
Libri di scorta. Occorrono. Sempre, ma particolarmente d’estate. Dove, con il termine “scorta” si intende una selezione di libri buoni per momenti e contesti diversi mentre quel <tempo altro> che è, dovrebbe essere, la “vacanza” – l’interruzione di qualcosa e una forma particolare di assenza da un dove – avviene invece che sia una diversa immersione nella nostra normalissima permanenza.
L’equivoco è di programma. E può persino funzionare: essere funzionale ad una aspettativa di benessere ritrovato, tanto più se impossibile.
Sia come sia, chi è lettore non rinuncerà a raccogliere la propria personale dotazione, la scorta di libri per un tempo diverso, scegliendo una varietà, dal tomo di un chilo e duemila pagine fino al libriccino, chiamato romanzo, di centodieci pagine compresi Titoli, Indice, e pagine bianche.
Perché l’estate è tante cose; è la stagione in cui è possibile sia il fallire, almeno in buona parte, un sogno bello di cui già conoscevamo l’illusorietà, sia realizzare un sia pur breve tempo protetto, in cui dedicarsi, in relativa solitudine, al libro che richiede attenzione, impegno, pensiero, costanza di lettura; o non invece a letture di minor impegno e tuttavia di non poco valore.
L’estate, il suo avvio, è anche, è appena stato, il tempo del “Premio Strega”, periodo indovinato per proporre cinque libri che potremmo chiamare “certificati”.
Quest’anno il vincitore <doveva> essere tale – inutile dirlo: “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, editore Einaudi 2016 (per chi non lo avesse ancora letto: qui – mentre confesso che mi sono totalmente sconosciuti gli altri quattro finalisti:
Teresa Ciabatti, “La più amata”, ed. Minima & Moralia
Wanda Marasco, “La compagnia delle anime finte”, Neri Pozza
Matteo Nucci, “È giusto obbedire alla notte”, Ponte alle Grazie
Alberto Rollo, “Un’educazione milanese”, Manni
La scelta di leggere un libro costituisce, credo, una faccenda legata al proprio tempo di vita, al momento, al percorso di lettura in atto, a cose così. La lettura non può che essere un percorso, consapevole o meno, più o meno confuso, segnato da deviazioni, da ritorni sui propri passi; diventa un tutt’uno con la storia della propria crescita personale, degli arretramenti, delle crisi di passaggio, delle accelerazione lungo una nuova via intravista.
Mi par dunque difficile che tale scelta venga indotta, in un qui ed ora, da una promozione, sia pur altamente certificata. Ed è certamente un pensiero di questo tipo che mi porta a non dedicare una grande attenzione, per non dire di brutto che non ne dedico solitamente alcuna, ai Premi Letterari: con una piccola ma puntuale eccezione per lo Strega; e con una maggior attenzione al Premio di quest’anno: in forma di attesa, per Paolo Cognetti, che ritengo uno dei migliori scrittori italiani a me noti sotto il profilo della qualità di scrittura e non solo.
Tuttavia, posso dire una piccola cattiveria? Che ha anche a che fare con la mia attenzione di quest’anno allo Strega?
Quando ho acquistato il bellissimo “Le otto montagne” ho dovuto prendere atto del passaggio di Paolo Cognetti ad Einaudi, mentre lo ritenevo orami un “autore Minimum Fax” in via definitiva, se così posso dire.
Di suo avevo letto altro, e recensito un libro particolare, “A pesca nelle pozze più profonde. Meditazioni sull’arte di scrivere racconti “, Minimum Fax 2014 – che ad oggi resta, per me, un libro molto bello e importante(qui)
Ora, il passaggio di Paolo Cognetti all’Einaudi è avvenuto, mi pare, con un libro che non ho ancora letto: “New York Stories”, 2015.
Posso dire che questo cambio di Casa Editrice, mi è dispiaciuto? Immagino, certo, che così debba avvenire, nel percorso di carriera – non vedo quale altro termine usare – di uno scrittore. Si tratta di un percorso sano e auspicabile e che, tuttavia: è davvero richiesto che si lasci la casa editrice cui si deve la propria affermazione, quella che ha creduto nella tua opera rischiando sul tuo nome (rischio minimo, in questo caso)? È davvero necessario transitare alla Grande Editoria, per la propria definitiva consacrazione?
Forse sì. Forse anche no. Forse sto costruendo fantasie ingiuste, e Minimum Fax, per tanti motivi, tutti buoni, non ha potuto saputo voluto pubblicare, che so? Forse è cambiato qualcuno, qualcosa. Tante le cose possibili e la mia è un’osservazione che non ha sostanza. Pure: mi è dispiaciuto. Senza nulla togliere alla certificazione di qualità che, quasi sempre (ovviamente non sempre) il marchio di fabbrica Einaudi porta con sé.
