conti, e che possano dare un contributo anche economico per la prevenzione della guerra, occorre che le donne dispongano di uno statuto riconosciuto di cittadinanza e di autonomia finanziaria.

L’artificio che Woolf utilizza per la trattazione del tema consiste in tre lettere, che finge le siano pervenute, dove un uomo e due donne chiedono il suo sostegno economico per tre finalità che ritengono di suo interesse. 

Primo: un uomo,  non identificato se non per appartenenza alla classe colta, chiede a Virginia Woolf cosa potrebbe venir fatto per prevenire la guerra, indicando tre attività possibili: la sottoscrizione di una lettera a un giornale, l’iscrizione ad un’associazione pacifista, il sostegno economico all’associazione stessa.

La seconda richiesta, avanzata da una donna, tesoriera onoraria di un’associazione, chiede un contributo finanziario per la ricostruzione di un college femminile.

La terza, chiede sostegno per azioni finalizzate a favorire l’accesso femminile alle professioni.

Woolf si impegna a confutare la possibilità, segnatamente in quanto donna, di costituire un possibile sostegno alle cause indicate. E il lettore – la lettrice – si troverà a dover concordare con lei, godendo amaramente la linearità di una confutazione estremamente fattuale.

Virginia Woolf scrive, dall’interno del proprio tempo e del proprio mondo, identificando la guerra come un <bisogno> maschile, per contrastare il quale sarebbe necessaria una presenza della donna nella società: da cui la necessità che la donna abbia accesso all’istruzione al pari degli uomini, sia presente all’interno delle professioni, e abbia il conseguente accesso alla rappresentanza.

La richiesta si invalida, dunque, nella circolarità, essendo l’obiettivo da raggiungere una premessa al poterlo raggiungere.

Tre ghinee: immaginarie, diciamo tre sterline; nell’ipotesi, Woolf acconsentirà comunque ad impiegarne una per sostenere ciascuna causa – e confesso che mi sono sempre divertita ponendomi la domanda: quanto valeva una sterlina nella prima metà del ‘900? Al cambio attuale qualcosa meno di un euro. Che dire; taccagna, la donna o, perché no, colta ma povera (perché i poveri esistono anche nelle classi colte e il lavoro intellettuale, come ben sappiamo, ben di rado paga, allora come oggi). Sicuramente ironica, come lei sa essere.

Ma ecco: In queste pagine, Woolf non parla delle <donne> tout court: parla – così si esprime – delle <figlie-sorelle-mogli degli uomini colti>, escluse dall’accesso all’istruzione <universitaria>, riservata ai loro fratelli, per la cui istruzione le famiglie investivano molto denaro, togliendolo alle figlie femmine; che si dovevano accontentare, nel migliore dei casi, di un’istruzione privata, di base, data loro all’interno della famiglia o giù di lì: fatto salvo l’apprendimento a gestire una casa, ad assicurare il benessere di un marito e la cura dei figli e dei familiari, a vestirsi e comportarsi in società come richiesto.

Woolf non parla (e, richiamata, in seguito, su questo punto, lo riconoscerà) delle donne delle classi lavoratrici; così come non parla se non delle donne inglesi. Il suo sguardo resta confinato, neppure all’Inghilterra: direi proprio a Londra; meglio ancora a Bloomsbury, se non a Mayfair.

Peraltro, in questo caso è giusto così: “Le Tre ghinee sono un saggio che ha a che fare con l’impegno sociale e politico di Virginia Woolf sul tema del femminile e, al tempo, sul tema della guerra, ormai alle porte.

Vanessa Bell

Era il 1938 quando questo saggio fu pubblicato. Nell’Inghilterra del suo tempo le donne avevano  conquistato da dieci anni il pieno diritto di voto; cominciava ad esservi presenza femminile nelle professioni; era possibile, se pur con molte limitazioni, l’accesso agli studi universitari.

Erano tuttavia anni in cui movimenti fascisti iniziavano a infettare anche la società inglese; in Italia e in Germania il fascismo e il nazismo erano all’apice del loro potere; in Spagna, il 17 luglio 1936 un colpo di stato aveva portato alla caduta del governo in carica, sostenuto dal “Fronte popolare”, una coalizione di partiti democratici (qualcosa come “un fronte largo democratico”?)  che aveva vinto le elezioni  pochi mesi prima.

Il tema della guerra era per Virginia qualcosa di più di una presa di posizione ideologica. Il legame tra guerra e società patriarcale era chiaro, nella mente di Virginia. Il tema della posizione della donna nella società, e delle ricadute di questa discriminazione sulla vita di tutti, evidente.

Nel frattempo, i venti di guerra si mostravano inarrestabili; ed era scoppiata, in Spagna, la guerra civile a seguito della quale sarebbe stata cancellata in un bagno di sangue la democrazia.

In quello stesso 1937 in cui “Le tre ghinee” prendeva forma, moriva, volontario sul fronte spagnolo, mentre era alla guida di un’ambulanza, il nipote di Virginia, Julian Bell, figlio della sorella Vanessa. La disperazione calava sulla famiglia.

Il tema del pacifismo; la necessità di fermare l’avanzata dei fascismi: tutto ciò era di grande importanza per Virginia Woolf, al fianco del marito, membro della Fabian Society; e di famiglia ebrea.

Ma il nuovo saggio era un progetto da tempo in attesa di prendere forma. E doveva costituire anche un seguito, se così si può dire, di “Una stanza tutta per sé”.

