pacmanErnest Cline, “Player one”, Isbn Edizioni 2011Player one

Un libro di piacevole lettura, che si legge d’un fiato, anche se di dimensione molto più che dignitosa – fanno più o meno seicento pagine. Un libro interessante. E un libro divertente.

Stava da tempo in attesa, prestito di un amico che costituisce il mio riferimento per quel po’ di ‘geek’ che oggi è necessario mettere nel proprio bagaglio culturale, per non essere classificati (a torto o a ragione, ma ovviamente un po’ a ragione) tra gli imbranati incapaci di leggere il mondo in cui vivono.

Come cavalli che dormono in piediPaolo Rumiz, “Come cavalli che dormono in piedi”, Feltrinelli 2014

 

CHE I VOSTRI MULINI TORNINO A MACINARE, CHE I VOSTRI OCCHI SPLENDANO DI NUOVO, CHE LE VOSTRE FALCI DI NUOVO RISUONINO E DI NUOVO CANTINO LE VOSTRE DONNE

Questa iscrizione si trova sulla lapide che orna la sepoltura di un soldato russo, in uno dei quattrocento cimiteri austroungarici di guerra della Galizia, in Polonia, curati dalla Croce Nera d’Austria, l’organizzazione che si occupa di curare i luoghi in cui sono sepolti soldati austriaci. E la Galizia, nei primi sei mesi di guerra, è stata il teatro di uno dei più grandi massacri di quella guerra.

VerderameMichele Mari, “Verderame”, Einaudi 2007

Dimidiata da un colpo preciso di vanga, la lumaca si contorceva ancora un attimo: poi stava.”

Questo romanzo inchioda, da subito, in una emozione mista di interesse e di, solo iniziale, dubbio. Il bellissimo incipit è espresso con un linguaggio lievemente respingente, arcaico – perplessità – poesia? Si prosegue la lettura; certo, l’impressione data da poche parole è un lampo che cattura e, nel frattempo, lo sguardo sul testo è andato oltre.

Tutto il vischioso lucore le rimaneva dietro, perché la scissione presentava una superficie asciutta e compatta che il colore viola-marrone assimilava al taglio di una bresaola in miniatura. Dunque, della sua bavosa vergogna l’animale si doveva liberare in continuazione per rimanere puro nell’intimo suo, e a questa nobile pena era premio la metamorfosi dell’immonda deiezione in splendida scaglia iridescente”.

David Foster Wallace, “Infinite Jest“, Einaudi 2006

Infinite JestTerminata questa prima lettura di “Infinite Jest”, è difficile lasciare le vite irrisolte con le quali ci si è misurati; ed è difficile sfuggire, nella totale alterità che quelle vite ci presentano, al riconoscimento, all’identificazione. Paradossale solo in apparenza in quanto il paradosso non costituisce una struttura dell’errore, bensì la struttura che segna la totalità del nostro mondo: mentre tutti coltiviamo l’illusione della scelta rifugiandoci nella dimensione del quotidiano.

Quantomeno, questo è ciò che ci dice Wallace che chiuderà la storia, ancora una volta (come in “La scopa del sistema“) con il lasciare falsamente aperto il futuro, se di futuro si può parlare in un mondo segnato dalla ricorsività, che assorbe e riconduce a sé qualsivoglia movimento l’individuo ponga in atto per orientare diversamente la propria vita.

Verine giurata 2Elvira Dones, “Vergine giurata”, Feltrinelli 2007

Un romanzo dal tema interessante. L’autrice, albanese, lo ha scritto in lingua italiana. In seguito, la storia è stata pubblicata in inglese; è diventata il film d’esordio della giovane regista italiana Laura Bispuri, che è stato presentato al Festival di Berlino 2015.

Il tema: Una prescrizione, molto particolare, del “Kanum”, l’antica legge tradizionale albanese che, trasmessa nei secoli e mantenuta in vita per tradizione orale, in particolare nelle regioni montuose del nord, regolava la vita sociale delle comunità, prescrivendo e vincolando i comportamenti relativi al rapporto tra i sessi, al matrimonio, alla proprietà, ai codici di giustizia.

Il Regno, Ennanuel Carrère“(…) a pensarci, è curioso che persone normali, intelligenti, possano credere a una cosa tanto pazzesca come la religione cristiana, una cosa in tutto e per tutto identica alla mitologia greca o alle favole (…) un sacco di persone credono a una storia altrettanto assurda senza per questo essere considerate matte. Vengono prese sul serio anche da chi non ne condivide la fede. (…)La loro fisima convive con attività assolutamente ragionevoli. Le più alte cariche dello Stato rendono visita al loro capo assumendo un contegno deferente. E’ per lo meno strano, no?”

Chi parla è Patrick Blossier, fotografo con cui Carrère, che è anche regista e sceneggiatore, aveva lavorato e a cui, nel corso di una cena tra amici, raccontava il proprio progetto: scrivere, svolgere una ricerca, sugli inizi del cristianesimo.

“Sì, non c’è dubbio, è strano”, risponde Carrère.

