Un libro, tra desiderio e tempo di vita

Karen-Blixen
Karen Blixen

Nel frattempo, sono avviluppata dentro scelte di letture multiple, poco produttive; non sapendo bene, non riuscendo a riconoscere il desiderio-bisogno del momento, rischio di sprecare dei buonissimi libri leggendoli al tempo sbagliato. Sto rincorrendo riletture: cerco di andare sul sicuro – e fingo di non sapere che la cosa non funziona così, proprio no, anche la rilettura necessita del suo giusto tempo; ogni libro, sempre, necessita di venir ri-creato da chi lo legge, e ogni lettura è unica. Non si legge due volte lo stesso libro, così come non leggeranno lo stesso libro due persone diverse.

Sappiamo tutti molto bene che non è il caso, ad esempio, o non è frequente che lo sia, di rileggere Hermann Hesse, e in particolare Siddharta, che ci ha sedotto da adolescenti, in età adulta, quando la nostra vita ha preso una strada che si sta perseguendo con grinta, quando ci si sta costruendo una famiglia, quando si è presi da figli e impegni di lavoro, da interessi sociali, pressanti e magari entusiasmanti, in cui ci si butta anima e corpo.

Il momento per quella lettura tornerà, e sarà bello. Ciò avverrà un po’ più in là, quando i figli se ne saranno andati ad una propria vita; quando il lavoro, gli impegni sociali, staranno passando nelle mani della generazione che segue; quando percepiremo segnali che ci dicono prenditi il tuo tempo, beato te, e togliti; quando cominceremo a desiderare di prenderci il nostro tempo e toglierci, perché le scelte della nuova generazione ci risulteranno quantomeno strane: allora sarà giunto il tempo di rileggere Siddharta, e il libro cadrà da sé nelle nostre mani. In quel momento, quando sarà trascorso il tempo del nostro appartenere pienamente all’esterno, quel libro tornerà ad essere nutriente, insieme al ricordo, diverso, dello stesso libro nella nostra prima giovinezza.

Avete notato che scrivo al futuro? Lasciamo stare. Ma una domanda devo pormela: dopo quanto detto su Siddharta, al futuro per quanto mi riguarda, e su chi lo legge fuori tempo: perché mai sul mio tavolo è comparsa “Ehrengard” di Karen Blixen? Il mio ricordo di questo splendido racconto è erroneo?

EhrengardEhrengard” fa certamente parte di letture appartenenti allo stesso periodo di vita: non a caso si tratta dell’ultima opera di Karen Blixen, pubblicata postuma, scritta quando, anziana e malata, tirava le somme di una vita e dunque quando c’è il ritorno, almeno spero, ma direi che ci conto, al disinteresse dell’adolescenza, al tempo in cui tutto è possibile ma soprattutto quando nessun interesse materiale (buono, intendo, sano come lo è il procurarsi e il dedicarsi ad un lavoro, il costruire la propria vita di relazioni, o una famiglia) oscura la ricerca di un senso da dare al proprio essere al mondo, la ricerca di ideali cui votare il proprio futuro.

Questa ricerca, il tempo occupato nella formazione di noi stessi, non sarà sparita con l’avanzare degli anni; ciò che avremo costruito di noi continuerà a operare, orientando le nostre scelte, ma necessariamente senza l’attenzione esclusiva di quei brevi intensi anni, e tornerà, giustamente, al momento dei bilanci (che sono più d’uno; e certo, anch’io ne sto facendo).

Karen Blixen, che dimenticanza da parte mia! Pur avendo molto amato i suoi racconti, soprattutto, “Sette storie gotiche”, e il grande racconto “Il pranzo di Babette” nonché, primo tra tutti in ordine di lettura, “Ehrengard”, appunto.

C’è naturalmente “La mia Africa”. Un capolavoro. Che ora, terminato “La rivolta degli angeli” di Anatole France, e mentre ammonticchio libri sul mio tavolo – non per leggerli, non subito; per leggerli in un qualche poi; del genere sarebbe una buona idea, teniamolo da parte, forse lo desidero – sto leggendo, e riscoprendolo nuovo.

