Thomas Pynchon, “L’incanto del lotto 49”, Einaudi 2005. Traduzione di Massimo Bocchiola
Mi ero pregustata la lettura di questo libro, unitamente al piacere di una riflessione da condividere, qui, con altri lettori. Non è andata così.
Si tratta di un piccolo libro di grande importanza, del quale scelgo tuttavia, superata la metà del testo, di non terminare la lettura. Non ora. Sarebbe improduttivo. La sprecherei.
Non è stata, tuttavia, una parziale lettura inutile: ha consentito un inizio di pensiero sul periodo, sul genere, su ciò che necessita perché questo libro possa essere letto come merita. Insieme a una domanda sul libro stesso, sul suo essere forse prigioniero di un tempo, per linguaggio, sensibilità, contesto storico.
William Saroyan, “La commedia umana”, Marcos y Marcos 2010
Traduzione di Cludia Tarolo e Marco Zapparoli
Un’emozione profonda, la lettura di questo romanzo, che può essere considerato la summa dell’opera di Saroyan. Non lungo, eppure sufficiente per una lettura senza fine.
Ogni breve capitolo un’esperienza, un’intera storia di vita in un bozzetto che si apre ad ogni personaggio che incontreremo seguendo Homer, quattordici anni, e Ulysses, quattro anni, i due figli minori della famiglia Mcauley, che abita ad Ithaca, Stato di New York.
Scusatemi se insisto: ancora una volta, è la seconda (qui il precedente), suggerisco un libro che, da me molto apprezzato, avevo proposto nel settembre del 2014.
L’autore è Robert Louis Stevenson il cui nome porta, con immediatezza a “L’isola del tesoro” (qui), a “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, in qualche modo relegandolo alla sua produzione maggiormente mainstream, dimenticando la mole di scritti, tra cui i libri di viaggio, poco reperibili in italiano.
Morto all’età di 44 anni, dopo una vita segnata dalla salute precaria e dalla malattia, di lui va forse detto, più che di altri, come abbia avuto una vita intensa, completa, che ha saputo anche tradurre in scrittura, spesso grande, sempre di grande interesse, credo. Il mio dubitativo è riferito unicamente al fatto che, per Stevenson più che per altri, mi dolgo molto della mia non conoscenza della lingua inglese e della conseguente impossibilità di leggerlo in originale, mentre le pubblicazioni italiane delle sue opere, a parte i suoi più noti romanzi, scarseggiano.
Tanto più è pregevole questa bella edizione di “Viaggio con un’asina nel cuore della Francia”, pubblicata dalla Casa Editrice Santi Quaranta Una bella lettura. Una bella edizione (nonché la sola che mi risulti reperibile in commercio di quest’opera).
Buona lettura, dunque (anche del libro se possibile: non avrete a pentirvene).
Robert Louis Stevenson, “Viaggio con un’asina nel cuore della Francia”, Editrice Santi Quaranta 2012
a cura di Alessandra Poletto
Traduzione dall’inglese di Paola Della Giustina
Parlando dell’acquisto di questo libro, e mentre lo stavo leggendo, lo avevo definito una chicca, e così è stato. In tanti sensi.
Innanzitutto la storia: il libro è la narrazione, in prima persona, di un viaggio che l’autore fa, tenendo un diario che in seguito sarebbe dovuto diventare un libro in cui raccontare, come gli suggerirà una locandiera, saputo del suo proposito di scrivere del viaggio che stava compiendo, “se la gente coltiva o meno la terra in questo o in quell’altro posto, se ci sono foreste, quali sono gli usi e i costumi, quello che vi diciamo, ad esempio, io e il padrone di casa, le meraviglie della natura e via discorrendo”.
Roger Frison-Roche, “Primo in cordata“, Garzanti 1960. Traduzione di Roberto Ortolani
Nel dicembre dello scorso anno ho letto “Le otto montagne” di Paolo Cognetti, (qui) attirata e respinta da un tema che è parte della mia vita. Una parte importante: la montagna. Scrivendone, ho premesso di non poterne svolgere una recensione, non riuscendo io a prendere la giusta distanza da quel libro.
Leggendo, riconoscevo (come ognuno fa, nel rapporto con un libro) la mia parte in quella storia: ed emergevano ricordi, e inevitabilmente (ancora come ognuno fa) attraverso la lettura riscrivevo quel libro.
Robert Louis Stevenson, “L’isola del tesoro”, Feltrinelli 2014
Con breve saggio introduttivo, “L’arcipelago”, sulla critica e sulla fortuna editoriale di R. L. Stevenson di Domenico Scarpa.
Introduzione e traduzione di Lilla Maione
Björn Larsson, “La vera storia del pirata Long John Silver, Iperborea 2010. Introduzione di Roberto Mussapi
Dovrò riprendere a parlare di questi due libri da dove ho lasciato, nell’ultimo post (qui), in cui scrivevo, a proposito del romanzo di Björn Larsson dell’“incontro felice con una storia e una scrittura appassionanti”, e proseguivo domandandomi “come evitare, incontrando Long John Silver, di riprendere Robert Louis Stevenson, di reimmergersi nell’”Isola del tesoro”?
Halldór Laxness, “Sette maghi”, Iperborea 2016. Traduzione e postfazione di Alessandro Storti
Un piccolo gioiello questo “Sette maghi”, un libro di piccole dimensioni, e tuttavia di grande spessore.
Sette racconti, molto diversi tra loro, dai quali si ricava un senso di unità difficile da giustificare, se non, forse, proprio per il loro rapporto con una particolare forma di magia che serpeggia nello sguardo con cui l’autore, raccontando storie, inventando storie spaziando nel tempo, girovagando tra cronaca e leggenda, legge fatti umani, personaggi, consistenze di vite diverse e di modi della relazione.
