Ci sono libri sparsi intorno a me, acquisti recenti e non, che hanno tuttavia aspettato il momento giusto perché qualcos’altro ha attirato la mia attenzione e il mio desiderio ma che hanno mantenuto un loro posto nelle mie attese. Credo sia venuto il loro momento, dopo la prossima recensione del libro di Michaël Uras, “Io e Proust” che avevo preannunciato.
Avevo già accennato a due di questi libri in attesa, nelle letture di dicembre, ma mi ripeto volentieri magari iniziando a darne qualche informazione per chi già non li conosce e potrebbe cominciarne la lettura senza aspettare me, giusto?
Si tratta di due libri dell’editrice Santi Quaranta. Il primo è “Sul grappa dopo la vittoria” di Paolo Malaguti, 2014. La quarta di copertina dice che si tratta della storia di un “recuperante”, un ragazzo che, appena terminata la Grande Guerra, viene mandato sul Grappa a recuperare illegalmente “rame, piombo, viveri in scatola”; è la storia di una crescita, una storia di luoghi e di genti, e di tempi. So che mi piacerà.
Il secondo libro è di tutt’altro genere. Autore Elio Bartolini, “Chi abita la villa”: una storia, credo, con aspetti intimistici, crepuscolari. Di questo autore credo si ricordino maggiormente altre opere, come “La bellezza di Ippolita”, all’epoca ne è stato tratto un film che forse non è dimenticato dai cultori dell’arte, (vi hanno recitato Gina Lollobrigida, Milva, il grande Enrico Maria Salerno); oppure “L’infanzia furlana” e “Le quattro sorelle Bau”, che non ho mai letto e chissà, dopo “Chi abita in villa” magari rimedierò, l’editore Santi Quaranta ha provveduto e dopotutto, piccola nota biografica, condivido con Elio Bartolini la nascita a Conegliano e in quella storia c’è anche la mia terra.
Poi, tra gli ultimi acquisti c’è, di Paolo Rumiz, “Come i cavalli che dormono in piedi”, Feltrinelli 2015. Ed è ancora la Grande Guerra, ma i combattenti, qui, sono giuliani e trentini, cittadini dell’Impero asburgico, che marciano verso il fronte russo e di loro, divenuti ‘dall’altra parte’ per ognuna delle due parti in conflitto, sembra non ci sia memoria.
E guarda un po’, la Grande Guerra, il tema ritorna, un libro tira l’altro. Ma cosa tira il primo? Continua il pensiero su cosa domando, cosa domandiamo, ai libri, cosa cerchiamo quando ne scegliamo uno. Ho trovato una mia risposta, fragile, che chiede confronto. Ed è questa.
Quando ci si rifugia in un libro – e uso consapevolmente il termine ‘rifugiarsi’ – non si (ri)fugge da nulla, anche perché i libri, maledetti loro, anche quando ci fanno entrare in una storia totalmente altra, anche quando sono, appunto, una ‘fuga’ (ora mi preparo a dormire, occorre lasciar fuori i pensieri del giorno, andarsene da un’altra parte, in un luogo bello che favorisca un buon riposo), non consentono fuga alcuna, ci inducono, ci forzano persino, a rimanere nel mondo e in tutto ciò che accade intorno a noi.
Allo stesso modo, giriamo tra gli scaffali della libreria, ci siamo regalati un tempo altro, un luogo nel quale possiamo scegliere infinite vite, possiamo mescolare temi e mondi: alla fine ci ritroveremo ad aver scelto libri che hanno deciso, con noi, di arrivare nelle nostre mani, come se il sogno della notte in cui ci eravamo rifugiati per escludere le cose del giorno, scavalcando la convinta opzione della nostra testa, ci avesse ricondotto proprio dentro al mondo e ai suoi temi, tenendoci per mano, dicendoci guarda che non funziona, non c’è un altrove, vieni per di qua, alla fine è questo ciò che vuoi davvero e di cui hai bisogno.
E poi, quando le cose accadono, ci accorgiamo che tornano alla nostra mente parole lette, che ci indicano una via. Le parole lette sono divenute parte di noi, hanno forgiato, furtive, il nostro pensiero, alleandosi ai nostri bisogni. Non si sono imposte, le abbiamo prese noi e riposte al sicuro perché tornassero utili al bisogno, quando la voglia di non riflettere, di evitare la fatica, avrebbe potuto travolgerci.
Tira una brutta aria di questi tempi nella nostra Europa, viene voglia di rifugiarci nel nostro quotidiano già di per sé sufficiente a rovinare l’umore. Non abbiamo voglia di pensare troppo e di ricordare. Poi scegliamo un libro, per un’ora di svago, per addormentarci la sera, e un libro ne tira un altro. E per fortuna: perché non c’è un altrove.
Anche dal piccolo quotidiano, si fa per dire, non si fugge. C’è sempre un libro a stravolgere e cambiare un pensiero, un’emozione, un’assunzione di valore. Spesso è il libro che non si pensa.
Oggi, ieri, la stampa ha segnalato come la giustizia italiana stia valutando l’opportunità di un riduzione di pena ad un condannato all’ergastolo – alla morte civile, dunque, non diversa e forse più feroce della pena di morte – per il crudele omicidio della sua ragazza e del fratello. La segnalazione suggeriva un’indignazione che stavo per condividere quando, nella mia testa, sono risuonate le parole di Gandalf, il mago che, nel Signore degli Anelli, accompagna Frodo, lo hobbit, nel suo viaggio per distruggere l’Unico Anello e sconfiggere il Signore Oscuro. Parlando di Gollum, il viscido malevolo personaggio che non conosce più la luce del sole, Frodo afferma che merita la morte. E Gandalf risponderà: “Se la merita! E come! Molti tra i vivi meritano la morte. E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita. Sei tu in grado di dargliela? E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi: sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze”.
In questo spazio parliamo di libri, non di cronaca, né di problemi sociali, non affrontiamo temi di geopolitica. Questo vuol essere uno spazio riservato al piacere, e al benessere che troviamo nei libri; ci scappa qualche libro magari non proprio ludico ma, qui, ci regaliamo un tempo ‘altro’, che lasci fuori il contingente, che escluda la fretta, che permetta il pensiero senza bisogno di risposte, che formuli domande da lasciar sospese.
E dunque sembra non importi cosa domandiamo ai libri. E’ sufficiente il lasciarci guidare. Sapendo, tuttavia, che la scelta del libro, di ogni libro, è nostra e che da tale scelta dipenderà anche chi siamo e chi vogliamo diventare.