Peter Cameron, “Paura della matematica”, Adelphi 2008 Sette racconti di un autore che, avendo iniziato con il racconto […]
In questi giorni di festa sono riuscita a regalarmi un piccolo passaggio in libreria, riportandone, purtroppo, solo un volumetto della Sellerio – “La crisi in giallo” – un raccolta di racconti di autori italiani, tra i quali uno di Marco Malvaldi (un passaggio al bar Lume, a far due chiacchiere con i vecchietti, non si può perdere: per chi non conoscesse la serie, raccomando vivamente di prendere i dovuti provvedimenti e leggersi le storie nel giusto ordine di pubblicazione. Un godimento assoluto).
Proseguendo, e a proposito di Siri Husvedt, devo confessare una parzialità: lungi da me un paragone con il […]
Sono la coppia indiscussa della letteratura americana contemporanea e una coppia dalle caratteristiche intriganti.
Sposati dal 1981, per lui è stato il secondo matrimonio, il lavoro sembra unirli, nella diversità di cifra della scrittura di ognuno, che rivela tuttavia, mi pare, una forte contaminazione così come forti sono gli interessi comuni, alcune tematiche che ritornano nelle loro scritture.
Diversissima è l’immaginazione dell’uno e dell’altra, diversissima la struttura delle loro opere.
Paul Auster, “L’invenzione della solitudine”, Einaudi 1997
Ho scelto di leggere, e poi proporre, quest’opera di Paul Auster non avendo finora letto nulla di questo autore (uno tra i grandi della letteratura americana contemporanea) e mi domando cosa me ne ha fatto sempre rinviare la lettura. Domanda peregrina, mentre invece so bene cosa mi ha portato a scegliere di leggerlo ora: il fatto che si tratta del marito di Siri Hustvedt e il fatto che lei venga presentata, sia stata presentata (credo e spero non lo sia più) come ‘moglie di’ ha mosso la mia voglia di andare a vedere.
Ora, vorrei ritornare sul tema “Librerie”, già trattato in passato, per parlare, nel mio piccolo, dei mutamenti che sta avendo il mercato del libro. Mi piacerebbe un confronto, per capire se sono preda di ubbie o se quello che vedo accadere è reale.
Mentre da ogni parte si parla della difficoltà delle librerie a sopravvivere, a me pare si sia in presenza di qualcosa di diverso, di un mutamento del target cui si rivolge il mercato del libro, che sta espellendo dalle librerie ‘Il Lettore’. Contraddizione in termini, mi direte. Beh, per quello che vale, Conan Doyle faceva dire a Sherlock Holmes che “dopo aver eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità”.
Un buongiorno dal nuovo formato di questo blog. La foto di copertina, come vedete, è stata sostituita da […]
Siri Hustvedt, “Quello che ho amato”, Einaudi 2004
“Quello che ho amato” è uno dei primi romanzi di questa autrice, qualcuno dice il più bello, pubblicati in Italia.
La storia si svolge a New York. Leo Hertzberg, voce narrante, è un critico e professore di storia dell’arte, affetto da problemi di vista che lo condurranno nel tempo alla quasi cecità. Nato a Berlino, è figlio di ebrei tedeschi fuggiti nel 1933 dalla Germania nazista, dove invece hanno scelto di rimanere una nonna e la famiglia degli zii, con le due figlie gemelle, Anna e Ruth. “Furono tutti assassinati. Custodisco la loro fotografia nel cassetto”. Leo aveva cinque anni quando la sua famiglia abbandonò Berlino, e la loro casa, più volte ricordata, di Mommsenstraße 11.