Sorge una domanda: hanno ancora una validità, non sono superati dalla storia, dal tempo, questo saggio, così come il precedente?

La risposta è un sicuro sì.

Virginia Woolf ha scritto questi due saggi limitando il proprio sguardo al concreto del suo tempo, del mondo in cui viveva, e alla propria classe sociale; svolgeva, in quest’ambito, un’attività di tipo politico-sociale, in qualche modo a carattere giornalistico – legata ai giorni, alla realtà, ai problemi del proprio ambiente e del mondo in cui viveva.

Ma ecco: per chi legge oggi e non ferma a sua volta lo sguardo al proprio qui ed ora, sarà inevitabile il vedere come, se non per un piccolo mondo di donne in parte, solo in parte, privilegiate, la condizione della donna nel mondo sia, se possibile, globalmente addirittura peggiorata. Come, ancora, i punti segnati, sia pure, allora, per le sole donne di una classe alto borghese colta, restino universalmente validi. Per tutte le donne.

La condizione femminile è, a ben vedere, sempre segnata da conquiste che non si stabilizzano, che non diventano cultura condivisa; che esitano in ricadute allo status prescritto da un mondo patriarcale: in questo saldamente unitario: blocco occientale, blocco dei paesi dell’est, blocco vattelapesca e così via.

Dove un “diritto” è stato conquistato (vedi interruzione di gravidanza tutelata, a libera scelta della donna) ecco che quel diritto crolla: oltretutto rivelandosi spesso illusorio, nei fatti, anche dove in teoria è assicurato.

Ecco un mondo, non solo occidentale, dove l’istruzione femminile è talvolta più elevata e più massiccia di quella maschile, ma la struttura del patriarcato su cui sono fondate le società umane, tutte, rendono il dato inefficace. E l’alleanza tra maschi, al di là delle dichiarazioni, al di là delle conquiste, al di là delle ideologie, permane, venendo trasmessa anche dalle donne, che in tale cultura nascono, crescono, apprendono “chi sono io”; e lo trasmettono – ai figli e alle figlie.

Con la sottomissione della donna permane la guerra: culturalmente maschile, avendo alla base una accezione proprietaria – della terra, del dominio e delle donne  – aree tutte contendibili tra maschi-padroni. Dove non vince chi detiene ragioni, nel confronto, ma la forza bruta.

Vediamo nazioni dove la donna aveva acquisito uno statuto di cittadinanza recedere dal diritto acquisito fino ai limiti del femminicidio istituzionalizzato – ne sono esempi l’Afghanistan, ma anche l’Iran, gli Stati arabi (ma non solo); la stessa Turchia, che ha conosciuto , come peraltro l’Iran, e lo stesso Afghanistan, in tempi non lontani, un elevato statuto di democraticità. Elenco impossibile: si fa prima a individuare le eccezioni. Sempre parziali.

Editore Castelvecchi 2012

Ora si avviano a discendere la china gli stessi U.S.A. – e a proposito di classici del femminismo, uno sguardo a “Mistica della femminilità” di Betty Friedan che, pubblicato nel 1963, oggi potremmo pensare superato dalla realtà, mostrerà come sia facile  per le donne venir respinte nel buio, a star male nella casalinghitudine e non saperlo neppure dire: vittime, se non della forza di un regime dittatoriale, di tecniche di persuasione ipocritamente democratiche che, pur molto poco occulte, pare funzionino ugualmente: sufficiente disporre di potere maschile al comando e, purtroppo ma inevitabilmente, sufficiente bassa truppa maschile e femminile a propria disposizione.

La democrazia consente di deprecare ma gli obiettivi di sottomissione della donna risultano,  pare, sempre perseguibili.  

Così, se è stato superato, nella nostra Italia, non solo nella legge, pur con orrendo ritardo, il  costume sociale del matrimonio riparatore dello stupro, il femminicidio dilaga; e le scusanti per lo stupro, persino per voce dei giudici, faticano a venir cassate.

Così, la violenza di società che ancora, in modo diffuso, sacrificano la donna reificandola in forma subumana al servizio dell’uomo, proprio come accadeva a Virginia Woolf, non pare sentita sulla propria pelle; da donne e da uomini.

Non dovrebbe, infatti, essere questa una lotta <femminile>. Il danno sociale conseguente alla sottomissione della donna viene pagato anche dagli uomini, che sembrano non rendersene conto e, nel caso migliore, appoggiano le lotte femminili senza intitolarsele, non sentendole come lotte per la <propria> vita, di uomini, di mariti, di padri, di figli; e di lavoratori.

Le tre ghinee” è un libro bello da leggere e ancora utile, molto. La concretezza non avulsa dal sogno della sua prosa, la ferrea logica del ragionamento sulla quotidianità, capace di svelare, dall’interno di un assetto culturale vincolante, contraddizioni profonde e radicate ipocrisie, costituiscono ancora una gioia per il pensiero e un insegnamento sul come condurlo.

Poi, dopo aver ringraziat Virginia Woolf per la sua chiarezza, e aver trasportato nel nostro oggi, scoprendone la coerenza, i passaggi logici che ci regala, potremmo cercare il passaggio al vero punto della questione: occorrerà affrontare il tema dell’alleanza suicida che legava e ancora lega la classe lavoratrice maschile alla controparte padronale, sempre maschile, nel tenere le donne in condizioni, più comode o meno comode, ma in stato di sottomissione, di fatto. Consapevolmente o meno.