E’ ora di tornare a casa

PraderadegoCaldo afoso e gita in libreria. Una sola libreria visitata, “Canova”, dopodiché il sole a picco ha consigliato il rientro a casa. Tuttavia, una gita abbastanza soddisfacente. Due libri. Un terzo lo dovrò ordinare perché, datato due anni fa, ovviamente non è più reperibile (quanto mi fa arrabbiare questa cosa!). Comprendo bene il problema, facciamo il gioco delle frasi fatte e diciamo che “lo spazio è tiranno”. Diciamo anche che, come tutte le frasi fatte, anche questa esprime, al fondo, una verità e una sciocchezza congiunte: lo spazio è, per definizione, insieme al tempo, il luogo della libertà: dipende da come si sceglie di utilizzarlo. Sono in ogni modo costretta a riflettere, a mio scorno, sulla mia pretesa di trovare una libreria che si faccia carico di tenere i libri che <io> scelgo, disponibili quando <io> li voglio, il che peraltro non corrisponde quasi mai a quando vengono editati dato che, rispetto alla nuova uscita, sto comunque leggendo qualcos’altro e ho in corso il mio arretrato di letture desiderate. Lasciamo perdere. Onore al libraio, che lo merita. Mestiere difficile.

Per la cronaca, il libro mancato è “Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”, biografia di David F. Wallace. Ammetto di aver sviluppato una quasi ossessione per questo autore, ma prometto che, in questi spazi, da ora in poi mi tratterrò: in ogni modo, sto leggendo questo libro, lettura per la notte, in Kindle e dunque ho tutto il tempo di ordinarlo online. E’ veramente un buon libro, in ogni modo, che mi faciliterà la seconda lettura di Infinite Jest mentre mi sta sia confermando sia chiarendo molte cose su quel bellissimo romanzo.

Due acquisti, dicevo.

Wu Ming 1, “Cent’anni a Nordest. Viaggio tra i fantasmi della guera granda”, Rizzoli 2015; e Jonathan Littel, “Le benevole”, Einaudi 2006 (a dimostrazione che, se il libro vende e se corrisponde, immagino, al catalogo del libraio, il libro datato si trova: e io continuo a brontolare solamente perché ho un cattivo carattere).

Dal primo, mi aspetto che sia interessante, ne attendo la lettura con molta curiosità. Nella quarta di copertina si legge: “Si fa presto a dire ‘Nordest’. Meno semplice è capire come mai, in queste terre ogni fenomeno sia estremo (…) Wu Ming 1 azzarda una risposta: c’entra la Grande Guerra. Qui erano i confini con l’Austria; qui si combatté la guerra e morirono centinaia di migliaia di uomini; qui le cicatrici pulsano forte.”

Per quanto riguarda Wu Ming, è ovvia una curiosità carica di attesa positiva di fronte all’operato del collettivo che porta questo nome. Era, prima, Luther Blisset, autore (collettivo) di “Q”, che, editato da Einaudi nel 1998 è stato rieditato nel 2010. Confesso un po’ di confusione in merito.

La mia curiosità, tuttavia, non mi aveva condotto, ad oggi, a leggerne qualcosa (pigrizia mentale, affetto resistente per ciò che si conosce, per il male conosciuto che si preferisce al rischio, un po’ come quei matrimoni stanchi che si trascinano e di cui si dice “una bella coppia, una buona famiglia”. Mi arrabbio con l’editoria italiana, con la distribuzione, persino, talvolta, con quei veri eroi silenziosi che sono i librai, ma non mi occupo di vedere se c’è qualcosa in giro che, poco o tanto, tenti altre strade.

Quanto a ”Cent’anni a nordest” la mia curiosità non poteva non sorgere. Dopotutto sono nordestina e, per come siamo organizzati qui, ci sono un bel po’ di cose su cui interrogarsi e un bel po’ da capire; c’è anche di mezzo, dice il titolo, la “guera granda” e io avevo, da poche ore, finalmente iniziato a leggere, con immediata grande soddisfazione, un libro che attendeva da molto e di cui avevo già parlato: Paolo Rumiz, “Come cavalli che dormono in piedi”, Feltrinelli 2014.

Asiago distrutta dopo i combattimenti della Strafexpedition - 1915
Asiago distrutta dopo i combattimenti della Strafexpedition – 1915

Avevo acquistato il libro, credo insieme a “Sul Grappa dopo la vittoria” di Paolo Malaguti: bellissimo libro, fonte di grande suggestione, di bisogno di lasciar sedimentare sia le emozioni sia il pensiero su fatti che sembrano rimossi più che dimenticati; su fatti poco conosciuti alla generazioni dei pronipoti, ma che operano ancora nel nostro tempo (ed ecco che il titolo di Wu Ming non poteva lasciarmi indifferente). Oggi, le condizioni che hanno portato a quegli avvenimenti, mai sanate le conseguenze che ne sono derivate, sembrano riproporsi. Diversi i protagonisti, gli assetti geopolitici e le occasioni, abbiamo di fronte un’analoga struttura nelle relazioni internazionali, e il pericolo sul nostro mondo si addensa. Non ditemi che non è così. Ovvio, il fatto di cercar di capire, di sapere, non muta alcunché ma i libri ci sono anche per questo, per far pensare, per far conoscere, e farlo in un modo che, coinvolgendo mente e cuore, consentirà al pensiero di riflettere su se stesso – non solo fatti, slegati tra loro e dall’oggi, non solo accadimenti di un allora, come se gli uomini non fossero gli stessi, e l’insania non potesse (nella dimenticanza!) operare in piena salute e vitalità; come se quelle cicatrici, quelle ferite rimaste aperte, bastasse dimenticarle, dire ‘Non parliamone più’, e tutto fosse risolto.

Costruisco un’accozzaglia di libri e di pensieri disparati, ma non mi sto dedicando allo studio della storia del ‘900. Non di questo si tratta, cerco solamente aiuto per accompagnare il pensiero, fornendogli non un maggior numero di ‘fatti’ (anche, male non fa) ma soprattutto il dialogo che il libro consente e per il quale questo, quell’autore, si sono spesi, talvolta molto bene, talvolta magari meno bene, come me che ascolto e a modo mio rispondo: per aiutare il pensiero a trovare una strada, come so e come posso, ascoltando voci diverse.

Ora ho acquistato Wu Ming 1, “Cent’anni a Nordest”, e magari, prossimamente, potrò tentare una chiacchierata anche sul collettivo, domande irrisolte eventuali comprese.

Il secondo libro, Jonathan Littel, “Le benevole porta alla seconda guerra mondiale. E’ un libro (da leggere, dice il libraio; da leggere, pare anche a me) che racconta la guerra, i campi di concentramento; racconta in prima persona, con la voce di un ex ufficiale nazista; racconta, mi par di capire, il punto di vista del ‘mostro’. E’ un libro lungo, quasi mille pagine. Non lo leggerò presto. Mi preoccupa anche un po’. Non so se lo proporrò, ma prendo un impegno per parlarne. Non a breve.

Come dicevo, ora sto leggendo Paolo Rumiz. Un altro Nordest rispetto al mio, lassù in alto a destra, dice il triestino Rumiz. Ma non solo. Un Nordest esteso di cui si dimentica che una parte è entrata in guerra nel 1914 – sudditi di Cecco Beppe – l’altra nel 1915 – sudditi di casa Savoia. Tutti italiani, irredentisti o meno, italiani. Di una grande parte di questi  si è dimenticata la storia, la vita e la morte.