Ma c’è, sopra ogni singola opera, lei, Karen Christentze Dinesen, baronessa von Blixen-Finecke; Isak Dinesen il suo più noto, non l’unico, pseudonimo.

E’ stata una contemporanea di Virginia Woolf, di Ivy Compton-Burnett, di Agatha Christie, di Katherine Mansfield; la più anziana Elizabeth von Arnim apparteneva comunque alla generazione. Scrittrici molto diverse tra loro ma, ognuna a suo modo, rappresentativa di un’epoca che ha, si può ben dire, inaugurato la scrittura femminile: non perché non ci fossero state, in precedenza, grandi scrittrici ma perché, dopo di loro, la presenza femminile nella scrittura non è più stata (anche se si è tentato ancora di farla essere) l’eccezione, dal punto di vista del riconoscimento sociale. E perché sono state scrittrici che, nelle proprie opere, hanno inaugurato nuovi generi, ci hanno consegnato rappresentazioni femminili quali in precedenza non si erano nemmeno immaginate. Ancora: donne che hanno fatto della loro vita, come della loro scrittura, una dichiarazione sull’esistere, come donne e come scrittrici: nulla di eclatante, nulla che, senza le loro opere, sarebbe degno di particolare menzione, e purtuttavia una modalità dell’essere nel mondo che rompeva con la collocazione classica della donna. Senza parere, attraverso la tranquilla presa d’atto di una posizione sociale che, al contrario, non era scontata.

In precedenza c’era stata Jane Austen, donna nascosta, che mai avrebbe potuto chiedere, e quando mai avrebbe saputo pretendere, ‘una stanza tutta per sé’.

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L’attore Boris Karloff in Frankenstein

Mi sbaglio: c’era stata, quasi cent’anni prima, Mary Shelley – Mary Wollstonecraft Godwin sposata Shelley, – figlia della filosofa Mary Wollstonecraft (che morì subito dopo la nascita della figlia) e di William Godwin, filosofo anarchico. Fu la seconda moglie di Percy Bysshe Shelley: una storia di vita segnata pesantemente dalle disgrazie, e una carriera di scrittrice oscurata da quella, brevissima, del marito, che poté svilupparsi solo dopo la prematura morte di lui. Shelley aveva trent’anni quando morì, lei ne aveva venticinque, e aveva già perso tre figli. Ma aveva già scritto “Frankenstein, o il moderno Prometeo”, nel 1818, quando aveva vent’anni.

Tuttavia, Mary Shelley, e tutta la sua vita, sono stati un’alterità dell’essere donna; e certo, un segnale del cambiamento che muoveva i suoi primi passi.

Ecco, si arriva al dunque attraverso ben strani percorsi. Forse, solo forse. Come ho scritto nel precedente ‘Parliamone’, in questo periodo sono attratta dalla letteratura fantasy e dintorni. E non avevo ricordato Mary Shelley! Una donna ‘contro’, senza dubbio; una geniale ‘ragazza contro’, verrebbe da dire; che, rimasta vedova, con un figlio, anche se con difficoltà, seppe vivere della sua scrittura.

Rimase in ogni modo oscurata. Il suo “Frankenstein visse, e vive, al di fuori di lei. Provate a chiedere. Il personaggio è celebre, nelle vesti di un mostro cinematografico cui, tra l’altro, viene erroneamente dato il nome del suo inventore, il dottor Frankenstein; l’autrice è sconosciuta ai più.

Nel frattempo, dentro questa confusione, come detto, ho riletto – una rilettura molto piacevole, forse ne racconterò – “La rivolta degli angeli” di Anatole France.

Ora sto leggendo Karen Blixen, “La mia Africa”. Una grande riscoperta. E anche un romanzo che, oggi, si apre a una diversa lettura, che si misura sulla contemporaneità che stiamo vivendo. Molto interessante; e bellissimo. Sarà la prossima recensione.