Il Trentino Alto-Adige tra l’impero e il fascismo

lilli gruber_eredita_copertinaLilli Gruber, Eredità. Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo, Rizzoli Editore, 2013

Un bel libro da leggere, e non solo. Un luogo – il Sud Tirolo/Alte Adige; un tempo – dallo scoppio della prima allo scoppio della seconda guerra mondiale; la storia – una famiglia in quel tempo e in quel luogo. Su tutto, un grande personaggio femminile.

A scuola ci raccontavano “La Grande Guerra” e, nel contesto di quel terribile carnaio, che una didattica sterilizzata riduceva a battaglie, nomi di generali, date, fino a risolversi nella “fine dell’Impero Austro Ungarico”, le vicende dell’Alto Adige erano un dettaglio, a malapena accennato.
Si era appena usciti dal fascismo, ne permanevano i linguaggi, carichi di tutto il loro portato ideologico. Nessuno chiamava quel territorio Sud Tirolo e nessun bambino correlava quel dettaglio conosciuto nell’ora di storia ai fatti di cronaca che tenevano in ansia quei territori: chi allora era adulto forse, ma solo forse, sì; ma nel frattempo ci pensava la scuola a far cessare una memoria.
L’irredentismo altoatesino si espresse, negli anni sessanta, attraverso attentati alle centrali elettriche, ai tralicci, alle linee ferroviarie e prendere il treno verso quei territori dava persino una certa ansia; le forze di polizia contarono morti tra le loro fila. In quel periodo avvennero fatti, anche da parte dello stato italiano e delle sue istituzioni, su cui non credo si possa ancora dire una definitiva parola di verità.
Nel frattempo, alle scuole primarie si imparava a memoria il Bollettino della Vittoria nella prima guerra mondiale:La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. (…..) I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
Si assegnava alla “storia”, quella che la scuola ufficializzava, il cartellino della verità; alla cronaca un diverso cartellino, quello di una verità di altro genere ma, come dire, altrettanto certa. Era difficile cogliere il fatto che ogni “verità” è necessariamente il punto di vista di qualcuno, che solo altri punti di vista possono completare.
Gruber sviluppa un racconto nel quale l’invenzione è situata nel sentimento e in cui il suo essere parte si costituisce come fonte di conoscenza. Racconta da cronista, per ciò che attiene agli avvenimenti di un tempo che va dall’imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale allo scoppio della seconda. Nel contempo ci restituisce i vissuti che tali fatti hanno portato con sé: racconta un mondo che è stato distrutto e racconta come tale mondo viva ancora, non solo nel ricordo di una (tanti) pronipoti, ma anche in un mondo, il nostro, la cui diversità origina da tali radici, è una tra le infinite particolari diversità e le ricomprende.
Gruber parla di un mondo e degli avvenimenti di un periodo storico con la partecipazione di chi su quei fatti e dentro quei fatti ha costruito la propria soggettività. Ne è consapevole e controlla il proprio pensiero e la propria scrittura ricavandone una cronaca di grande equilibrio. E tuttavia….
Nel “tuttavia” sta la bellezza di questo racconto. Nell’impossibilità, per ognuno di noi, di non appartenere e dunque nella giustezza insita nel mostrare un mondo che si conosce perché si ama (e mai viceversa) e dunque con la sincerità del proprio punto di vista; che non ne esclude altri, che non assolutizza la propria visuale, che sa di star guardando attraverso un obiettivo fotografico che sceglie (ma si può non scegliere?) cosa mostrare e cosa escludere. E di quel punto di vista racconta la verità, le cadute, la bellezza.
I personaggi, in conseguenza, emergono perché amati. Emerge e giganteggia in particolare la figura di una grande donna, la sua vita e il mondo che la costituisce; emerge la nostalgia insieme alla persistenza, al di qua della distruzione, nel dopo in cui un mondo è finito, di cui sembra sia distrutta anche la memoria, che unisce e fa proseguire quel mondo nel filo che lega una bisnonna ad una nipote. Alcune foto suggellano il tutto.
Dalla soggettività, dalla voce dei protagonisti e dal punto di vista che ne deriva, emerge una storia che per tale via è possibile porre e conoscere nei fatti, in un fuori di noi che, proprio perché sancito dalla verità di un’esperienza, li conferma.
È un libro che ci fa amare i protagonisti di una storia, che ci fa parteggiare e, attraverso il divenire parte, essere partecipi. Un libro da rileggere. Una volta non basta.