Uno Strega meritatissimo, dunque; che fa bene al Premio prima che a Paolo Cognetti che pure, da giovane promessa da tempo più che mantenuta sale ora ufficialmente all’Olimpo della nostra letteratura.
Per me, dentro quel percorso di cui parlavo, che porta a scegliere un libro per il suo trovarsi sul nostro personale cammino, “Le otto montagne” è stato un libro che ha incontrato – che è si è scontrato con – esperienze vissute, e miei ricordi mai divenuti tali. Suscitando emozioni e reazioni che hanno contrastato l’equilibrio tra una valutazione obiettiva del libro, qualunque cosa ciò voglia dire, e una fortissima implicazione che avrebbe potuto addirittura causarne il respingimento: reso impossibile, e tramutato in amore, dalla qualità del libro, dall’equilibrio di struttura, dalla scrittura, dall’equilibrio, ancora, tra carattere autobiografico della narrazione e invenzione, costruzione, di una storia di fantasia.
Al solito, ho deviato dal mio argomento: solo un po’; dopotutto, lo Strega, e il suo vincitore, si presentano sul proscenio dei suggerimenti di lettura per chi, non avendo ancora letto questo libro, cerchi indicazioni per la propria personale scorta.

La mia, personalissima, è ampia. Ufficialmente ho già terminato le mie vacanze, ma resto intenzionata a rimanervi mentalmente ancora per un buon periodo.
Appronto dunque la vetrina all’uopo: non è questa, dopotutto, una libreria?
Che non effettua saldi. Non vorrei mai che un solo libro inserito qui potesse essere pensato come una rimanenza, priva di valore o sul cui valore ci si sia rassegnati a sorvolare.
Avete mai pensato a quei libri che, importanti, validi, a volte imprescindibili, cadono tuttavia nel gioco, inevitabile, del mercato, finendo svenduti a prezzo stracciato – quante meraviglie ho trovato tra i remainder! Ecco: qui, nella mia vetrina, “for sale” dovrà sempre sottintendere, per i remainder, “a prezzo maggiorato”
Vediamo: contraddicendomi, porrei in bella vista, un certo numero di, diciamo, quasi novità editoriali, più un remainder (che ho già segnalato):
Snorri Sturluson, “Edda”, a cura di Giorgio Dolfini, Adelphi 1975. Una lunga lenta lettura in corso. Che spero darà luogo ad altre letture. A seguire:
Halldór Laxness, Sette Magi, Iperborea 2016. L’autore, islandese, è Premio Nobel 1955 (a proposito di Premi di una qualche, per quanto discussa, validità); si tratta di sette racconti, cosa di meglio per le famigerate “vacanze”?
Björn Larsson, “Bisogno di libertà”, Iperborea 2017. Settima edizione di questo libro, scritto nel 2006, editato da Iperborea nel 2007, in cui Larsson ci offre un racconto della sua vita, seguendo il filo conduttore del come si possa apprendere a diventare persone libere.
Terry Pratchett, Neil Gaiman, “Buona apocalisse a tutti”, Oscar Mondadori 2017. Ristampa. Sono loro. Spero in un divertimento che considero assicurato. Se non sarà così ci rimarrò male e un po’ mi arrabbierò.
Claudio Morandini, “Neve, cane, piede”, Éxòrma, 2017. Recensione di Pina Bertoli febbraio 2017, cui dunque rinvio (qui)
Bodo Kirchhoff, “L’incontro”, Neri Pozza 2017. Va bene, lo leggerò, mi ha incuriosito questo autore. Vedremo. Non sarà, ho già visto, la mia prima lettura.
William Saroyan, “Lo zio del barbiere e la tigre che gli mangiò la testa”, Illustrazioni di Fabian Negrin, Orecchio acerbo editore 2017, Libriccino incredibile, breve racconto, vogliamo dire di poche pagine?, impreziosito da illustrazioni, di un interessante editore. Una veste grafica bella e particolarissima (il titolo, per dire, si trova in quarta di copertina). Un piccolo grande piacere, e un libro da possedere, cosa che, per euro 8,50, è quasi obbligata.
Bella confusione, vero? Dopotutto è estate, questa rubrica si chiama “Parliamone” e talvolta, come necessario, si chiacchiera un po’ a casaccio.
Le conversazioni lineari si chiamano invece “Conferenze” e non sarà, qui, mai, il luogo.