Fahrenheit 451Ray Bradbury, “Fahrenheit 451 (Gli anni della Fenice)”, Mondadori, Oscar settimanali 1966

“Ricordo i giornali che morivano come immense falene! Non c’è stato un cane che li abbia rimpianti! Nessuno ne ha sentito mai la mancanza. Dopo di che il Governo, vedendo quali vantaggi si avessero con un popolo che amava leggere solo di labbra appassionatamente bacianti e di violenti pugni nello stomaco, ha cristallizzato la situazione coi vostri mangiatori di fuoco.”

E’ Granger che parla, il capo dei fuggiaschi ‘uomini-libro’ che vivono nascosti lungo il fiume, nella campagna abbandonata. Granger e i suoi accoglieranno Montag, l’eroe di questo romanzo, tra i fuorilegge, dandogli rifugio e salvezza alla fine di una storia che era iniziata con il suo rientro a casa, al termine di una soddisfacente giornata di lavoro.

Penelope Mortimer, “La signora Armitage”, Minimum Fax

Peter, Peter, gran sbafazucchiniLa signora Armitage,
Aveva una moglie che gli era di cruccio:
la chiuse nel secchio, fra bucce e semini
e là se la tenne, per sempre al calduccio”
(Filastrocca popolare inglese)

 E’ una storia che, pubblicata per la prima volta nel 1962, qualunque donna, e qualunque uomo, oggi come ieri, riconosce. Con divertimento amaro. Con grande empatia, alla fine, quando di che ridere non resta più nulla anche se un faticoso sorriso, di condivisione e comprensione, ci può stare. Come a dire che la vita, quella vera, è tanto ma proprio tanto faticosa, e si va avanti.

A pesca nelle pozze più profonde, Paolo CognettiPaolo Cognetti, “A pesca nelle pozze più profonde. Meditazioni sull’arte di scrivere racconti”, Minimum Fax 2014.

 

Mio marito mi regalò una scopa per Natale. Nessuno può convincermi che fosse un pensiero gentile.” (Grace Paley, “Un interesse nella vita”, in “Piccoli contrattempi del vivere”).

Di mattina lei mi versa il whisky sulla pancia e se lo lecca tutto, di pomeriggio cerca di buttarsi dalla finestra.” (R. Carver, “Gazebo”, in Principianti)

In autunno c’era ancora la guerra, però noi non ci andavamo più” (E. Hemingway, “In un altro paese”, in: “I quarantanove racconti”).

Paul Auster, “L’invenzione della solitudine”, Einaudi 1997

L'invenzione della solitudineHo scelto di leggere, e poi proporre, quest’opera di Paul Auster non avendo finora letto nulla di questo autore (uno tra i grandi della letteratura americana contemporanea) e mi domando cosa me ne ha fatto sempre rinviare la lettura. Domanda peregrina, mentre invece so bene cosa mi ha portato a scegliere di leggerlo ora: il fatto che si tratta del marito di Siri Hustvedt e il fatto che lei venga presentata, sia stata presentata (credo e spero non lo sia più) come ‘moglie di’ ha mosso la mia voglia di andare a vedere.

Quelo che ho amatoSiri Hustvedt, “Quello che ho amato”, Einaudi 2004

Quello che ho amato” è uno dei primi romanzi di questa autrice, qualcuno dice il più bello, pubblicati in Italia.

La storia si svolge a New York. Leo Hertzberg, voce narrante, è un critico e professore di storia dell’arte, affetto da problemi di vista che lo condurranno nel tempo alla quasi cecità. Nato a Berlino, è figlio di ebrei tedeschi fuggiti nel 1933 dalla Germania nazista, dove invece hanno scelto di rimanere una nonna e la famiglia degli zii, con le due figlie gemelle, Anna e Ruth. “Furono tutti assassinati. Custodisco la loro fotografia nel cassetto”. Leo aveva cinque anni quando la sua famiglia abbandonò Berlino, e la loro casa, più volte ricordata, di Mommsenstraße 11.

La bellezza delle cose fragiliTaiye Selasi, “La bellezza delle cose fragili”, Einaudi 2013

Un interessante romanzo, opera prima di una giovane scrittrice peraltro già in precedenza, per lavori minori, accreditata come una delle voci più interessanti del nuovo panorama letterario, per la qualità della scrittura, per la capacità di costruire e sviluppare una narrazione originale e, non secondariamente, per la interessante proposta-presentazione di un modo dell’identità, familiare e individuale, nel mondo, caratterizzato dallo sradicamento, dell’emigrazione, quando questa si coniughi ad una forte assertività, sostenuta da un progetto di sé, dalla tensione verso un obiettivo che valga la fatica e lo strappo dal proprio mondo.

Gran bella cosa è vivere, miei cariNâzim Hikmet, “Gran bella cosa è vivere, mei cari”, Mondadori 2010

Il titolo di questo libro (titolo originale: «Eh, vivere è una bella cosa, fratello”) contiene tutta la narrazione di una storia di vita in cui il poeta, attraverso, anche, “io” multipli racconta non tanto la propria storia personale – anche, certo, ed è importante – ma soprattutto l’infinità di emozioni che i giorni, i luoghi, gli amici, gli ideali, l’amore, portano con sé.