E’ tutto molto strano

Il Regno, Ennanuel Carrère“(…) a pensarci, è curioso che persone normali, intelligenti, possano credere a una cosa tanto pazzesca come la religione cristiana, una cosa in tutto e per tutto identica alla mitologia greca o alle favole (…) un sacco di persone credono a una storia altrettanto assurda senza per questo essere considerate matte. Vengono prese sul serio anche da chi non ne condivide la fede. (…)La loro fisima convive con attività assolutamente ragionevoli. Le più alte cariche dello Stato rendono visita al loro capo assumendo un contegno deferente. E’ per lo meno strano, no?”

Chi parla è Patrick Blossier, fotografo con cui Carrère, che è anche regista e sceneggiatore, aveva lavorato e a cui, nel corso di una cena tra amici, raccontava il proprio progetto: scrivere, svolgere una ricerca, sugli inizi del cristianesimo.

“Sì, non c’è dubbio, è strano”, risponde Carrère.

E inizia una storia, e una scrittura, che Carrère sviluppa seguendo un’ottica multipla, lasciando quanto meno controversa, sotto alcuni aspetti, la motivazione che sottostà al suo scrivere e che, del libro, costituisce una parte significativa.

Il Regno” è un libro che fonde tra loro livelli e temi diversi: molto di autobiografico, un racconto di sé, del suo rapporto con la moglie, con una ‘madrina’ che è stata per lui una maestra di vita, con il suo psicanalista; c’è la storia della sua fanatica adesione, durata due o tre anni, al cristianesimo, e finita nel nulla (o meglio, sul divano dello psicanalista); una ricerca storiografica- il tema centrale del libro – sulle fonti che documentano, in tutto o in parte, i fatti storici nel cui contesto si sono formate le prime comunità cristiane e il come di questa formazione; una narrazione, una specie di anomala docu-fiction, un real-movie letterario attraverso il quale dà corpo ai protagonisti e li mette in scena, ricostruendo, immaginando, creando caratteri, aspetto fisico, personalità; e infine un grande ‘romanzo’ storico che – certamente imponendo al lettore, ma verrebbe da dire all’ascoltatore, una sua particolare lettura – costruisce vagliando accuratamente le fonti e i fatti, distinguendo con assoluta accuratezza i fatti dall’interpretazione che egli ne propone e dalle parti in cui l’immaginazione (non la fantasia, mai) è chiamata a supplire ai vuoti o a discordanze tra le fonti.

Centrale, la vita e le opere, storicamente documentabili, di colui che è riconosciuto come il fondatore del cristianesimo, Paolo di Tarso, e di coloro che lo seguirono, primo tra tutti Luca, il futuro evangelista.

Il lettore è preso, e non può fare altro che seguire il racconto e parteggiare, nel senso di prendere parte, a sua volta fare esercizio di giudizio, non necessariamente, credo, concorde.

Se ne ricava – è la parte, almeno per me, di grande interesse – un risultato di sistematizzazione della conoscenza di un periodo storico e di fatti relativi non solo alla nascita delle comunità cristiane ma, in senso più ampio, alla conoscenza delle fondamenta del nostro mondo; un paradigma utile ad interpretare anche fatti della storia recente, a capire le fondamenta di conflitti che operano ancora nel nostro mondo.

Si ascolta, con stupore, una voce che i credenti dovrebbero conoscere molto bene. Ogni domenica, alla Messa, viene letta, se non mi sbaglio, una lettera di Paolo di Tarso, che si inserisce dentro una storia di viaggi, di relazioni, di attività di proselitismo, che sono note eppure – non credo di poter essere smentita su questo – sono mal conosciute, se non ignote alla maggior parte del popolo dei credenti.

E l’uomo Paolo prende vita, nel racconto di Carrère, diventa carne ossa e caratteraccio. Si muove dentro relazioni, dentro politiche di potere, nella ricerca di mediazioni, provocando risolvendo scontri, soprattutto con Pietro, e con Giacomo, il fratello maggiore di Gesù.