Charlotte Perkins Gilman, “Terradilei”, La Vita Felice 2015
A cura di Franco Venturi
Un libro particolare. Che vale davvero una buona lettura. Un libro “divertente ma inquietante”, ne scrive la professoressa Mary Beard, in un suo articolo per la London Rewiew of Books, riportato nel numero del 31 marzo 2017 di “Internazionale”
Incontro, dunque, per la prima volta Charlotte Perkins Gilman, autrice e studiosa americana, vissuta a cavallo tra ‘800 e ‘900, che ci ha lasciato molte opere delle quali un certo numero tradotte e pubblicate in italiano.
Dopo una riflessione sul tema della buona salute o meno della nostra lingua italiana, del suo supposto decadere, del confine incerto che intercorre tra il suo impoverimento, e non invece, o anche, il suo svilupparsi, cambiare, materia vivente che si adatta al tempo e ai bisogni diversi dei parlanti; dopo questo, è stato quasi inevitabile ritrovarmi tra le mani il Primo Levi di “La chiave a stella”.
Truman Capote, «L’arpa d’erba», Garzanti 2001, traduzione di Bruno Tasso
“Quando ho sentito parlare per la prima volta dell’arpa d’erba? Molto tempo prima di quell’autunno in cui andammo ad abitare sul sicomoro.”
Mentre la pila dei libri desiderati, in attesa, si accresce, ecco un suggerimento, dal blog di Tommaso Aramaico; un romanzo breve, o lungo racconto, di Truman Capote. È un ricordo lontano, – e infatti, in casa il libro non c’è, ma bastano due giorni a recuperarlo.
Un piccolo tempo di lettura porta a un luogo magico, che tuttavia, strana cosa, sentiamo subito che ci appartiene, che lo conosciamo. Per raggiungerlo, basterà che ci venga regalata una piccola indicazione.
E così, sommersa da desideri di lettura incongrui, da richiami sui quali mi è difficile arrestarmi, ho riletto, di getto, e con grande partecipazione, «Orlando» di Virginia Woolf, ripromettendomi di scriverne; e ora questo impegno con me stessa, in certo qual modo, mi inguaia.
Un “libriccino” lo aveva definito la stessa Woolf, con riferimento alle dimensioni, relativamente contenute, di un romanzo che, per molti versi, ha la struttura di un lungo racconto; e con riferimento al suo essere stato concepito come un “gioco” tra lei, Vita Sackville-West e Violet Trefusis: due donne, queste ultime, che sarebbe certo interessante conoscere ma che – ed ecco la difficoltà – alla fine della fiera hanno, dovrebbero avere, poco a che fare con l’opera, che vive di vita propria, al di là dell’intenzione che ne ha motivato la scrittura; e al di là del fatto che, in qualsivoglia recensione, non si parli quasi dell’opera in sé e si parli invece sempre delle biografie, delle storie di vita, che l’hanno fatta nascere. Scandalose per l’epoca – e poi neanche tanto.
Dino Buzzati, «Il deserto dei Tartari», Mondadori 2001
Incredibile quante cose avvengano, quanta vita ci sia, in una intera esistenza in cui sembra non succeda niente se non, appunto, il fatto di vivere e di esserne consapevoli.
Di questo libro, che si avvia a compiere ottant’anni senza aver perduto nulla della sua giovinezza, è stato detto e scritto molto. Si tratta di uno di quei libri che anche chi non ha letto sente – erroneamente – di conoscere: assegnandogli il significato allegorico di Vita come Attesa, priva di senso, che richiederà unicamente l’accettazione, ognuno per sé, della propria, unica, individuale, fine.
Italo Calvino, «Se una notte d’inverno un viaggiatore», Einaudi 1979
Terminato questo libro, la voglia di provare, solo provare, a descriverne l’esperienza di lettura è qualcosa che disarticola il pensiero, tra un senso di urgenza (è bellissimo!) e il timore che invita a ritrarsi dal tentativo.
Un libro importante, questo. Un struttura narrativa che ha fatto la storia della letteratura italiana; che Calvino ha scritto sapendo bene ciò che si accingeva a fare – e chissà, anche lui preso tra urgenza e timore. Osando e divertendosi, emozionandosi, interrogandosi, affaticandosi. Senza allentare il controllo sul testo.
Emile Zola, «Al Paradiso delle Signore», Newton Compton 2015
Ecco un libro – interessantissimo, molto godibile, che dovrebbe indurre ad aprire altre opere di questo autore – che, raccontando una storia, ne racconta un’altra, molto più grande. Di cui è difficile raccontare perché ciò che rende piacevole, d’avvio, la lettura; ciò che ne costituisce la trama, e il suo intreccio (che in questo caso, come avviene nelle fiabe, coincidono), non sono il libro.
Ci troviamo di fronte ad una storia che segue lo schema della fiaba, e se ne distingue solamente per il fatto che manca la situazione iniziale di equilibrio prevista. Il racconto parte infatti dal momento in cui un equilibrio iniziale è già rotto: c’è stato un lutto e l’eroina si appresta ad affrontare la povertà per mancanza di lavoro.
Anita Loos, «Gli uomini preferiscono le bionde ma Gli uomini sposano le brune», Garzanti 1966
Sicuramente un long seller questo romanzo che è stato in auge dal suo apparire, nel 1925, quantomeno fino a tutti gli anni ’70. In seguito, una edizione del 1976 e un’ultima (se non sbaglio) edizione, Sellerio 1992. Oggi ancora reperibile in remainder e al mercato dell’usato, ha avuto una vita lunga un secolo, sostenuto (o diminuito?) anche da una grande versione cinematografica della sua prima parte (la seconda, «ma Gli uomini sposano le brune» in effetti è di minor interesse).