Un giallo anomalo

la_lunga_oscura_pausa_caffe_dellanima_recensioneDouglas Adams, La lunga oscura pausa caffè dell’anima, Mondadori, Piccola biblioteca Oscar, 2011
Un’esplosione in un aeroporto, che non provoca una strage ma solo la scomparsa di un’addetta al check-in impegnata nel confronto con un aspirante passeggero inconsueto e una aspirante passeggera spazientita.
Un investigatore improbabile, un omicidio impossibile, che pertanto la polizia cataloga come suicidio, attuato con un metodo incongruo.
Un ospedale che si occupa di pazienti anomali.
Alcune divinità nordiche la cui vita, nel mondo d’oggi, risulta complicata e molto, molto frustrante. Un Walhalla decaduto.

Parlare di un romanzo di Adams è, in certo qual modo, impresa assurda: sarebbe necessario parlare della sua intera opera, purtroppo interrotta dalla prematura morte dello scrittore. Risulta impossibile separare i “cinque” libri della “trilogia” Guida galattica per autostoppisti, o separare “La lunga oscura pausa caffè dell’anima” secondo ed ultimo della serie, interrotta dalla morte dell’autore, sulle avventure del “detective olistico” Dirk Gently.
E’ difficile anche, forse, definirli romanzi, anche se tecnicamente lo sono, ed è altrettanto difficile classificarli in una categoria – fantascienza? Sicuramente sì, per Guida galattica, ma non solo; Fantasy? Per questo romanzo forse, ma non proprio, con l’aggiunta di un modo speciale dell’umorismo, un po’ sghimbescio, non mi viene altro termine che “olisticamente” renda di cosa si tratta. E’ difficile dire che, davvero, si rida, o che la risata che spesso la lettura suscita sia definibile tale. Forse “ghigno” sarebbe meglio?
Certo, ognuno dei romanzi di Douglas ha dentro tutto il suo autore e, nel loro essere concatenati, sono alternabili senza problemi. Alla fine, andando a caso dall’uno all’altro, si arriva comunque al punto giusto, dove l’autore ci porta, a verifica ciò che l’autore fa dire, nel romanzo, al suo protagonista: “Vorrà convenire con me, signorina Schlehter, che i miei metodi di navigazione danno i loro frutti. Può darsi che non sia andato dove avevo intenzione di andare, ma penso di essere dove avevo bisogno di arrivare” (cap. 13).
In qualche modo, Adams ha la capacità di dare una scrollatina al nostro subconscio, di cui fornisce una presentazione che ritengo topica: “quella parte indisponente del cervello che non risponde mai alle domande, ma si limita a dare significativi colpetti di gomito e poi si siede a borbottare per conto suo, senza dir nulla” (cap. 17, inizio). Come non venirne presi!
Ogni tanto, per un breve momento, un po’ ci si annoia, un po’ ci si irrita per una sensazione di incongruenza in ciò che si sta leggendo (sono io che non capisco o lui non si spiega?) e si pensa di lasciare la lettura, che risulta magari un po’ difficile a causa di una narrazione che appare (ma non è vero!), come dire, scoordinata (e questo è Adams). A questo punto si incoccia in pezzetti di vera poesia, momenti che valgono tutto il libro e si empatizza con l’autore, si fa nostro un senso di infinita perdita e tristezza al pensiero che, da qualche parte in mezzo al frenetico flusso di informazioni che quotidianamente sommerge la vita degli uomini, (avremmo) potuto percepire qualche segnale dei movimenti degli dei (cap. 17). Oppure – come mai non ce ne eravamo mai accorti – si sente, nella pelle, che la felicità, una divina felicità, può risiedere nel godere di “lenzuola bianche pulite (….) lenzuola di lino. Lenzuola ogni giorno pulite”. Chi aveva mai pensato, lo stesso dio Odino fino ad allora non si era reso mai conto del fatto che tra le cose che rendono la vita degna di essere vissuta non ci sono “un gran ciarlare di cose potenti, di cose distrutte, di cose fatte schiave di altre cose” ma il fatto che qualcuno si occupi di far funzionare la lavanderia.
Certamente nessuno, o difficilmente qualcuno, leggerebbe tutti i cinque romanzi di “Guida galattica per autostoppisti” in sequenza, come si fa, ad esempio, per la saga di Harry Potter, rimanendo molto a lungo in quel mondo; e neppure questo romanzo può, a mio parere, essere letto se si è appena finito di leggere il primo. Ma sento che avrei perso qualcosa di importante, pur non sapendo dire bene cosa, nel non aver letto questo.