Non so come dire, ma il settembre che si approssima porta con sé il senso di un inizio, di un tempo che, nell’attesa, prelude a qualcosa di nuovo.
Saranno lontani echi scolastici, il nuovo anno che iniziava, l’acquisto dei nuovi libri, la curiosità che ce li faceva scorrere e leggere saltabeccando tra notizie e nozioni cariche di attesa, poesie e racconti qua e là, tanto interessanti quanto sarebbero stati poi fonte di quotidiana noia; quel particolare modo del calendario che ci ha accompagnato se non lungo la maggior parte della nostra vita certamente nel corso della più intensa, di anni che hanno segnato in maniera indelebile il nostro diventare adulti.
La scuola è questo, credo, soprattutto questo, la costruzione della nostra visione del mondo e del nostro modo di farcene interpreti, attraverso le cose che impariamo e il come ci vengono presentate, che non sono neutre, orientano per sempre il nostro pensiero: se la cosa riesce, nella misura in cui l’insegnante ci mette del suo, ci fornirà anche della capacità di porre in discussione ciò che avremo appreso – lasciandoci tuttavia obbligati a partire da lì; a operare scelte e valutazioni solo nel confronto. Sarà difficile volgere lo sguardo a un’altra visuale, prendere altre strade.
Come ci sono finita, in questo discorso? Oh beh! Non che abbia importanza. Credo sia per la confusione che regna sul mio tavolo, libri sparsi, letti e in attesa, in corso di lettura. Cose vecchie e cose nuove, proprio come all’inizio della scuola, quando si è preda di ansia da ripasso dei vecchi libri e curiosità innescata dall’odore di stampa fresca dei nuovi, un odore, che oggi non c’è più ma resta nel cuore e nella mente, di inchiostro, di colla, ancora non del tutto asciugati – ci dev’essere stato un motivo per cui i libri di scuola si disfacevano tra le nostre mani come nessun altro libro. E non credo dipendesse solo dal nostro maneggio, dallo studio intenso e dal brancicamento compulsivo. Ho brancicato altri libri, li ho fatti dormire nel mio letto, finiti sotto al sedere, con pagine piegate e orli inumiditi, senza distruggerli. E’ un fatto: i libri di scuola si disfacevano in un loro modo particolarissimo. Oggi non so, oggi i libri non odorano più di inchiostro. Le pagine, quelle mantengono il loro profumo, ma molto è cambiato. Forse sono mie fantasie.
Ci eravamo lasciati con “Storia delle terre e dei luoghi leggendari” di Umberto Eco. Ecco, forse, l’origine del come sono finita a divagare mentre penso che, no, di questo libro ho già parlato, non ne parlerò oltre, salvo rinviare a quanto ho scritto e proporne la lettura.
Ma la lettura di Wu Ming 1, “Cent’anni a nordest. Viaggio tra i fantasmi della guera granda”, Rizzoli 2015, ecco, quella c’entra, nel mio divagare sul tema di come il nostro apprendimento, i nostri anni di studio e la nostra conseguente visione del mondo si caratterizzino per una particolare rigidità. Insieme a miti, più o meno fondativi, di cui è difficile vedere una possibile altra lettura.
Il libro di Wu Ming 1, da questo punto di vista, ha mantenuto le promesse. Un testo molto interessante, magari non grande letteratura ma, oltre che molto godibile, soprattutto capace di farci connettere diversamente fatti noti, di farci costruire nuove ipotesi per la lettura del nostro territorio, della sua storia e della sua gente, per dare corpo a quella nozione di nordest incerta, avulsa dalle esperienze che hanno formato il suo supposto popolo; implicante una unitarietà – il nordest, appunto – delle genti che lo abitano e che, provenienti da storie diverse, non è chiaro da dove origini. Un libro capace di stimolare un pensiero altro, non necessariamente da condividere in toto, un pensiero da costruire. Credo diverrà una recensione.
Ed ecco che libri diversi, un filone di lettura, in effetti, comincia a costituire un disegno, a consentire un barlume di direzione percorribile. Finiscono nel calderone con altri libri, temi non conclusi, da “Sul Grappa dopo la vittoria” di Paolo Malaguti a “Come cavalli che dormono in piedi” di Paolo Rumiz (cui peraltro Wu Ming 1 fa riferimento, in qualche modo integrandone parte della storia); ma anche antiche storie quali “La luce di Ragusa” e “Adriatico insanguinato” di Cristiano Caracci. Tutte storie che, in tempi diversi, mostrano il costruirsi, sul nostro territorio, di culture multiple, di scambi e meticciamenti, mostrano il formarsi di differenze che daranno luogo a una realtà tutt’altro che unitaria e a modi diversi e originalissimi dell’identità.
Non casualmente, una gita alla libreria SS. Quaranta, mi ha fatto tornare a casa con un significativo bottino, non programmato (queste cose vengono da sé) che riprende, a suo modo, il tema.
Così, ora sto leggendo, ancora di Paolo Malaguti, “I mercanti di stampe proibite”, Editrice SS. Quaranta 2013, una storia che racconta dei mercanti girovaghi, i ‘perteganti’ della Valle del Tesino – Valsugana che, negli anni della seconda metà del ‘700 giravano il mondo, letteralmente, fino ai ‘tipodi‘, per vendere stampe a carattere sacro ma capaci di veicolare messaggi politici non privi di pericolo, editate dai Remondini di Bassano, celebre famiglia di stampatori del tempo.
Pezzi sparsi, certo, ma che, attraverso il modo del romanzo, consentono, oltre al piacere di letture avvincenti, di storie che catturano, di costruire da sé qualche forma di mappa mentale che, senza parere, aiuta la comprensione di un oggi e aiuta anche a ritrovare un senso di sé, quello che la storia, senza bisogno di farcelo sapere, ha costruito dentro di noi, regalandoci parole, modi di dire, modi dei valori su cui ancora, senza saperlo, viviamo. A metà lettura, un libro molto piacevole e interessante, che spero di riuscire a proporre.
Il bottino comprende poi, rimanendo in tema, “La crocerossina del Grappa” di Giancarlo Cunial, Editrice SS. Quaranta 2014 – la storia, con base nella realtà, di Ada Andreina Bianchi, nobildonna di Cavaso del Tomba, crocerossina sui teatri di guerra del Tomba, del Monfenera, del Grappa.
Seguono: “Fiabe e leggende del Sile” e Fiabe e leggende del Monte Cavallo”, stesso editore e, per concludere – e per ampliare lo sguardo fuori casa, un libro di viaggio: Hans Kitzmüller, “Alle isole Marchesi”, Edizioni SS: Quaranta 2005.
Tornando alla metafora scolastica: una specie di completamento del programma di studio, per affrontare poi le nuove materie. Non so ancora quali. So che sto trovando piacevole chiudere, si fa per dire, un piccolo cerchio di interesse sulla storia della mia terra, specialmente per il fatto che, tra le altre cose, sembra dotata di autori davvero di grande respiro, e capaci di restituire, con scrittura pregevole, anche forme linguistiche e memorie di parole che, quando si incontrano, si riconoscono proprie, evocative di qualcosa che ci appartiene, capaci di regalare echi personali, e dunque da non perdere, che fanno bene.
Poi, certo, si tornerà a viaggiare.