Ho chiuso l’ultima chiacchierata dicendo che, nel divagare, mi venivano in mente libri interessanti, a proposito e a sproposito. E’ qualcosa che capita di frequente, credo, a tutti coloro che leggono. Si parla, o si scrive, di questo e di quello ed è difficile che, da qualche parte, non affiori un rimando, la sensazione di aver letto qualcosa in proposito, il ricordo di una frase, il dubbio di star utilizzando, del tutto fuori contesto, qualcosa che si è letto non si sa dove; magari solo una forma proposizionale, una unità di discorso non nostra, non dico una citazione, proprio frasi, o parti di argomento, cose così; non si sa bene se ciò che stiamo scrivendo, o dicendo, ci appartenga del tutto o non sia <rubato> ad altri, se sia cosa reinterpretata, divenuta nostra.

Questo che sto scrivendo è, vuole essere, un ‘hors d’oeuvre’, non nel senso di ‘antipasto’ ma nel senso, letterale, di ‘fuori opera’, ‘fuori pasto’, se vogliamo, se per pasto si vogliono intendere le recensioni, le proposte di lettura, le chiacchierate sulla lettura e dintorni. Giusto per giocare, anche, con le parole, ma non mi viene un altro termine.
Chiamiamolo Fuori Catalogo. E c’è un perché.
Taiye Selasi, “La bellezza delle cose fragili”, Einaudi 2013
Un interessante romanzo, opera prima di una giovane scrittrice peraltro già in precedenza, per lavori minori, accreditata come una delle voci più interessanti del nuovo panorama letterario, per la qualità della scrittura, per la capacità di costruire e sviluppare una narrazione originale e, non secondariamente, per la interessante proposta-presentazione di un modo dell’identità, familiare e individuale, nel mondo, caratterizzato dallo sradicamento, dell’emigrazione, quando questa si coniughi ad una forte assertività, sostenuta da un progetto di sé, dalla tensione verso un obiettivo che valga la fatica e lo strappo dal proprio mondo.
Sto guardando la mia attuale dotazione di progetti di lettura, frutto di voglie confuse e idee discordanti. Un po’ anche per colpa di queste pagine; magari cerco una scusante ma è un fatto: anche se mantengo la linea per cui propongo ciò che, tra le mie letture, mi è piaciuto, e il Catalogo di questa ‘libreria virtuale’ non segue classifiche, nuove uscite e simili, è invitabile che, nel dispormi a leggere un libro, io pensi anche al fatto che possa o meno essere poi una buona proposta, perché mi piace condividere e scrivere, parlare, dei libri che mi sono piaciuti – ….e perché qualcosa di quest’ultima frase – “che mi son piaciuti” – mi suona noto? Va a sapere, mi verrà in mente, ah certo, Paolo Conte “…questo tempo grigio pieno di musiche e di uomini (non libri!) che ti son piaciuti…. it’s wonderful, it’s wonderful, it’s wonderful…

Negli ultimi mesi ho fatto una vera abbuffata di narrativa, di libri che ho apprezzato moltissimo. Sento una forma di speranza, quando un libro mi regala pensieri e mi aiuta nel bisogno di interpretare ciò che avviene in me e nel mondo che abito. Perché è così: un buon libro può dare persino una sensazione di rinascita, come se ci venisse offerta l’opportunità di un nuovo inizio.
Ora, tuttavia, e forse proprio perché il nutrimento è stato sufficiente, credo sia il momento, mentre le cose lette, le sensazioni, le emozioni, si sedimentano, di lasciare la narrativa per altri generi che, ultimamente, ho solo spiluccato, lasciato in attesa, ancora trattenuta da ciò che stavo assaporando.
Nâzim Hikmet, “Gran bella cosa è vivere, mei cari”, Mondadori 2010
Il titolo di questo libro (titolo originale: «Eh, vivere è una bella cosa, fratello”) contiene tutta la narrazione di una storia di vita in cui il poeta, attraverso, anche, “io” multipli racconta non tanto la propria storia personale – anche, certo, ed è importante – ma soprattutto l’infinità di emozioni che i giorni, i luoghi, gli amici, gli ideali, l’amore, portano con sé.