Basta discorsi sull’editoria, almeno per ora. Nel frattempo, ho accumulato letture, desideri di letture, libri iniziati, e un bel po’ di disordine dentro al quale attendo, senza alcuna certezza, la serendipità su cui faccio sempre affidamento e che solitamente non mi tradisce.
Cerco una cosa e ne trovo un’altra? Va bene. Mi trovo tra le mani qualcosa che non avrei mai, per mia scelta, ricercato? Va bene ancora, e forse di più. Spesso significa che proprio là ero diretta e là c’era ciò che mi tornerà utile, o piacevole, che è lo stesso, e non starò a farci sopra la dimostrazione; la cosa, se si vuole, è intuitiva.
Dunque, questa sarà una chiacchierata un po’ a caso su libri che giacciono, che vengono raccolti, che sono in corso di lettura, sparsi per casa come le briciole di Pollicino a indicare sentieri. Di alcuni autori ho già parlato, e restano in attesa: vedi, di Paolo Rumiz, “Come cavalli che dormono in piedi”, che non mi decido a leggere o come Grossman (per il quale, tuttavia, c’è un richiamo nel libro di cui poi dirò e che sarà la prossima recensione). Ci sono i racconti di Grace Paley, “Enormi cambiamenti all’ultimo momento”, titolo evocativo, racconti brevi, che sto leggendo, tra un libro e l’altro, in momenti dedicati.
Tuttavia, ora sto finalmente leggendo “Infinite Jest” di D.F. Wallace. Era ora. E anche il tempo giusto? Mah, certo è un libro che, una volta iniziato, non si fa lasciare; altrettanto certo, non è un libro che si legge in velocità. È anche, mi pare, un libro che contiene tanti libri, tante storie di cui, forse, non si attende un vero esito (un po’ sì, per la verità, un po’ c’è la voglia di vedere cosa sarà di Hal, forse perché da lì, da lui, è iniziato tutto).
Il tema del libro, almeno uno dei temi, pare sia la ‘Dipendenza’: e perché non dovrebbe essere una dipendenza dal libro? La dipendenza dall’”Intrattenimento”, altro ‘tema’ del libro, una specie di video il cui titolo è, appunto, mi par di capire, “Infinite Jest” (”Scherzi infiniti”), dalla cui visione non ci si può liberare, e che porta ad altre drammatiche conseguenze. E se l’Intrattenimento fosse il libro?
Se mai questa lettura si tramuterà in una recensione, l’evento non sarà certo prossimo. Oltre a completarne la lettura, si richiede il superamento, appunto, della dipendenza che, come noto, dà piacere mentre si vorrebbe liberarsene, magari proprio attraverso l’assunzione, quale celebrazione finale, della Dose delle Dosi, della Grande Unica Ultima Dose.
Chi non lo ha già fatto, potrebbe pure cominciare a leggere “Infinite Jest“, così poi se ne parla. Dopotutto, si tratta di “Scherzi infiniti” e non è bello giocare da soli.
Al di là delle battute, è un libro che chiede un suo tempo, richiede il ritorno su ciò che si è letto – ecco, in realtà, su questo mi nasce una domanda: ma Wallace, come si aspettava che venisse letto il suo lavoro? Un libro – e lui ne era perfettamente consapevole – che ha cambiato la narrativa contemporanea. È veramente necessario ricordarne, bene, i molti personaggi, essere in grado, passo passo, di ricollegare? In ogni momento? Proprio sicuri? Wallace sa bene come ritornare sui suoi personaggi, sui suoi temi, che paiono, al primo incontro, confusi sbucati dal nulla, ma che poi vengono ripresi e, senza parere, si fissano nel ricordo del lettore, prendono volto e consistenza, mentre la memoria li aggancia per non lasciarli più. Dunque, forse il libro può essere letto, anche, con la massima scioltezza. E goduto, semplicemente, e sofferto.
Il problema, o il tema, per quanto mi riguarda, è posturale: ci sono libri che si leggono a letto, la sera, ci sono libri che si leggono, comunque, distesi, sul divano, ma sono maggiormente diurni; ci sono libri che si leggono seduti in poltrona e libri che richiedono il tavolino, come quando si studia. Ci sono poi i libri da sala d’aspetto, da autobus, tra treno, da aereo.
“Infinite Jest” è un libro da poltrona. O da notte, certo, purché insonne. Perché la notte, se non si dorme, è un tempo davvero privilegiato per la lettura: Niente interlocutori che ti interrompono per chiederti qualcosa, niente telefono, niente disturbi. La ‘felice insonnia’ con un buon libro è un grande piacere, purché (da pensionati) si possa recuperare di giorno il sonno perduto.
Nel frattempo, ho appena terminato, e sto rivedendo, “Elogio del politeismo. Quello che possiamo imparare dalle religioni antiche”, di Maurizio Bettini, libro quasi da divano, con frequenti interruzioni in posizione seduta per meglio annotare qualcosa. Al momento, ho in mano un e-book, non riesco a ricordare come mi è venuto all’attenzione, forse nelle pieghe dei richiami conseguenti alla lettura di “Il Regno” di E. Carrère: visto, cliccato, iniziato a leggere. Ora dovrò dunque fare subito un passaggio in libreria, che dovevo fare comunque, e procurarmelo, edizioni Il Mulino 2014. Sarà la prossima recensione. Tema: lo dice il titolo, ma in realtà è molto di più e di diverso.
E mi ha riportato alla mente un libro di cui avevo parlato molto tempo fa, e un autore – Douglas Adams, “La lunga oscura pausa caffè dell’anima“, dove la nostalgia incontra Dei un po’ dimenticati un po’ lasciati soli, Dei cui gli uomini hanno dato vita e a cui, solo forse, l’hanno tolta, non senza pagarne prezzo.
Maurizio Bettini è un filologo che, nei suoi studi, affronta la sua materia in un’ottica antropologica che, applicata al mondo antico, porta a risultati molto produttivi per il nostro pensiero sull’oggi. Questo suo libro permette anche di, non solo o non tanto, commentarlo, di parlare <del> libro, ma di sviluppare, a partire <dal> libro, pensieri sul tema, e pensieri sull’oggi. E ho proprio voglia di provarci. Se poi ne sarò capace, è un altro discorso. Tanto il libro è di facile e piacevole lettura quanto, temo, gli scenari che apre e i percorsi che, da lì, da quel pensiero, si possono dipanare, sono molti e complessi.
Come per “Infinite Jest”, ci si potrebbe dare una mano. Qualcuno potrebbe cominciare a leggere.
Ah, ultima cosa. Il libro di Bettini apre anche un pensiero (vedi un po’, è in azione la serendipità?), ancora, diverso, sull’editoria del futuro. Non un bel pensiero, per la verità; un pensiero, solo ciò, quasi un dato di fatto. Del genere che cambia tutto.