Due chiacchiere

hercule-poirotIn quest’ultima settimana, chiuso il libro di Wallace, confesso di essermi letteralmente tuffata dentro il mondo rassicurante dei migliori polizieschi – due Hercule Poirot d’annata, uno in seguito all’altro, come esercizio di recupero (mantenimento, si spera) del mio benessere mentale.

Ho dunque fatto visita a due ottime famiglie: una visita alla residenza di campagna di sir Henry e Lady Lucy Angkatell (“Poirot e la salma”), nel piccolo centro di Market Basing, dove mi pare si localizzi più di una indagine di Hercule Poirot; una seconda visita a Littlegreen House, residenza dell’anziana signorina Emily Arundell (“Due mesi dopo”) purtroppo deceduta, morta ammazzata, come Hercule Poirot scoprirà.

Ho potuto, ancora una volta, constatare come sia utile al mantenimento di un soddisfacente tono dell’umore la frequentazione periodica (solo letteraria, per carità!) di buone famiglie della piccola nobiltà inglese d’un tempo, con annessi maggiordomi o dame di compagnia. Sono famiglie che, provviste dei loro piccoli segretucci e dei loro panni sporchi, sono in grado di servirci un omicidio senza dimenticare il bon ton.

In tali ambienti si uccide con raziocinio, ci si suicida a ragion veduta, e si fa in modo che, superato lo spiacevole disguido, la serenità ritorni nelle famiglie e nella società di cui queste sono parte.

Naturalmente, perché un tale esito si produca, è indispensabile l’intervento della penna di Agatha Christie e di Hercule Poirot che, al di là del contributo essenziale alla soluzione del dramma posto sulla scena, sa insegnare, suggerire, se vogliamo, una condotta e un pensiero utili a vivere senza trambusto e senza disagi emozionali la civiltà e le sue pecche.

Non mi è stato facile, infatti, uscire dalla lettura di Wallace. Non lo è stato in quanto si tratta di un autore che fa classe a sé e dunque difficilmente conduce ad altro; non suggerisce, non porta a desiderare, non richiama, un altro libro se non, forse, per totale opposizione. Appunto.

Portata a termine questa forma di recupero, e in attesa di un necessario giro per librerie, ho trovato (dio benedica gli e-book) un interessante autore, e un curioso romanzo. L’autore è Michele Mari e il libro è “Verderame”. Il libro non è recente, l’autore ha dato alle stampe altri lavori che la critica ha considerato migliori. Io, non so perché, solitamente non affronto un autore per me nuovo a partire dalla sua produzione più recente o da quella giudicata più valida. Non so davvero perché, anche se ipotesi se ne possono fare, senza dubbio. Ho tuttavia scelto questo libro per la prossima recensione.

Pubblicità Liquore StregaPassando ad altro argomento, questi sono stati i giorni del Premio Strega. Inevitabile farvi riferimento. La qualità e la storia di questo premio, al di là delle controversie che di volta in volta lo caratterizzano, induce comunque a prendere in considerazione gli autori, i libri, della cinquina finalista. Tra questi, in questa edizione, spicca certamente Elena Ferrante, sulla cui ipotizzata vittoria ci sono state forti aspettative deluse.

La Ferrante – autrice/autore/non si sa chi – costituisce un forte richiamo sul piano pubblicitario e della cronaca, oltre che per la sua scrittura, unanimemente apprezzata, anche per il suo essere un nome privo di volto e di identità. Si tratta di un richiamo, credo, vicino a spegnersi, dato che, dopo più di vent’anni, questa scelta di non possedere un volto e un’identità non mi pare possa più mantenere il suo originario significato (tipo: il mio libro deve vivere la propria vita, al di fuori di me).

Oggi, chiunque sia Elena Ferrante, il rischio è che divenga secondario il libro, ininfluente la sua qualità, in particolare nel chiacchiericcio della cronaca che accompagna lo Strega. Credo e spero, non sarà stato così per i lettori e la giuria ma certo l’eccesso nel non voler apparire, temendo di oscurare l’opera con la propria presenza, si è trasformato nel suo opposto.

Elena Ferrante ha guadagnato, in questa edizione, con “Storia della bambina perduta”, editore e/o, un bel terzo posto che costituisce un riconoscimento, ancora una volta, della qualità di questo autore/autrice/non si sa chi. Secondo posto a Mauro Covacich con “La sposa”, editore Bompiani e vincitore Nicola Lagioia con “La ferocia”, editore Einaudi.

E poi gli scontri, regolari, comprensibili, sulla prevalenza di certe case editrici che vincono con una frequenza che molti giudicano non statisticamente probabile.

Piccola notazione: dato che, necessariamente, lo pseudonimo Elena Ferrante non era presente alla premiazione, ed era assente, immagino polemicamente, anche Roberto Saviano, sponsor del libro, la cronaca riporta che la casa editrice e/o ha organizzato un tavolo di sole donne suggerendo che tale scelta indichi quantomeno un’identità sicuramente femminile dell’autrice. Come detto, il segreto dovrebbe essere prossimo a sbriciolarsi, sola variante il come.

Ricordo e confesso. Ho accennato a “L’amica geniale”, primo libro della trilogia di Elena Ferrante, ora divenuto quadrilogia, proprio nel primo “Parliamone” (“Aprile 2014”) ammettendo, di fatto, che non posso considerarmi un’estimatrice di questo/a autore/autrice. Ho letto i primi due libri della trilogia, mi ero ripromessa di leggere il terzo ma non l’ho letto e so che non lo leggerò. Per la verità, avevo iniziato anche la lettura di “La frantumaglia”, ma anche in questo caso la mia lettura è stata interrotta. Gusti. Legittimi in quanto tali. Il consenso su questo autore/autrice/non si sa chi è sufficientemente vasto da asseverare la qualità della sua opera.

Da parte mia, confessando che la valenza pubblicitaria di questo anonimato mi dà una certa irritazione, mi chiedo (un rigurgito di necessaria autocritica) cosa ne penserei se amassi questo autore/autrice/non si sa chi. A questo proposito Elena Ferrante ha perfettamente ragione: ciò che conta è il libro.

Confesso anche che non ho mai letto nulla degli altri finalisti e sono incuriosita. Costituiranno certamente materia per la gita in libreria.

Posso fare un’ultima confessione? Balorda, lo premetto. Ma le parole hanno un suono, e il suono porta con sé impressioni. E io so che, quando ho iniziato a leggere “L’amica geniale” la mia aspettativa era molto elevata, anche a causa di un richiamo che lo pseudonimo, nella mia testa, trascina con sé. Forse ciò ha fatto sì che io non abbia apprezzato il libro, l’abbia trovato, va bene, lo dico, noioso e scontato.

Le parole hanno un suono. E il nome “Elena Ferrante” richiama, in me, un altro nome, dal suono simile, vale a dire “Elsa Morante”. Ogni volta che viene nominata la prima io vengo presa dal desiderio, no, dal proposito, di rileggere e proporre la seconda: forse un po’ dimenticata? Certamente no. Impossibile. Ma altrettanto certamente non presente oggi sul proscenio.