Il mondo ebraico e le sue molte realtà prendono vita. Così pure la dominazione romana, i suoi valori fondanti, la corruzione della politica nelle province dell’impero.

Prendono vita le diverse aspettative che la predicazione del Messia aveva creato; la brevità della sua predicazione, che Paolo non conosce se non per sentito dire, e la sua morte senza dignità. Prende vita quel piccolo gruppo originario che diceva della sua resurrezione. E mentre i gruppi, risultato dell’attivismo di Paolo, si moltiplicano nei territori periferici dell’impero e dell’ebraismo, si complica e si fa teso il rapporto con la ‘casa madre’, Gerusalemme, cui comunque i nuovi gruppi appartenevano. Si inasprivano gli scontri di potere in atto tra ebrei, e degli ebrei con Roma.

Si alza, davanti a noi che ascoltiamo, Giovanni. Qua e là c’è Maria, che con Giovanni vive.

Si recuperano e vengono presentate le fonti. Si incontra quel Flavio Giuseppe, l’ebreo Josef ben Matityahu, finito segretario, per così dire, dell’imperatore Tito, e storico romano, quasi unica fonte con carattere di terzietà dai cui scritti conosciamo gli avvenimenti di quel periodo, con riferimento soprattutto alla caduta di Gerusalemme e alla distruzione del Tempio. Una storia drammatica e complessa.

La città [di Gerusalemme] venne abbattuta dalla rivoluzione (tra ebrei), poi i Romani abbatterono la rivoluzione, che era molto più forte delle sue mura; e di questa disgrazia si potrebbe attribuirne la causa all’odio di chi si trovava al suo interno, ai Romani il merito di aver ripristinato la giustizia. Ma ognuno può pensarla come crede, vedendo come accaddero i fatti realmente.” (Giuseppe Flavio, La guerra giudaica, v. 6.1.257).

Primeggia la domanda su come sia avvenuto che una piccola setta di persone prive di potere, marginali della storia, si sia inghiottita l’Impero Romano e, a distanza di duemila anni, sia oggi ciò che le chiese cristiane e, in esse, la chiesa cattolica, sono. E insieme a ciò, poiché la storia del primo cristianesimo, non ancora tale, è la storia dell’ebraismo, vi è quella storia, stupefacente.

“Il Tempio degli ebrei non esisteva più. La città degli ebrei non esisteva più. Il paese degli ebrei non esisteva più. C’era da aspettarsi che cessasse di esistere anche il popolo ebraico, come tanti popoli prima e dopo di lui sono scomparsi o si sono fusi con altri popoli. Non è quel che è avvenuto Nella storia dell’umanità non ci sono altri esempi di popoli che abbiano continuato a esistere tanto a lungo come tali, pur privati di un territorio e di un’autorità statuale. Questa nuova modalità di esistenza, assolutamente inedita, è iniziata a Yavné, dove dopo il sacco di Gerusalemme si è insidiata la piccola riserva farisea voluta dal rabbino ben Zakkay (che aveva ottenuto dall’imperatore la salvezza di quel piccolo insediamento) (…) Lì gli ebrei hanno smesso di abitare una patria per abitare soltanto la Legge”. E siamo ad oggi.

Il racconto, che spazia dal 50 d. C. circa, nel pieno della predicazione di Paolo, agli anni seguenti la distruzione del tempio di Gerusalemme (70 d.C.), nel tempo in cui sono stati scritti i Vangeli canonici, si conclude, come si era aperto, sul piano autobiografico. L’autore racconta una propria esperienza di partecipazione, da agnostico, a un rito pasquale – il lavaggio reciproco dei piedi dentro una comunità che ospita ragazzi disabili e volontari. Non mi è parsa una chiusura felice. Ma forse lo è. Dipende dalle diverse sensibilità, credo.

In ogni modo, dopo questo bellissimo e interessante ascolto, coloro che non si erano posti domande sulla storia della propria religione, assumendo che basta ‘credere’, scopriranno che non basta, anche se nulla, in questo libro, potrebbe portare a credere chi credente non è, né portare chi ha una fede ad abbandonarla.